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DI

MARCANTONIO FOPPA

ALL' EMINENTISS. E REVERENDISS.

SIG. CARD. SFORZA PALLAVICINO

Il giudicare delle composizioni de' grandi, e famosi au

tori è impresa da grande e dotto ingegno; ma il dar giudizio del loro giudizio, è sol da sublime, e perfettissimo intelletto. Fece prima della sua morte, Torquato Tasso il Giudizio della sua Gerusalemme, da lui medesimo riformata; e perchè si trattava in esso della perpetuità del suo nome e della sua gloria, dovendosi mostrare al mondo qual de' due suoi Poemi fosse il migliore accampò, per usar le sue parole, tutte le forze dell'ingegno a formarlo secondo la norma prescritta dai più saggi maestri dell'arte poetica, e seguita poi dalľ esempio de' più illustri poeti. E tanto intese con l'animo, e con la penna a questa fatica, che divisala da tutte l'altre sue opere, ne formò un distinto volume, in cui il lettore avesse a fermarsi, e riposare quasi ultima meta de' suoi studi, e della certa cognizione di se stesso, e delle sue cose; benchè prevenuto da morte non potesse distendere, e aggiungere a' due compiuti Libri, il terzo, dove intendeva di trattar dell' Elocuzione, come avea fatto negli altri dell' Allegoria e della Favola. E veramente, se i grandi Poemi, quali sono specialmente gli Epici, dall' universale consentimento ricevono l' approvazione e l'applauso, pareva conveniente che essendo stato letto il primo Poema con ammirazione, ei rendesse ragione delle mutazioni, e della riforma fattane per giungere, secondo il suo parere, perfezione a componimento, già dai migliori giudicato perfetto. Il che fece in questi Libri non so se con maggior maraviglia appresso coloro, che gli leggeranno, o delle stesse mutazioni del poema, o della chiarezza della mente, che fra tanti infortunj, e

in così lunga infermita egli conservò sempre nello scrivere e nel comporre, o della varia e profonda dottrina, che in lor si contiene; come ottimamente conobbe Vostra Eminenza la prima volta che da me le furon presentati a penna, che gli ebbe letti e considerati, chiamandogli prezioso tesoro di scienza e di erudizione. Or questo Giudizio, raccolto nell'istesso modo in un volume, io vengo a pubblicar con le stampe, e ad offerirlo di nuovo a V. E. acciocchè, ascoltate e rilette le sue ragioni, giudichi se a favore della Gerusalemme Liberata debba prevalere il grido popolare, e già ricevuto di coloro, che hanno l'animo occupato dalla dolcezza del primiero canto, o a favor della Conquistata la diritta regola dell'arte, e la stima dei più dotti, benchè in numero minori. All'intendimento altissimo di V. E. sarà agevole il penetrare dentro i misteriosi ed intimi sentimenti di sì grande Scrittore, e considerato e pesato ciò, ch' egli ha inteso di dimostrare, e darne la sentenza, alla quale tutto il mondo letterato dovrà senza alcun appello acquetarsi, essendo già il nome del Cardinale Sforza Pallavicino divenuto appresso ciascuno nome di somma sapienza, e insieme di somma autorità. Io supplico V. E. che dal Tasso riceva le ragioni e la dottrina, da me la cura e la fatica di averlo, insieme con altre sue composizioni, raccolto e fattolo imprimere, e che nel giudizio che formerà dell' opera si degni anche di giudicare della mia antica e devotissima servitù verso di Lei, secondo le mie infinite e singolarissime obbligazioni, e secondo gli effetti della sua continua verso di me e sempre maggior benignità; e a Vostra Eminenza fo umilissima riverenza.

Di Roma il primo d'Agosto 1666.

Di Fostra Eminenza

Umilis. Devotis. e Obbligatis. Servitore

MARC' ANTONIO FOPFA.

SOVRA LA GERUSALEMME

DI TORQUATO TASSO

LIBRO PRIMO

NEL QUALE SI TRATTA DELL'ISTORIA E DELL' ALLEGORIA

uegli antichi scrittori de' Gentili, che nelle Greche, e nelle Romane favole costituirono Eaco, Minos, e Radamanto giudici dell'altra vita, vollero, per mia opinione, darci a divedere, quanto incerti, e quanto fallaci siano i giudicj de' mortali, dalla cui sentenza è spesso assoluto l'ingiusto, e all'incontra il giusto è condannato. Nondimeno, per quello, che da loro si può raccogliere, innanzi al tribunale di que' severissimi giudici si giudica della virtù, e del vizio degli uomini, o pur delle buone, e delle malvagie operazioni: ma degli scritti non si legge che nell' altra vita si faccia giudicio alcuno. Nè contende Onero con Esiodo, o con Museo, del principato, nè con Socrate, o con Platone Aristotele, nè con Eschine, o con Iperide Demostene; benchè si scriva che fra Alessandro, e Pirro, e Scipione, e Annibale, fra' quali colla vita è cessata ogni guerra, si faccia ancor lite per la gloria dell'arte militare: e peravventura non pareva convenevole che ove si tratta delle pene, e de' premj eterni, s'avesse riguardo a questa fama, e quasi grido degli uomini, che in comparazione dell'eterna gloria è simile ad un soffio, che quasi in un momento si disperde nell'aria caliginosa, e da lunga offuscazione adombrata.

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Ma se dagli scritti ancora non solamente dall'armi, sogliono derivar molti beni, e molti mali nella vita degli Homini, non era forse disconvenevole che i filosofi, e i

poeti, e gli oratori similmente richiedessero il guiderdone e la corona a que' giudici, i quali non possono così di leggieri ingannarsi, come gli altri, che solevano compartire i premj, e le corone a' vincitori delle contese ne' giuochi Olimpici, che ivi quasi al cospetto di tutta la Grecia solennemente erano celebrati: anzi se in quella solennità, per la difficoltà del giudicare, come scrive Aristotele nei problemi, non erano proposti i premj a'contrasti dell'ingegno, ma a quelli del corpo solamente, assai pareva conveniente che ove l'ingegno insieme coll'animo si manifesta, senza alcun velo, od altro manto, che lo ricopra, e senza alcuna latebra, nella quale possa tra le tenebre ricoverarsi l'intelletto del sofista, ivi i debiti premj alle contemplazioni, e all' opere della mente fossero conceduti. Ma pure nè Luciano, nè altro più ardito scrittore fece citare Omero, o Esiodo, o alcuno degli altri nominati al giudicio dell'altra vita; benchè si legga che Museo, e Omero, e Alceo, e alcuni altri siano fra quelle anime, che godono la beatitudine de' Campi Elisi, e dell'Isole fortunate. E se fra loro non è contesa, non par convenevole che fra i vivi e i morti possa nascer alcun ragionevole contrasto di onore, e di gloria, o di riputazione, e molto meno fra quelli; che oggi vivono, e quelli, che già molte centinaja d'anni sono trapassati agl' immortali secoli; perciocchè i vivi sono sottoposti all'invidia, ma colla morte l'invidia suol essere superata, o almeno, come scrive il Petrarca, quando più non sopravivono coloro, che solevano esser emuli nel mondo. Oltre a ciò, se a' vecchi in questa vita si conviene onore, e riverenza; quanto più è dovuta a coloro, che sono già morti, e partiti dalle contese della vita, quasi guerrieri meritevoli, o, come dicono, emeriti, i quali raccogliendo l'insegne, lasciano la guerra, e le fatiche del guerreg giare? E se il far oltraggio, o il dir villania ad uomo antico è brutta cosa, e vituperevole assai più all'ingiuriatore, che all'ingiuriato; vituperevolissimo, senza fallo, è biasimare i morti, almeno a torto, e senza gravissima cagione.

Sia lecito a Marco Tullio il parlare contro Cesare ucciso da'congiurati, o pur a Gregorio Nazianzeno il condan

nare la memoria di Giuliano, empio e iniquo Imperatore: ma non si permetta, senza utile o salute della Repubblica, il favellare, o lo scrivere contro quelli, che non sono più soggetti alle condizioni di questa vita terrena e caduca, ai quali dalle bene instituite Repubbliche furono ordinate lodi, e orazioni pubbliche. E se alcuna città fu giam nai simile all' Ateniese, la qual propose i premj alla maledicenza, come leggiamo nell'orazioni, che scrive Dion Grisostomo ai cittadini di Tarso, non ebbe altro fine, che di giovare a' vivi, non solamente colle laudi, ma co' biasimi; però consenti che nelle scuole, e ne'teatri, e nelle corone degli uditori i filosofi, i poeti, e gli oratori esercitassero la ragione, e l'eloquenza, quasi spada di due tagli, per risecare i vizi, e medicar l'infermità dell'umana generazione, perchè l'infamia è pena, e la pena è medicina del vizio; nondimeno, come scrive il medesimo Dion Grisostomo, il vituperio è un medicamento di ferro, e di fuoco, il quale rade volte si dee usare; ma la laude data, e ricevuta temperatamente è non solamente medicina, na cibo vitalissimo agli animi infermi d'ambizione.

Però due poeti, quasi contrarj, furono in pregio per diversa cagione, Omero, dico, ed Archiloco. Di questi Omero, come a quelli di Tarso scrive Dion Grisostomo, innalzò con maravigliose laudi tutte le cose, le bestie, le piante, l'acqua, la terra, l'arme, e i cavalli; e non trapassò senza laude ed onore alcuna delle cose, delle quali fece menzione. Solo fra tutti biasimò Tersite, quasi strepitoso oratore. Archiloco inviatosi per diversa strada, si volse al vituperare, quasi gli uomini avessero maggior bisogno di questo rimedio. Nondimeno, non solamente Omero nell'Odissea lasciò scritto:

In surdam tellurem contumelias agit iracundus,
Nefas est super viris defunctis gloriari :

ma d' Achiloco ancora si leggon questi versi, appresso Stobeo:

Temerarium est umbram hominis mortui affligcre:
Vivos castigare decet, non mortuos .

Malum est enim viris defunctis conviciari.

Tanto ad Archiloco, amico della maledicenza, il dir male

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