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107

Or questo avrebbe l'isola risposto
A voi, cui volgo il mio fedele avviso,
Volendo dir, che'l bel, che sta riposto
Nel volto di Giacinto e di Narciso,
Novo fiore, ed onor nel mondo ha posto;
Ma quel bel che le donne hanno nel viso;
Ha seco tanto male e tanto inganno,
Che non apporta al mondo altro che danno.

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È forse poco mal, se l'uom dispone,
A viver l'età sua senza consorte?
Ne cadder molti in questa opinïone,
Vedendo una imprudenza di tal sorte;
Fra' quali il primo fu Pigmalione,
Che sofferta piuttosto avria la morte,
Che prender moglie, quando senza veste,
Le vide andare infami e disoneste.

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Scultor Pigmalione era eccellente,
Sebbene in Cipro avea la regia sede;
Or come vide quell'atto impudente,
Non potè nelle donne aver più fede;
E scacciato Imeneo dalla sua mente,
Alla sua gran virtù si volse e diede:
E fe' statue si degne e con tant❜arte,
Che fe' stupir il mondo in ogni parte.

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Gran gloria è di quel Re, ch'oltre al governo Ha di qualche virtù l'animo acceso,

Non dico già, ch'abbia'l suo offizio a scherno,
E che ponga in obblio lo scettro e'l
peso;
Ma nel ritrarsi al suo luogo più interno,
Data udienza, e'l suo consiglio inteso,
Da giusto fa, s' all' ozio non intende,
Ma in esercizio degno il tempo spende.

Nulla potest: operisque sui concepit amorem.
Virginis est verae facies, quam vivere credas: 250
Et, si non obstet reverentia, velle moveri.
Ars adeo latet arte sua*: miratur, et haurit
Pectore Pygmalion simulati corporis ignes.
Saepe manus operi tentantes admovet, an sit
Corpus, an illud ebur: nec ebur tamen esse fatetur. 255
Oscula dat, reddique putat, loquiturque, tenetque;
Et credit tactis digitos insidere membris:
Et metuit, pressos veniat ne livor in artus.

1

253. Simulati corporis. In similitudinem virginis effecti.

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Nel tempio della moglie di Vulcano
Posta una statua fu pochi anni avante,
Da dotta fatta e risoluta mano,

Di dente in un composto d' Elefante :
Il cui raro artifizio, e più che umano
Mostrava d'una vergine il sembiante;
E potè tanto in lei l'umana cura,
Che fu dall' arte vinta la Natura.

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Stupir vedendo il gran Ciprio scultore
Ciascun ch' ivi venia d'ogni altro regno,
Della rara beltà, dello splendore
Di quel bel simulacro illustre e degno,
Ad un' altera impresa accinse il core,
E di voler passar pensò quel segno:
Per far la fama sua volar più chiara,
Di far pensò una vergine più rara.

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E volendo avanzar quella immortale Opra, che tutto il mondo unica appella, pose tanto studio, e la fe' tale,

ᏙᎥ

Che non si vide mai cosa più bella;
Nè solamente potea dirsi eguale
All'altra si mirabile donzella,

Ma fatto il paragon stupir fe' ogn' alma,
E da tutti la nova ebbe la palma.

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Quando il contento Re lodar la

scorge

Dal giudizio d'ogn' uom più saggio e intero,
E del grido del popolo s' accorge,
Che non adula al Re, ma dice il vero,
L'occhio poi fisso a contemplarla porge,
E loda e ammira il suo bel magistero;
Poi la fa por nel suo proprio ricetto,
Per farla agli occhi suoi più spesso obbietto.

260

Et modo blanditias adhibet: modo grata puellis
Munera fert illi conchas, teretesque lapillos,
Et parvas volucres, et flores mille colorum,
Liliaque, pictasque pilas, et ab arbore lapsas
Heliadum lacrymas, ornat quoque vestibus artus :
Dat digitis gemmas; dat loata monilia collo.
Aure leves baccae, redimicula pectore pendert. 265
Cuncta decent: nec nuda minus formosa videtur.
Collocat hanc stratis concha Sidonide tinctis:
Appellatque tori sociam: acclinataque colla

263. Heliadum. Armillas et lineas ex electro seu succino stillante a po

pulis in quas Phaethontis sorores versae finguntur.

267. Concha. Purpura Sidonia, seu Tyria.

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Non può gli occhi levar da quella immago,
Che vergine si degna rappresenta,
E della sua beltà talmente è vago,
Che vi tien tutto 'l dì la luce intenta.
Loda l'aspetto suo leggiadro e vago,
Che par ch' abbia lo spirito e che senta;
E ch'ami alzare il volto, o'l ciglio almeno,
Ma il virginal timor la tenga in freno.
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Dentro vi sta talmente ascosa l'arte,
Che l'ha per viva ogn'occhio che la mira,
Ed ei la va cercando a parte a parte,
E men che trova l'arte più l'ammira;
Conosce tanto bella ogni sua parte,
Che già n'arde d'amore e ne sospira ;
E mentre all' alme vive il suo cor nega,
Morta e finta bellezza il suo cor lega.
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Mentre viva gli par, tende la mano
E vuol col dito esperienza farne,
E come abbia a sentir tocca pian piano,
Che non le vuol far livida la carne;
E sebben non gli par poi corpo umano,
Non però vuol certo giudizio darne:
La bacia, le favella, e poi si duole,
Che non può trar da lei baci e parole.

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Le fa mille carezze, e le dà lode, Sta però sol, nè vuol esser veduto, E di palparla e di adornarla gode; Sol v'entra, s'egli accenna un fido muto: Un muto, che non parla e che non ode, Ma ben servente accorto ed avveduto; E quando il Re gli accenna che stia cheto, Non palesa col cenno il suo secreto.

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