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175

Mentre scherzando ella s' aggira, ed erra,
Il mesto padre suo grato, ed umano
Svelle di propria man l'erba di terra,
A lei la porge, e mostra di lontano;
Ella s'accosta, e leggermente afferra
L'erba, e poi bacia la paterna mano,
Dentro a sè piange, e direbbe anche forte,
potesse parlar, l'empia sua sorte.

Se

176

Pur fa, che il padre (tanto, e tanto accenna) Seguendo lei nel nudo lito scende,

Dove l'unghia sua fessa usa per penna
Per far noto quel mal, che sì l'offende,
Rompe col piede al lito la cotenna
Per dritto, per traverso, e in giro il fende :
E tanto e tanto fa, che mostra scritto
Il suo caso infelice al padre afflitto.

177

Quando il misero padre in terra legge,
Che la figlia da lui cercata tanto,
E quella, che credeva esser del gregge,
Nascosta sotto a quel bovino manto,
Appena in piè per lo dolor si regge

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Raddoppia il duol, la pena, il grido e il pianto;
Le nove corna alla sua figlia abbraccia,
Baciando spesso la cangiata faccia.

178

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O dolce figlia mia, che in ogni parte Da dove nasce il sol fin all' Occaso, Già ti cercai, nè mai potei trovarte E finalmente or t'ho trovata a caso; Figlia, onde il cor per gran duol mi si parte, Mentre ch' io penso al tuo nefando caso; O dolce figlia mia, deh chi t'ha tolto Il tuo leggiadro e delicato volto?

Metamorfosi Vol. I.

7

Dicta refers: alto tantum suspiria prodis

Pectore: quodque unum potes, ad mea verba remugis. At tibi ego ignarus thalamos taedasque parabam: Spesque fuit generi mihi prima, secunda nepotum. De grege nunc tibi vir, nunc de grege natus habendus.

660

Nec finire licet tantos mihi morte dolores:
Sed nocet esse Deum; praeclusaque janua leti
Æternum nostros luctus extendit in aevum.
Talia moerenti stellatus submovet Argus,
Ereptamque patri diversa in pascua natam
Abstrahit. Ipse procul montis sublime cacumen
Occupat: unde sedens partes speculatur in omnes.

665

664. Stellatus Argus. Quod ejus oculi ad similitudinem stellarum micarent. 666. Ipse procul. Prope. Nam in propinquum montem ascenderat, unde sedens in omnes partes spectaret. Sic Virgil. Ecloga 8. Serta procul tantum capiti delapsa.

179

Deh, perchè col parlar non mi rispondi? Ma sol col tuo muggir ti duoli, e lagni? E il tuo parlar col tuo muggir confondi? E col muggito il mio pianto accompagni ? Tu sai dal mio parlar, che duol m'abbondi; Vedio dal tuo muggir, come tu piagni. lo parlo, e fo quel che si dee fra noi: Ma tu sol muggi, e fai quel che far puoi. 180

Oimè: che le tue nozze io preparava
Far con pompa, con gaudio e con decoro;
Onde nepoti, e genero aspettava

Per la mia vecchia età dolce ristoro;
E questo dunque il ben, ch' io ne sperava?
Dunque ho da darti per marito un toro?
Dunque i vitelli al nostro ceppo ignoti
I tuoi figli saranno, e i miei nipoti?

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Potessi almen finir con la mia morte
L'inteso e disperato dolor mio,
Che a fin verrei di sì perversa sorte.
Veggo or quanto mi noccia essere Dio;
Poich'al morir mi son chiuse le porte:
Che posso altro per te, che dolerm' io?
E mentre rotan le celesti tempre,
Il tristo caso tuo pianger mai sempre?
182

Mentre il misero vecchio ancor si duole,
E tutte le sue pene in un raccoglie;
Lo stellato pastor, che la rivuole,
Presente il padre la rilega, e toglie,
per diversi pascoli, ove suole
Condurla spesso, la rimena, e scioglie;
Egli in cima d'un colle fa soggiorno,
la foresta intorno intorno.

E

Che scopre

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