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199

Lo Sfondilio non v'è, nè'l Peucedano;
Ma il Solatro, e'l Papavero v'abbonda,
Con l'erbe, onde la Notte empie la mano
Per trar dal seme il Sonno o dalla fronda ;
E poichè vede il Sol da noi lontano,
E ch'ella il nero ciel volge e circonda,
Porge quel suco all' ozïoso Dio,

Perchè il notturno in noi cagioni oblio.

200

L'entrata non ha porta, e non si serra,
Perchè girando il cardine non strida.
Si siede l'Ozio accidioso in terra,
Ch'a vergognoso fin se stesso guida:
Al Nume, a cui la Notte i sensi atterra,
La Pigrizia dovea, ch' ivi s'annida,
Una ghirlanda far di più colori,
E già per lo giardin cogliendo i fiori.

201

Stracciata, scinta e rabbuffata il crine,
Si move verso il fiore inferma e tarda;
Con
gran difficoltà par che s'inchine,
E, come sta per corlo, ancor ritarda :
Come bramasse non venirne alfine,

Si gratta il capo, e poi sbadiglia e guarda.
E sebben sa ch' alfine ella il dee torre,
Tutto quel che far può, fa per nol corre.

202

Lo smemorato Oblio risiede appresso Al nero letto, dove il Sonno giace:

Non ha in memoria altrui, nè men se stesso;
S' alcun gli parla, ei non l'ascolta e tace.
Fa la scorta il Silenzio, e guarda.spesso,
Se per turbare alcun vien la lor pace:

E

per non far romor, mentre anda e riede, D'oscuro feltre ha sempre armato il piede.

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Praeterit hos senior: cunctisque è fratribus unum
Morphea qui peragat Thaumantidos edita, Somnus
Eligit, et rursus molli languore solutum

Deposuitque caput, stratoque recondidit alto.
Ille volat, nullos strepitus facientibus alis,

650

Per tenebras: intraque morae breve tempus in urbem
Pervenit Haemoniam, positisque è corpore pennis
In faciem Ceycis abit; formaque sub illá
Luridus, exangui similis, sine vestibus ullis,
Conjugis ante torum miserae stetit. Uda videtur 655
Barba viri, madidisque gravis fluere unda capillis.

647. Thaumantidos edita. Iridis jussa: Thaumantis filiae. Somnus. Somni Deus.

651. Urbem Emoniam. Trachina, urbem Thessaliae, ut supra ad vers. 269.

203

Di nera lana, o di coton s'ammanta,
Ma di seta non mai vestir si prova:
Suol con rispetto tal fermar la pianta,
Che par che sulle spine il passo mova.
Col cenno la favella all' uomo incanta,
E fa ch' acceuni; ed ei, se vuol, l'approva:
Col cenno parla, e la risposta piglia
Dal cenno della mano e delle ciglia.

204

In mezzo all'antro sta fondato il letto: D'ebano oscuro il legno è, che'l sostiene. Ciò, ch'ivi agli occhi altrui si porge obbietto Dal medesmo color la spoglia ottiene. I Sogni, ch' all'uman fosco intelletto

Si mostran, mentre il Sonno oppresso il tiene, Intorno al letto stan di varie viste,

Quanti dà fiori Aprile e Luglio ariste.

205

Tostochè 'l muto Dio la Nuncia scorge,
Col cenno parla a lei sopra la porta:
Ella all'incontro ancor col cenno porge,
Che brama al Sonno dir cosa, ch'importa.
Com'egli del voler divin s'accorge,
La fa passar nell' aria oscura e morta :
Ma con la luce sua, com'entro arriva,
La fa tutta venir lucida e viva.

206

Per tutto i Sogni a lei la strada fanno,
Che passi, ove lo Dio posa le gote
Alza ella al padiglione il nero panno,

E

quattro e cinque volte il chiama e scuote. Tostochè 'l primo suon le voci danno, Fugge quindi il Silenzio più che puote: Di scuoter ella, e di chiamar non resta Tanto, ch'a gran fatica alfine il desta.

Tum lecto incumbens, fletu super ora refuso,
Haec ait: Agnoscis Ceyca, miserrima conjux?
An mea mutata est facies nece? respice; nosces:
Inveniesque tuo pro conjuge conjugis umbram: 660
Nil opis, Halcyone, nobis tua vota tulerunt.
Occidimus: false tibi me promittere noli.
Nubilus Egaeo deprendit in aequore navim
Auster, et ingenti jactatam flumine solvit:
Oraque nostra tuum frustra clamantia nomen
Implerunt fluctus. Non haec tibi nuntiat auctor
Ambiguus; non ista vagis rumoribus audis.

665

663. Eegaeo. Quod e sinu Maliaco sub Heraclea ceu Trachina solventi trajiciendum est in Joniam naviganti, supra vers. 479. namque Egaeum mare duo alluit Graeciae latera; illud ad ortum Solis, hoc ad Meridiem.

207

Con gran difficoltà lo Dio s'arrende
Al grido, ch' a destarsi 'l persuade :
Sul letto assiso si distorce e stende,
E chiede sbadigliando, che gli accade.
La Dea comincia ; e mentre a dire intende,
Sul petto ei tuttavia col mento cade:

Ella lo scuote, e come avvien, che 'l tocchi,
Procura con le dita aprir ben gli occhi.

208

apre

Sul braccio alfin s'appoggia, ed
E la Dea conosciuta apre l'accento:
O riposo del Mondo, o d'ogni Nume
Più placido, più quieto, e più contento;
O Dio, che con le tue tranquille piume
Togli il diurno agli uomini tormento,
Fa' ch'un de' Sogni tuoi nell' aria saglia
Ver la città, ch' Alcide fe'in Tessaglia.
209

il lume,

E di' ch'alla infelice Alcione apporte
Con la sua finta ingannatrice imago
Come il naufragio andò del suo consorte,
E come s' annegò nel salso lago:

La maggior Dea della celeste Corte,
Ch'ella ne sappia il vero,
il core ha vago;
La Dea si parte al fin di queste note,
Perocchè'l sonno più soffrir non puote.

210

Per l'arco istesso, onde discese in terra,
Tornò la bella Nuncia al regno eletto:
Fra tutto il falso popolo, che serra
De' proprj figli'l Sonno entro al suo tetto,
Un nominato Morfeo ne disserra,
Che sa meglio imitar l'umano aspetto;
Ed oltre al volto accompagnar vi suole,
L'abito, il gesto e il suon delle parole.

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