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Defluxit numerus Saturnius, et grave virus
Munditiae pepulere; sed in longum tamen aevum
Manserunt hodieque manent vestigia ruris.
Serus enim Graecis admovit acumina chartis,
Et post Punica bella quietus quaerere coepit,
Quid Sophocles et Thespis et Aeschylus utile ferrent.
Temptavit quoque rem si digne vertere posset,

Et placuit sibi, natura sublimis et acer:

Nam spirat tragicum satis et feliciter audet,
Sed turpem putat inscite metuitque lituram.

secondo la regolare misura), rozzi ed incolti, usati dagli antichissimi popoli italici. Il numerus Saturnius andò in dimenticanza (defluxit si dileguò, scomparve »), quando furono introdotti i metri greci.

3-1. grave virus Munditiae pepulere « la eleganza e la purezza (del linguaggio) posero in bando quel pestifero veleno, cioè la ripugnante barbarie dell'horridus numerus Saturnius ».

4-5. in longum... aevum Manserunt hodieque manent vestigia ruris « le traccie di quella antica rustichezza rimasero per lungo tempo e rimangono ancor oggi ». Il poeta allude certamente alle rappresentazioni comiche, ancora molto in uso a' suoi tempi e di pretta origine italica, come le Atellane (specie di farse, che traevano il loro nome da Atella, città della Campania).

6. Serus accorda col soggetto sottinteso di admovit, cioè con Romanus. Dice il poeta che i Romani tardi rivolsero l'acume del loro ingegno alla letteratura greca (Graecis... chartis « alle Greche scritture »), ed infatti essi per lo spazio di oltre 5 secoli non vollero attendere se non alle armi e alle conquiste, senza darsi alcun pensiero della coltura dello spirito. Per tutto quel tempo non solo essi non ebbero letteratura, ma disprezzarono anche quella delle altre nazioni. La gioventú non educavasi se non agli esercizî corporei, né lo Stato pensò mai a stipendiare pubblici maestri di lettere. Secondo Plutarco, il primo maestro comparve in Roma circa l'anno 231 a. C., e fu un certo Spurio Carvilio.

7-8. quietus durante la pace », che seguf alle due prime guerre puniche. Quid Sophocles etc. I primi saggi di poesia romana furono delle traduzioni di tragici greci (e di comici). Tespi fu l'inventore del dramma in Grecia; Eschilo venne dopo di lui, ma molto tempo dopo, e fu seguito da Sofocle e da Euripide.

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9. Temptavit... rem (= hanc rem, cioè si... posset) « tentò l'intrapresa, si provò ». vertere: << tradurre in latino », o meglio: «ridurre, adattare alle scene romane». 10. placuit sibi: si compiacque, fu contento dell'opera sua, cioè dei suoi tentativi di dramma tragico. naturā sublimis et acer: come quegli che da natura è portato al sublime e alla profondità del sentimento.

11. spirat tragicum (sott. spiritum): osserva l'accus. dell'oggetto interno, e cf. vivere vitam, currere cursum etc.

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12. Costr. Sed inscite (= stulte) putat turpem et metuit lituram: egli considera come un disonore il correggere i proprî scritti (litura: cassatura, cancel· latura). Orazio rimprovera a' poeti romani più antichi il difetto di scrivere troppo rapidamente, seguendo soltanto la loro ispirazione e senza limare abbastanza il loro stile: la rapidità soverchia del comporre non può conciliarsi colla corret. tezza e perfezione degli scritti.

VI. Severo giudizio di Catone intorno ai Greci,

(CATONE, pr. Plinio, N. H, XXIX, 7, 14).

Dicam de istis Graecis suo loco, Marce fili, quid Athenis 1 exquisitum habeam, et quod bonum sit illorum litteras inspicere, non perdiscere, vincam. Nequissimum et indocile ge- 2 nus illorum, et hoc puta vatem dixisse: quandoque ista geus suas litteras dabit, omnia corrumpet; tum etiam magis, si medicos suos huc mittet. Iurarunt inter se barbaros necare 3 omnes medicina, sed hoc ipsum mercede facient, ut fides iis sit et facile disperdant. Nos quoque dictitant barbaros et spur- 4 cius nos quam alios Opicos appellatione foedant. Interdixi tibi de medicis.

VI. Catone il Censorio (cf. sopra, N.° IV, b) tra gli altri suoi libri scrisse una specie di enciclopedia (che è andata perduta), intitolata Praecepta ad filium. In un frammento conservatoci da Plinio il Vecchio, e che è il luogo quí riportato, il fiero censore, nemico acerrimo di tutto ciò che potesse mutare e sconvolgere le antiche idee e costumanze di Roma, si scaglia contro i Greci che minacciavano di invadere l'Urbe e di corromperla colla loro scienza, specialmente colla medicina.

1. Dicam de istis Graecis etc. Catone si rivolge al figliuolo Marco, a cui è dedicato il suo libro, e gli dice che in un altro luogo piú opportuno, egli, a proposito de' Greci, dirà quello che ha imparato sul conto loro ad Atene; e come sia bene avere si notizia delle lettere greche, ma non studiarle a fondo. — quid exquisitum habeam quid exquisiverim. et quod bonum sit... vincam «e proverò (vin

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cam) come sia buona cosa etc. ».

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2. Nequissimum et indocile (sott. est) genus illorum: I Greci sono immorali e indisciplinati; Catone rimprovera ai Greci la mancanza di quelle qualità che erano più care ai Romani: la moderatezza dei costumi e lo spirito di disciplina, o, in una parola sola, la gravitas, il sentimento della propria dignità personale. et hoc puta vatem dixisse «e fa' conto che sia un profeta che ti dica questo (cioè quello che segue: quandoque ista gens etc.) ». — quandoque se, quando che sia ». suas litteras la sua scienza, suo sapere, la sua civiltà ». tum etiam magis

<e peggio ancora ».

3. Iurarunt inter se hanno congiurato fra loro ». — barbaros... omnes, cioè tutti i forestieri, i non Greci, ed in particolar modo i Romani; cf. subito dopo: Nos quoque dictitant barbaros. Come si sa, i Greci chiamavan barbaro chiunque non fosse della loro nazione, senza però annettere propriamente a quella parola il senso che più tardi essa acquistò di « rozzo, incivile, selvaggio ». fides < fiducia». disperdant: disperdere sterminare, compiere una opera di

distruzione.

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4. spurcius nos etc. e anzi avviliscono noi più degli altri popoli forestieri col chiamarci Opici». Opici o Osci eran detti dai Greci gli abitanti dell' Italia meridionale, dalla valle del Tevere fino alla Calabria. Quel nome in bocca ai Greci, e piú tardi in bocca de' Romani stessi, aveva significato dispregiativo. - Interdixi tibi de medicisti proibisco di servirti de' medici (Greci)». Catone usa il perfetto perché egli propr. vuol dire: «Ho deciso di proibirti l'uso dei medici Greci ».

VII. Corruzione dei costumi

negli ultimi tempi della repubblica.

(SALL., Catil., 12).

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Postquam divitiae honori esse coepere et eas gloria, imperium, potentia sequebatur, hebescere virtus, paupertas probro 2 haberi, innocentia pro mali volentia duci coepit. Igitur ex divitiis iuventutem luxuria atque avaritia cum superbia invasere: rapere, consumere, sua parvi pendere, aliena cupere; pudorem, pudicitiam, divina atque humana promiscua, nihil pensi neque 3 moderati habere. Operae pretium est, cum domos atque villas cognoveris in urbium modum exaedificatas, visĕre templa deo4 rum, quae nostri maiores, religiosissumi mortales, fecere. Verum

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eas, sc. divitias.

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VII. 1. coepere coeperunt. sequebatur: volta il costrutto da attivo in passivo, traducendo: « ed erano esse (le ricchezze), che procacciavano la gloria etc. ». - hebescere virtus (coepit): il sentimento della virtú cominciò a venir meno; hebescere propr. è « divenire ottuso, indebolirsi, estinguersi probro haberi: cf. sopra, honori esse. innocentia, (= pecuniae abstinentia) incorruttibilità, integrità ». malivolentia invidia», verso quelli, s'intende, che si erano arricchiti con mezzi poco onesti.

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Fig. 41. Costruzione religiosa tra le più antiche di Roma (Tempio cosiddetto della Fortuna Virilis)..

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2. ex divitiis « a causa delle ricchezze ». - luxuria atque avaritia cum superbia. Questi tre vizi sono fatalmente congiunti insieme: la smania di spendere (luxuria) porta con sé la bramosia di guadagnare (avaritia), e cosí si conculcano superbamente i diritti altrui (superbia). rapere, consumere etc. Infiniti storici, il cui soggetto è iuventus. pudorem: l'onore. pudicitiam: la continenza. promiscua, si collega col seguente habere; il senso della frase è non aver piú alcun rispetto delle cose divine ed umane », « non rispettare piú alcuna legge divina od umana». pensi e moderati dipendono da nihil.

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3. in urbium modum: i palazzi e le ville che si fabbricavano i ricchi Romani si potevano paragonare per la loro grandiosità a delle città vere e proprie. visĕre andare a vedere per fare un confronto; i templi degli dèi parevano poca cosa in confronto alla magnificenza di quegli edifizi privati; eppure essi erano stati costruiti dagli antichi, i quali, religiosissimi come essi erano, avevano posto tutto il loro impegno a renderli degni della divinità. Il tempio cosiddetto della Fortuna Virilis (fig. 41) è il più bel saggio che ci rimanga delle costruzioni religiose dell' età repubblicana. La sua origine risale a Servio Tullio; distrutto da un incendio, fu poi ricostruito nel III

sec. a. C.

4. Il Verum si spiega sottintendendo un pensiero precedente, in modo che la frase intera sarebbe presso a poco questa: «Ma se i nostri antenati non hanno

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