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BIBLIOGRAFIA

M. Tangl, Gregor VII. jüdischer Herkunft? in Neues Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde, 1905, XXXI, 159-180.

L'ipotesi di una probabile parentela fra il grande pontefice riformatore e la famiglia dei Pierleoni da me proposta in un recente lavoro (Le famiglie di Anacleto II e di Gelasio II in Arch. d. R. Soc. rom. di storia patria, XXVII, 399 sgg.) ha talmente impensierito il professore M. Tangl che egli ha creduto di doverla combattere con venti nudrite pagine del Neues Archiv. Nè io me ne dolgo, come non se ne dorranno gli studiosi, perche il Tangl, che è un maestro davvero insigne, ha scritto un articolo di tanta eleganza e dottrina che, sinceramente, sono superbo di avergliene offerto l'occasione. Ma gli argomenti che egli adduce, sono poi di tal valore da scuotere, anzi da rendere insostenibile la mia ipotesi?

Innanzi tutto debbo ricordare che l'ipotesi fu da me proposta con le più prudenti cautele e riserve, perchè mi era impossibile dare affermazioni precise là dove mi si offrivano soltanto degl' indizi e non delle prove. E quando nella tavola genealogica dei Pierleoni introdussi i nomi di Giovanni Graziano e d'Ildebrando, li contrassegnai con un punto interrogativo che avrei veduto volentieri ripetere in quella parte della tavola che il Tangl ha riprodotto. Del resto intendo bene come porre la questione in questo modo, se cioè Gregorio VII fosse di origine ebraica, sia un abile mezzo polemico per rendere poco simpatica la mia ipotesi e darmi subito torto; ma, in ogni caso, l'origine giudaica d'Ildebrando è una conseguenza che va molto al di là delle mie premesse. Nè vedo poi perchè, data per vera la mia ipotesi di una parentela fra Ildebrando ed i Pierleoni, bisognerebbe riscrivere, come il Tangl afferma, tutta la storia del papato del tempo della riforma. Non erano forse risaputi gli strettissimi legami finanziari e politici fra

Ildebrando ed i Pierleoni? Fosse o non fosse egli loro parente, non è forse vero che i Pierleoni furono suoi alleati, e lo sostennero e si batterono sotto la sua bandiera? L'ipotesi adunque di una parentela potrebbe chiarir meglio, non mutare la natura di queste relazioni; e nella storia del papato dell'undecimo secolo, senza cancellare neppure una pagina, basterebbe aggiungere soltanto una noticina dichiarativa.

Muove il Tangl dall'osservare che, secondo le mie ipotesi, Gregorio VII sarebbe stato parente di Anacleto II: il che, per la distanza di tempo fra i due, non è probabile. Ma non è impossibile: e la nuova spiegazione che egli giustamente suggerisce della parola «< avunculus >> che potrebbe significare non zio, ma nipote, se quella parola, come vedremo, non provenisse da fonte sospetta, toglierebbe di mezzo ogni difficoltà. Quindi egli nega la possibilità che Giovanni Graziano (Gregorio VI) fosse un Pierleoni. Io confessai di «non aver trovato argo<«menti decisivi per affermarlo»; ma che proprio gl'indizi da me offerti non abbiano alcun valore, non mi pare. Dato il costume costante nelle famiglie romane del medioevo di rinnovare i nomi, non è sintomatico il fatto che i nomi di Giovanni e di Graziano siano ripetuti nella famiglia dei Pierleoni? E si badi che il nome di Graziano non era frequentissimo nel medioevo: nel Regesto di Subiaco appare solo quattro volte, ed una volta soltanto nelle mie numerose carte dei Ss. Cosma e Damiano. Ma, domanda il Tangl, perchè mai i due nomi non s'incontrano più riuniti nella medesima persona? Si può osservare che il nome di Graziano non era costantemente unito a quello di Giovanni. Il Liber Pontificalis, gli Annales Romani, due carte del tempo, delle quali una da me pubblicata, chiamano Gregorio VI « Iohannes archi<«< canonicus »>, mentre i cataloghi pontificali soltanto lo chiamano «< Gra<< tianus » o «< Iohannes Gratianus ». Nulla perciò vieta di pensare che anche i Pierleoni possano avere avuto un secondo nome, quantunque non appaia dalle fonti. E poi mi saprebbe dire il prof. Tangl come avrebbero fatto a distinguersi i due fratelli di Anacleto II dei quali uno si chiamava Graziano e l'altro Giovanni, se i due nomi fossero stati inseparabilmente congiunti? Ma non bisogna mai fidarsi dell'identità dei nomi: non ha il Kehr, esclama il Tangl, ridotto a nulla le argomentazioni dell' Hartmann per l'identità fra gli scrittori delle carte private e gli scrittori della cancelleria pontificia, fondate sull'identità dei nomi? Il prof. Tangl però sa bene che poi il Kehr ha dovuto riconoscere, sia pure in minima parte, il valore degli argomenti dell'Hartmann, ammettendo che qualche volta gli scrittori delle carte private, come « Bonushomo » e talun altro, furono proprio le medesime persone degli scrittori della cancelleria pontificia. E poi non è lo stesso procedimento il mio, perchè non deduco dall'identità dei nomi l'iden

tità delle persone. Ma perchè allora il nome di Gregorio o quello d'Ildebrando non è ripetuto nella famiglia dei Pierleoni, se Gregorio VII le appartenne? Intendiamoci bene: io non ho detto che Gregorio VII sia un Pierleoni. Noi non sappiamo nulla dell'origine della sua famiglia, nè donde discendesse quel Bonizo, suo padre, che altri volle di origine germanica! La madre, al più, d'Ildebrando avrebbe potuto esser legata di parentela con i Pierleoni, ed il prof. Tangl può insegnarmi che non è la discendenza materna ma quella paterna che dà la costituzione ed il nome delle famiglie. Perchè poi il Tangl ha taciuto un indizio di grande valore per ammettere l'origine Pierleonia di Gregorio VI? La tradizione rappresentata dal Ciacconio, dallo Zazzera, dal Crescimbeni e da altre fonti manoscritte, sebbene recenti, afferma che Gregorio VI era Pierleoni; e, quel che vale di più, l'afferma la tradizione familiare mantenutasi viva e fresca fino al decimosettimo secolo. Nel 1674, in un'iscrizione di S. Paolo, Lucrezia Pierleoni ancor si gloriava di avere avuto fra i suoi antenati Gregorio VI (FORCELLA, XII, 19). Certo questa non è una prova; ma, trattandosi di un processo indiziario, chi può condannarmi, se io me ne valgo?

Ciò posto, poichè le relazioni fra Gregorio VI e Gregorio VII furono senza dubbio strettissime, non vedo perchè sia assolutamente improbabile che fra i due vi fossero vincoli di parentela. All'arciprete di S. Giovanni a Porta Latina, Giovanni Graziano, viene affidata l'educazione di Ildebrando fanciullo. Quando nel 1046 Gregorio VI è costretto a recarsi in Germania, Ildebrando lo segue al di là dei monti, ed alla morte di lui ne eredita le ricchezze. Ben è vero che la fonte di quest'ultima notizia, Benone, è mal sicura, essendo egli animato da odio contro Ildebrando; ma qui si tratta semplicemente di una constatazione di fatto, e non vi sono ragioni per negargli fede. Il Tangl stesso afferma che «< die Art seines Angriffes (cioè contro Ildebrando) << zeigt dabei wieder hinter allen gehäuften Entstellungen den gründli<«< chen Kenner der Vorgänge und Verhältnisse ». Il mio illustre contraddittore s' indugia ad esaminare con molto acume un passo del decreto di scomunica di Enrico IV del 7 marzo 1080; ed io convengo pienamente nell' interpretazione che egli gli ha dato. Ma, comunque s'intenda l'espressione: «< invitus ultra montes cum domino papa Gregorio « abii », rimane sempre il fatto che Ildebrando lasciò Roma per accompagnare il deposto Gregorio VI, non di sua volontà. E per volontà di chi adunque? Perciò l'ipotesi della parentela fra Ildebrando e Giovanni Graziano, senza essere certo l'unica possibile, non mi par destituita di ogni probabilità.

Con una elegante digressione, che io giudico la parte migliore e più persuasiva del lavoro, il Tangl risolve il problema del tempo nel

Archivio della R. Società romana di storia patria, Vol. XXVIII. 32

quale Ildebrando vesti l'abito monacale. Egli prova come la notizia di Bonizone che Ildebrando, alla morte di Gregorio VI, entrò nel monastero di Cluny, deve ritenersi esatta, come anche dimostra che il primo incontro fra Ildebrando e Leone IX dovette avvenire a Besançon e non a Worms, come il Martens aveva creduto di poter dimostrare. E, tornando alla nostra questione, osserva il Tangl che tutti i contradittori accaniti di Gregorio VII non avrebbero mancato di rinfacciargli la sua origine giudaica, se ne avessero avuto notizia. Ma di origine giudaica è soltanto il Tangl che parla. Io non so, per esempio, se il gran cancelliere dell'impero Germanico abbia dei figliuoli. Li direbbe il prof. Tangl di origine italiana, perchè il principe von Bülow ha sposato una italiana? Evidentemente, se vincoli di parentela vi furono tra Gregorio VII ed i Pierleoni, essi dovettero annodarsi per linea femminile. E come nessuno avrebbe potuto sostenere che i Pierleoni, soltanto perchè erano imparentati con le nobili famiglie cristiane di Roma, erano di origine cristiana, cosi egualmente nessuno avrebbe potuto rimproverare a Gregorio VII l'origine giudaica, anche se sua madre fosse, per avventura, imparentata con una famiglia che già da due generazioni aveva abbandonato il giudaismo. E qui debbo correggere un curioso equivoco nel quale il prof. Tangl è caduto. Egli crede, nè so donde abbia tratto la singolare notizia, che sia stata qui in Roma scoperta un'iscrizione nella quale si fa parola della famiglia di Gregorio VII. Io non ho mai parlato di simile iscrizione, nè mai ne ha fatto cenno il Pasquali alla cui opera mi richiamavo. Il Pasquali, di cui rimpiangiamo la perdita recente, era, non ostante i suoi difetti, un acuto indagatore della storia di Roma, ed era giunto alla conclusione dell'origine romana di Ildebrando non col sussidio di iscrizioni, ma con argomenti che prometteva di pubblicare prossimamente nella sua storia di S. Maria in Portico. È da augurarsi che quest'opera, della quale so che era pronto in gran parte il materiale, sia pubblicata, non ostante che la morte ne abbia rapito l'autore.

E veniamo infine alla testimonianza degli Annali di Pegau: «< Apo«stolico igitur cum Petro Leone avunculo suo fugam ineunte ». A me non era sfuggito il lato debole di questo argomento, trattandosi di uno scrittore di epoca posteriore, e che non conosce bene gli avvenimenti: e qualche dubbio lo avevo pure esposto. Ma le giuste osservazioni del Tangl mi convincono pienamente che quella fonte non merita alcuna fiducia. E dorma pure in pace la testimonianza degli Annales Pegavienses sotto la ben scolpita pietra sepolcrale che il Tangl giustamente si dà vanto di aver posto sulla sua tomba. Ma meritano per questo di essere ricacciati inesorabilmente nella stessa tomba tutti gl' indizi raccolti di una probabile parentela fra Ildebrando ed i Pierleoni? Non

lo credo, e spero di riesaminare a miglior tempo e più pacatamente la questione alla quale forse porterò nuovi elementi che, se non varranno a risolverla, potranno giovare un poco alla conoscenza storica del grande avversario di Errico IV.

P. FEDELE.

Il Canzoniere di Francesco Petrarca riprodotto letteralmente dal cod. Vat. Lat. 3195 a cura di ETTORE MODIGLIANI. Pubbl. della Società Filologica Romana (Roma, 1904).

Non v'è studioso del Petrarca, il quale ignori l'importanza somma del codice Vaticano Lat. 3195. Esso contiene l'originale intiero e compiuto delle Rime, quale l'avrebbe egli medesimo approntato se avesse dovuto licenziarlo per la stampa. Le strofe soavi, «nate di notte in <«< mezzo ai boschi », erano da lui divulgate tra gli amici e i conoscenti, che alla lor volta le ripetevano e le abbandonavano alla curiosità del pubblico: sicchè passando di bocca in bocca, di penna in penna, « le voci de' sospir suoi in rima» s'erano alterate, snaturate al punto ch'ei stentava - assevera - di riconoscerle come sua proprietà. Ond è che in una famosa lettera al Boccaccio, nel 1366, manifestava il proposito di voler provvedere a che le migliori delle cose sue non fosser più a lungo dilaniate dal volgo. Il proposito fu ne' due anni successivi a quello tradotto nella realtà: e il Petrarca intraprese la trascrizione de' Rerum vulgarium fragmenta, fatta in parte per mano propria, in parte per mano di un copista in tutto e per tutto guidato da lui: trascrizione, ch'ei corresse e ricorresse con quella fastidiosa, eccessiva forse, e incontentabile minuziosità, che metteva in ogni sua opera, e di cui si riprende come d'un difetto in una nota marginale nell'esemplare del Plinio, che ha accolto tante sue tacite confidenze (Par. 6802). Numerosissime sono infatti le abrasioni, che nel codice si incontrano; << abrasioni di lettere, di sillabe, di parole, perfino di versi e di com<< ponimenti intieri, dovute quasi tutte alla mano del Petrarca, il quale <«< non solo rivide i componimenti di pugno del copista, ma in più luoghi <<< ritornò anche su quelli trascritti da lui, o per correggere qualche « lapsus calami, o per modificare la forma, sempre nell'intento di rag<< giungere maggiore eleganza ed armonia ».

È adunque questo, contenuto nel cod. Vat. 3195, il vero Petrarca, come lo chiamò Pietro Bembo, il quale fece acquisto del prezioso

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