Lo Sfondilio non v'è, nè'l Peucedano; Ma il Solatro, e'l Papavero v'abbonda, Con l'erbe, onde la Notte empie la mano Per trar dal seme il Sonno o dalla fronda ; E poichè vede il Sol da noi lontano, E ch'ella il nero ciel volge e circonda, Porge quel suco all' ozïoso Dio,
Perchè il notturno in noi cagioni oblio.
L'entrata non ha porta, e non si serra, Perchè girando il cardine non strida. Si siede l'Ozio accidioso in terra, Ch'a vergognoso fin se stesso guida: Al Nume, a cui la Notte i sensi atterra, La Pigrizia dovea, ch' ivi s'annida, Una ghirlanda far di più colori, E già per lo giardin cogliendo i fiori.
Stracciata, scinta e rabbuffata il crine, Si move verso il fiore inferma e tarda; Con gran difficoltà par che s'inchine, E, come sta per corlo, ancor ritarda : Come bramasse non venirne alfine,
Si gratta il capo, e poi sbadiglia e guarda. E sebben sa ch' alfine ella il dee torre, Tutto quel che far può, fa per nol corre.
Lo smemorato Oblio risiede appresso Al nero letto, dove il Sonno giace:
Non ha in memoria altrui, nè men se stesso; S' alcun gli parla, ei non l'ascolta e tace. Fa la scorta il Silenzio, e guarda.spesso, Se per turbare alcun vien la lor pace:
per non far romor, mentre anda e riede, D'oscuro feltre ha sempre armato il piede.
Praeterit hos senior: cunctisque è fratribus unum Morphea qui peragat Thaumantidos edita, Somnus Eligit, et rursus molli languore solutum
Deposuitque caput, stratoque recondidit alto. Ille volat, nullos strepitus facientibus alis,
Per tenebras: intraque morae breve tempus in urbem Pervenit Haemoniam, positisque è corpore pennis In faciem Ceycis abit; formaque sub illá Luridus, exangui similis, sine vestibus ullis, Conjugis ante torum miserae stetit. Uda videtur 655 Barba viri, madidisque gravis fluere unda capillis.
647. Thaumantidos edita. Iridis jussa: Thaumantis filiae. Somnus. Somni Deus.
651. Urbem Emoniam. Trachina, urbem Thessaliae, ut supra ad vers. 269.
Di nera lana, o di coton s'ammanta, Ma di seta non mai vestir si prova: Suol con rispetto tal fermar la pianta, Che par che sulle spine il passo mova. Col cenno la favella all' uomo incanta, E fa ch' acceuni; ed ei, se vuol, l'approva: Col cenno parla, e la risposta piglia Dal cenno della mano e delle ciglia.
In mezzo all'antro sta fondato il letto: D'ebano oscuro il legno è, che'l sostiene. Ciò, ch'ivi agli occhi altrui si porge obbietto Dal medesmo color la spoglia ottiene. I Sogni, ch' all'uman fosco intelletto
Si mostran, mentre il Sonno oppresso il tiene, Intorno al letto stan di varie viste,
Quanti dà fiori Aprile e Luglio ariste.
Tostochè 'l muto Dio la Nuncia scorge, Col cenno parla a lei sopra la porta: Ella all'incontro ancor col cenno porge, Che brama al Sonno dir cosa, ch'importa. Com'egli del voler divin s'accorge, La fa passar nell' aria oscura e morta : Ma con la luce sua, com'entro arriva, La fa tutta venir lucida e viva.
Per tutto i Sogni a lei la strada fanno, Che passi, ove lo Dio posa le gote Alza ella al padiglione il nero panno,
quattro e cinque volte il chiama e scuote. Tostochè 'l primo suon le voci danno, Fugge quindi il Silenzio più che puote: Di scuoter ella, e di chiamar non resta Tanto, ch'a gran fatica alfine il desta.
Tum lecto incumbens, fletu super ora refuso, Haec ait: Agnoscis Ceyca, miserrima conjux? An mea mutata est facies nece? respice; nosces: Inveniesque tuo pro conjuge conjugis umbram: 660 Nil opis, Halcyone, nobis tua vota tulerunt. Occidimus: false tibi me promittere noli. Nubilus Egaeo deprendit in aequore navim Auster, et ingenti jactatam flumine solvit: Oraque nostra tuum frustra clamantia nomen Implerunt fluctus. Non haec tibi nuntiat auctor Ambiguus; non ista vagis rumoribus audis.
663. Eegaeo. Quod e sinu Maliaco sub Heraclea ceu Trachina solventi trajiciendum est in Joniam naviganti, supra vers. 479. namque Egaeum mare duo alluit Graeciae latera; illud ad ortum Solis, hoc ad Meridiem.
Con gran difficoltà lo Dio s'arrende Al grido, ch' a destarsi 'l persuade : Sul letto assiso si distorce e stende, E chiede sbadigliando, che gli accade. La Dea comincia ; e mentre a dire intende, Sul petto ei tuttavia col mento cade:
Ella lo scuote, e come avvien, che 'l tocchi, Procura con le dita aprir ben gli occhi.
Sul braccio alfin s'appoggia, ed E la Dea conosciuta apre l'accento: O riposo del Mondo, o d'ogni Nume Più placido, più quieto, e più contento; O Dio, che con le tue tranquille piume Togli il diurno agli uomini tormento, Fa' ch'un de' Sogni tuoi nell' aria saglia Ver la città, ch' Alcide fe'in Tessaglia. 209
E di' ch'alla infelice Alcione apporte Con la sua finta ingannatrice imago Come il naufragio andò del suo consorte, E come s' annegò nel salso lago:
La maggior Dea della celeste Corte, Ch'ella ne sappia il vero, il core ha vago; La Dea si parte al fin di queste note, Perocchè'l sonno più soffrir non puote.
Per l'arco istesso, onde discese in terra, Tornò la bella Nuncia al regno eletto: Fra tutto il falso popolo, che serra De' proprj figli'l Sonno entro al suo tetto, Un nominato Morfeo ne disserra, Che sa meglio imitar l'umano aspetto; Ed oltre al volto accompagnar vi suole, L'abito, il gesto e il suon delle parole.
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