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dell'abate Sublacense non perdettero la fiducia di riuscire, e passati dieci giorni, ritornarono nuovamente all'abate di S. Biagio per chiedere gli « apostoli aperti ». L'abate, stanco dalle noie, avverte i procuratori, che l'avvocato della badessa, Giovanni Pacchini, s'era opposto alla concessione degli >> apostoli aperti » con eccezioni (« alligationibus ») di cui egli non poteva non tener conto. Delusi nuovamente, i procuratori compresero che sarebbe riuscito vano ogni loro tentativo.

Pare che allora intervenisse indirettamente il pontefice, perchè comparisce Paolo Paparoni, canonico di S. Pietro, come commissario per una visita al monastero di S. Erasmo. Il commissario incarica il notaio Buccio d'Angelo di chiedere gli «< apostoli » per l'appello (1). La badessa previde che la commedia volgeva alla sua fine poichè il vicario, suo protettore, era stato sostituito con Luca, vescovo di Nocera; sparito dalla scena il protagonista, la condanna di Giovanna doveva essere imminente. Ma la donna vuol tentare l'ultima prova e scrive al papa pregandolo di volerla assolvere dalla scomunica lanciata contro di essa dal canonico Paolo Paparone, suo nemico capitale, il quale «< contra <«< iusticiam »> non volle ascoltare le sue ragioni.

Il 29 giugno del 1373, il pontefice Gregorio, non ancora stanco di assistere a si comica rappresentazione, scrisse a Luca, suo vicario, di far luce completa sulla condotta della badessa (2).

L'appello fatto da Giovanna ebbe effetto opposto: la Sede apostolica informata dal suo vicario, che realmente la badessa « vitio incontinentiae laborabat et bona ipsius mo« nasterii S. Herasmi dilapidabat », con bolla del 27 settembre 1373, ordinò al vicario la riforma del monastero

(1) Arch. Subl., orig., arca XLI, 9; FEDERICI, op. cit. I, n. 1725. (2) Archivio Vaticano, Reg. Avinion., Gregorio XI, a. ш, XIX, 238.

Archivio della R. Società romana di storia patria. Vol. XXVIII.

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del Celio (1). Gregorio XI per estirpare il male dalle sue radici scacciò nuovamente (1373) le monache, ed unì il monastero di S. Erasmo al Sublacense. L'abate Francesco di Padova mandò allora quale priore e rettore del monastero frate Stefano Polono, monaco dello Speco (18 ottobre 1373) (2).

Se il monastero fu tolto al governo della malagurata donna, e se fu riformato per volere del papa, sostituendo la scandalosa badessa e le monache con monaci del Sublacense, non perciò s'ebbe in seguito prosperità; che anzi vent'anni dopo vi tornarono le monache: ma questa volta l'elezione della badessa non è più fatta dall' abate di Subiaco, si bene dal pontefice: si conosce infatti la nomina di Cecilia badessa di S. Erasmo, designata nel 1393 da Bonifacio IX (3). Questo fatto si ricollega con la riforma di Urbano VI (13781389), secondo la quale l'abate di Subiaco non poteva più essere eletto dai monaci, ma dalla S. Sede, alla quale doveva da ora innanzi esser soggetto (4).

Nel 1400 S. Erasmo fu affidato temporaneamente alle cure del cardinale Giovanni del titolo dei Ss. Nereo ed Achilleo; ma quando questi rassegnò l'incarico (5), il pontefice Sisto IV (1478) vedendo l'edificio e la chiesa abban

(1) Arch. Subl., orig., arca II, 33; FEDERICI, op. cit. I, n. 1738. (2) Cronaca Subl. ed. cit. cap. XXVII, p. 413.

(3) Arch. Vat. Reg. di Bonifacio IX, a. v, p. 245. Questo volume s'è perduto, rimane però la notizia nelle schede dell' arch. Vaticano, dove si legge: « Monasterio S. Erasmi de Urbe ordinis sancti Bene« dicti providet de abbatissa».

(4) Cf. EGIDI, op. cit. p. 136 sg.

(5) A questo tempo pare si riferisca l'esistenza di una « aedicola «sita in hortis S. Stefani Rotundi in Coelio monte » menzionata con questa indicazione da frà Giocondo, il quale vi copiò l' iscrizione metrica di Pollia Saturnia (C. I. L. VI, 10131; BUECHELER, Ant. Lat. n. 1282); la stessa lapide fu trascritta da Pietro Sabino, che la indicò « in S. Erasmo prope S. Stephanum rotundum »; cf. GATTI, Bull. cit. p. 155, nota 2.

donati e quasi crollanti, ne volle riaperte le porte alla pietà dei fedeli ed al culto della cristiana religione, e l'affidò ai monaci di S. Stefano Rotondo perchè ne restaurassero e ne godessero la rendita che, al momento della unione del Celimontano con S. Stefano Rotondo, era di ventiquattro fiorini d'oro « de Camera » (1).

Nè poteva averne di più, quando si ripensi alle tristi vicende di questo monastero, del quale i pochi beni rimasti erano forse stati, come quelli del Sublacense, a discrezione dei pontefici nei secoli xiv e xv (2).

Non si sa con certezza quando le mura del monastero, per l'abbandono dei monaci di S. Stefano, crollassero: prima certamente del 1561 (3), poichè si sa che in quell'anno scavandosi sul Celio il terreno, riapparvero gli avanzi dell'oratorio di S. Erasmo: e nei conti del cardinale d'Este, fra i varii pagamenti fatti per questo scavo, si trova registrato il seguente: a dì 16 di marzo 1561 «a li cavatori della casa << di Santo Stefano Rotondo scudi otto e baiocchi 92 per opere <«< quarantotto fatte a detta casa, et per pagare un muratore <«< col suo manovale per avere scoperto la chiesa di S. Erasmo << a la detta cava >> (4).

(1) Arch. Vat. Reg. Later., Sisto IV, a. vII, vol. 787, c. 296 B. (2) Cf. EGIDI, op. cit. p. 139 sg.

(3) Gli scrittori di memorie antiche romane, nei primi decenni del secolo XVI, come POMPONIO LETO, FRANCESCO ALBERTINO, FABRICIO VARANO, RAFFAELE da Volterra &c. (v. De Roma prisca et nova varii auctores, Roma, 1523), non menzionano nè la chiesa nè il monastero di S. Erasmo. ANDREA FULVIO (Antiq. Urbis, lib. II. cap. de Coelio monte, Roma, 1527) dopo aver ricordato la chiesa di S. Stefano Rotondo, aggiunge: « fuit in eodem ambitu, memoria pa<< truum nostrorum, celeberrimum S. Erasmi monasterium ». Cf. GATTI, Bull. cit. p. 155.

(4) VENTURI, Archivio stor. dell' Arte, Roma, 1890, p. 199. Dopo la metà del secolo XIV, con le rovine apparve qualche avanzo di antiche pitture. Cf. UGONIO, op. cit. p. 291; GREGOROVIUS, op. cit. p. 188; GATTI, Bull. cit. p. 155.

Dopo trent'anni, nel 1592, lo Schrader (1) annoverava fra le chiese di Roma anche il monastero di S. Erasmo, ma probabilmente egli alludeva al luogo dove già era stato quel monastero, di cui ai suoi tempi dovevano vedersi solo le reliquie riapparse nel 1561, poco più di quanto si vede ora dell' antichissimo cenobio.

F. CAMOBRECO.

(1) Monumentorum Italiae..., Helmaestadii, edit. Lucius Iacobus, 1592.

Per la storia economica del secolo XIV

COMUNICAZIONI D'ARCHIVIO ED OSSERVAZIONI

N un lavoro, testè comparso, sulla costituzione economica e sociale de' Comuni medievali (1) toccai varie questioni attinenti alla storia delle finanze pontificie nel secolo decimoquarto e dai libri finanziarii ecclesiastici trassi anche copiose notizie per la storia economica generale di quel periodo. Ma la natura sintetica di quel libro non mi consentì di trattare ex professo così interessanti problemi, nè di fare allora tesoro di un vasto materiale, che già avevo in parte raccolto e che, col proceder del tempo, ho potuto arricchire.

In questo Archivio pertanto mi propongo di compiere e trasformare l'opera mia, aggruppando, a seconda de' varii argomenti, i fatti inediti, ch' io ricavai dai libri Vaticani, col proposito di trarre a suo tempo dall'esposizione opportune conclusioni particolari e generali. Lo studio proseguirà oltre il secolo decimoquarto sino al periodo della Riforma (tale almeno il mio desiderio) e sarà diviso in varie parti, delle quali nella conclusione finale sarà lumeggiato l'intimo rapporto.

(1) Il sistema della costituzione economica e sociale italiana nell' età dei Comuni, Roux e Viarengo, 1905.

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