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Il messaggier di Giove
per far prova,
S'egli è per osservare il giuramento,
Si parte, e si trasforma, e torna, e trova,
Quel, che del don bovin lasciò contento;
E con grand' arte gli domanda nova
Del dianzi da lui rubato armento:
pur
Se tu mi fai pastor del furto certo,
Un toro, ed una vacca avrai

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per merto.

Il buon Pastor, che raddoppiarsi udio
Il premio di colui, che il furto scopre,
Disse: in quei monti più selvosi, ch' io
Taddito, il gregge tuo s' asconde, e copre;
Quivi starà, finchè il notturno obblio
Ne' fantastichi sogni il senso adopre:

Ma come al sonno ognun la morte chiame,
Darà la preda al suo paese

infame.

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Rise Mercurio, e disse, ah mancatore, Questo è il silenzio, che tu m' hai promesso? Che non credendo me l'involatore, Hai me medesmo accusato a me stesso? E tratto il primo suo sembiante fuore, Disse: guarda, e conosci, s' io son desso: Dicesti, che'l direbbe un sasso pria; Ma non vuò, ch' abbi detta la bugia. 258

Nero il fa divenir, qual' è un carbone, E sì l'indura poi, ch' un sasso fallo: Quel sasso il fa, che chiamiam Paragone, Che vero saggio dà d'ogni metallo; Laddove poi mutò condizione, Nessun poi tradi più, non fe più fallo: Disse poi sempre il ver, per quel ch' io veggio, Per non si trasformar di male in peggio.

Hinc se sustulerat paribus Caducifer alis,

FAB. XII. Arg. Hinc se sustulerat paribus Caducifer alis ec. Athenis virgines per solenne sacrificium in canistris Minervae ferunt pigmenta, inter quas a Mercurio eminens specie conspecta est Herse Cecropris filia. Itaque aggressus sororem ejus Aglauron, precatusque ut se Hersae sorori suae jungeret, ac illa cum pro ministerio aurum eum poposcisset, Minerva graviter offensa est avaritia ejus, et quod cistulam etiam traditam sororibus ejus custodiendam adversum suum praedictum aperuisset. Invidia novissimae imperavit, et eam sororis Hersae successibus exacerbavit, diuque cruciatam saxo mutavit.

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Lasciato Apollo il suono, l'occhio porge Dove il gregge pascea, nè vede i buoi: Dal luogo ove sedea subito sorge, E cerca prima tutti i paschi suoi: Cerca poscia gli strani, e nulla scorge, Benchè il tutto trovò poco dappoi: Seppe il ladro chi fosse, e dove stesse, Ma non sò ritrovar chi gliel dicesse. 260

Il Corvo non fu già, ch' avea giurato Nova non dar mai più buona, nè rea; Poichè'l bianco mantel gli fu cangiato, Per quella donna, ch' accusata avea; Ed oltre a questo Apollo avea lasciato, Perchè sbandito e misero il vedea : Che ogni vil servo, perchè non n' acquista, Lascia il padron nella fortuna trista.

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Sebben Febo di Dio fatto è pastore, Non però s'è scordato il trar dell' arco, Ancorch' un cappio del nervo abbia fuore Della sua cocca, e stia disteso, e scarco: Ma già l'incurva con rabbia, e furore, E tira il nervo in su, finchè l' ha carco: Trova Mercurio, e in lui drizza lo sguardo, E tende l'occhio, la balestra, e'l dardo. 262

Sì cruda voglia di ferir l'assale,
Che gli fa nel tirar perder la mira;
E manda alquanto a man destra lo strale,
Ond' egli da man manca si ritira,

E par,
che dica al dardo, che fa male,
Se non si drizza ov' egli accenna, e mira:
Ma, dove ei si drizzò, d' andar non resta
Per cenni della mano, o della testa.

Muny chiosque volans agros, gratamque Minervae 709

709. Munychiosque. Munychia namque Promontorium est Pyraeei portus Atticae, a Munychio dicta illa porticus, quia illic aedificavit templum Munychiae Dianae. Vide Joh. Scoppam lib. 1. cap. 35. Tom. 1. Critic. Gratam Minervae. Periphrasis est Atticae terrae, quae Minervae gratissima.

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Veduto il primo colpo senza effetto,
All' arcier nuovo dardo inviar parve;
Ma Mercurio cangiò subito aspetto,
E si fece invisibile, e disparve.
Come un aer si fe purgato e netto,
E di lui più nulla sembianza apparve:
Io non saprei ben dir che forma avesse,
Che non soffrì, che allora altri il vedesse.
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Apollo si raggira, e più non vede
L'autor dell' altrui danno, e del suo scorno,
E gira, e move indarno l'occhio, e'l piede;
E cerca con gran studio quel contorno.
Benchè Mercurio alfin visibil riede,
E prega, e stagli con tai mezzi intorno,
Che fan la pace, e rende il tolto armento,
E fallo d'un bel don di lui contento.

E

165

Ebbe Mercurio un perspicace ingegno;
poco prima ritrovato avea

Un istrumento più dolce e più degno
Di quel, che Apollo allora usar solea:
Questo era un cavo, e ben disposto legno,
Che con nervi ineguali il suon rendea,
Dando un l'accento acuto, un altro il grave,
Faceano un suono amabile e soave.

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Per dimostrar Mercurio in qualche parte,
L'animo verso Apollo amico e buono,
Gli diè questo intrumento, e insieme l'arte
Gl' insegnò, che suol far sì dolce suono :
Questa è la Cetra, ch' all' antiche carte
Diè sì sonoro e dilettevol tuono;
Rendè con questa Apollo esperte, ed use
(Onde si dolce poi cantar ) le Muse.

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