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solamente, o per favole episodiche, non intende quelle ; nelle quali siano molti e varj episodj, ma quelle, nelle quali questi episodj sono interseriti fuor del verisimile, e male congiunti colla favola, e fra loro medesimi: ed insomma vani ed oziosi, e nulla operanti al fine principale della favola; perchè la varietà degli episodj in tanto è lodevole, in quanto non corrompe l'unità della favola, nè genera in lei confusione. Io parlo di quell'unità, che è mista, non di quella, che è semplice, ed uniforme, e nel poema eroico poco convenevole.

Ma l'ordine, e forse la materia ricerca che nel seguente discorso si tratti con qual'arte il poeta introduca nell'unità della favola questa varietà così piacevole, e cosi desiderata da coloro, che gli orecchi alle venture de' nostri romanzatori hanno assuefatti.

DISCORSO TERZO

A vendosi a trattare dell' elocuzione, si tratterà per conseguenza dello stile, perchè non essendo quella altro che accoppiamento di parole, e non essendo altro le parole, che immagini imitatrici de' concetti, che seguono la natura loro, si viene per forza a trattare dello stile, non essendo quello altro che quel composto, che risulta dai concetti e dalle voci. Tre sono le forme degli stili; magnifica o sublime, mediocre ed umile, delle quali la prima è convenevole al poema eroico per due ragioni: prima perchè le cose altissime, che piglia a trattare l'epico, debbono con altissimo stile essere trattate. La seconda perchè ogni parte opera a quel fine, che opera il suo tutto; ma lo stile è parte del poema epico, adunque lo stile opera a quel fine, che opera il poema epico, il quale, come si è detto, ha per fine la meraviglia, la quale nasce solo dalle cose sublimi, e magnifiche.

Il magnifico dunque conviene al poema epico, come suo proprio; dico suo proprio, perchè avendo ad usare anco 'gli altri secondo l'occorrenze e le materie, come accuratissimamente si vede in Virgilio, questo nondimeno è quello, che prevale, come la terra in questi nostri corpi,

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composti nondimeno di tutti i quattro. Lo stile del Trissino, per signoreggiare per tutto il dimesso, dimesso potrà esser detto; quello dell' Ariosto per la medesima ragione mediocre. E da avvertire che siccome ogni virtude ha qualche vizio vicino a lei, che l'assomiglia, e che spesso virtude vien nominato, così ogni forma di stile ha prossimo il vizioso, nel quale spesso incorre chi bene non avvertisce. Ha il magnifico il gonfio, il temperato lo snervato o secco, l'umile il vile o plebeo. Il magnifico, il temperato, e l'umile dell'eroico non è il medesimo col magnifico, temperato, e umile degli altri poemi, anzi siccome gli altri poemi sono di specie differenti da questo, così ancora gli stili sono di specie differenti dagli altri. Però avvengachè l'umile alcuna volta nell'eroico sia dicevole, non vi si converrà però l'umile, che è proprio del comico, come fece l'Ariosto quando disse:

Ch' a dire il vero egli ci avea la gola,

E riputata avria cortesia sciocca
Per darla altrui levarsela di bocca.

Ed in quegli altri:

E dicea 'l ver, che era viltade espressa
Conveniente ad uom fatto di stucco....
Che tuttavia stesse a parlar con essa,
Tenendo l'ali basse come il cucco.

Parlari, per dire il vero, troppo popolareschi sono quelli, e questi inclinati alla bassezza comica per la disonesta cosa, che si rappresenta, disconvenevole sempre all' eroico. Ed anco:

Efe raccorre al suo destrier le
penne,
Ma non a tal, che più l' avea distese:
Del destrier sceso appena si ritenne
Di salir altri.

E benchè sia più convenevolezza tra il lirico e l'epico, nondimeno troppo inclinò alla mediocrità lirica in quelli:

La Verginella è simile alla rosa, ec.

Lo stile eroico è in mezzo quasi fra la semplice gravità del tragico, e la fiorita vaghezza del lirico, ed avanza l'una, e l'altra nello splendore d'una maravigliosa maestà; ma la maestà sua di questa è meno ornata, di quella men

propria. Non è disconvenevole nondimeno al poeta epico, che uscendo da'termini di quella sua illustre magnificenza, talora, pieghi lo stile verso la semplicità del tragico, il che fa più sovente, talora verso le lascivie del lirico, il che fa più di rado, come dichiarando seguirò.

Lo stile della tragedia, sebben contiene anch'ella avvenimenti illustri, e persone reali, per due cagioni dee essere, e più proprio, e meno magnifico, che quello dell' epopeja non è; l'una perchè tratta materie assai più affettuose, che quelle dell'epopeja non sono, e l'affetto richiede purità, e semplicità di concetti, e proprietà d'elocuzioni, perchè in tal guisa è verisimile che ragioni uno, che è pieno d'affanno, o di timore, o di misericordia, o d'altra simile perturbazione; ed oltre che i soverchi lumi ed ornamenti di stile non solo adombrano, ma impediscono ed ammorzano l'affetto. L'altra cagione è che nella tragedia non parla mai il poeta, ma sempre coloro, che sono introdotti agenti ed operanti, e a questi tali si dee attribuire una maniera di parlare, che assomigli alla favola ordinaria, acciocchè l'imitazione riesca più verisimile. Al poeta all'incontro quando ragiona in sua persona, siccome colui, che crediamo essere pieno di deità, e rapito da divino furore sovra se stesso, molto sovra l'uso comune, e quasi con un'altra mente, e con un'altra lingua gli si concede a pensare, e a favellare. Lo stile del lirico poi sebbene non così magnifico come l'eroico, molto più dee essere fiorito ed ornato; la qual forma di dire fiorita (come i Rettorici affermano) è propria della mediocrità. Fiorito dee essere lo stile del lirico, e perchè più spesso appare la persona del poeta, e perchè le materie, che si pigliano a trattare per lo più sono tali, che inornate di fiori e di scherzi, vili ed abiette si rimarrebbono; onde se peravventura fosse la materia morata trattata con sentenze, sarà di minor ornamento contenta;

Dichiarato dunque e perchè fiorito lo stile del lirico, e perchè puro e semplice quello del tragico, l'epico vedrà che trattando materie pratiche o morali, si dee accostare alla proprietà e semplicità tragica, ma parlando in persona propria, o trattando materie oziose, s'avvicini alla va

ghezza lirica, ma nè questo, nè quello sì, che abbandon affatto la grandezza e magnificenza sua propria. Questa varietà di stili dee essere usata, ma non sì, che si muti lo stile, non mutandosi le materie, che saria imperfezione: grandissima.

COME QUESTA MAGNIFICENZA S'ACQUISTI, É COME
UMILE, O MEDIOCRE SI POSSA FORMARE..

Può nascere la magnificenza da'concetti, dalle parole, e dalle composizioni delle parole; e da queste tre parti risulta lo stile, e quelle tre forme, le quali dicemmo. Concetti non sono altro, che immagini delle cose, le quali immagini non hanno soda e reale consistenza in se stesse come le cose, ma nell'animo nostro hanno un certo loro essere imperfetto, e quivi dall'immaginazione sono formate, e figurate. La magnificenza de' concetti sarà, se si tratterà di cose grandi, come di Dio, del mondo, degli eroi, di battaglie terrestri, navali, e simili. Per esprimere questa grandezza accomodate saranno quelle figure di sentenze, le quali o fanno parer grandi le cose, colle circostanze, come l'ampliazione, o le iperboli, che alzano la cosa sopra il vero, o la reticenza, che accennando la cosa " e poi tacendola, maggiore la lascia all' immaginazione, o la prosopopeja, che colla finzion di persone d'autorità, e rivedà autorità, e riverenza alla cosa, ed altre simili che non caggiono così di leggieri nelle menti degli uomini ordinarj, e che sono atte ad indurvi la meraviglia. Perciocchè così proprio del magnifico dicitore è il commuovere, e il rapire gli animi, come dell'umile l'insegnare, e del temperato il dilettare, ancora che e nell'esser mosso, e nell'essere insegnato trovi il Lettore qualche diletto. Sarà sublime l'elocuzione, se le parole saranno non comuni, ina peregrine, e dall'uso popolare lontane.

renza,

Le parole o sono semplici, o sono composte; semplici sono quelle, che di voci significanti non sono composte, composte quelle, che di due significanti, o d'una sì, e d'altra no, son composte. E queste sono o proprie, o straniere, o translate, o d'ornamento, o finte, o allungate, o

scorciate, o alterate. Proprie sono quelle, che signoreggiano la cosa, e che sono usate comunemente da tutti gli abitatori del paese, Straniere quelle, che appo altra nazio¬ ne sono in uso, e possono le medesime parole essere e proprie, e straniere in rispetto di varie nazioni. Chero naturale agli Spagnuoli, straniero a noi. Translazione è imposizione dell'altrui nome: questa è di quattro maniere, o dal genere alla specie, o dalla specie al genere, dalla specie alla specie, o per proporzione. Dal genere alla specie, se daremo il nome di bestia al cavallo. Dalla specie al genere, quel che mille opre illustri per un nome generale. Dalla specie, alla specie, se diremo che il caval voli. Per proporzione sarà in questo modo, l'istessa proporzione, che è fra il giorno, e l'occaso, è fra la vita, e la morte; si potrà dunque dire che l'occaso sia la morte del giorno, come disse Dante :

Che parea il giorno pianger che si muore,

e che la morte sia l'occaso della vita come :

La vita sul mattin giunse all' occaso.

Finta è quella parola, che non prima usata dal poeta si forma, come taratantara, per esprimere, ed i nitare quell'atto. Allungata è quella, nella quale, o la vocale si fa di breve lunga, come simíle, ovver s'aggiunge qualche sillaba come adiviene. Accorciata, per le contrarie cagioni. Mutata sarà quella, ove sarà mutata qualche lettera, come despitto in vece di dispetto.

Nasce il sublime, e il peregrino nell'elocuzione delle parole straniere, dalle translate, e da tutte quelle, che proprie non saranno. Ma da questi stessi fonti ancora nasce l'oscurità, la quale tanto è da schivare, quanto nell' eroico si ricerca oltre la magnificenza, la chiarezza ancora. Però fa di mestieri di giudizio in accoppiare queste straniere colle proprie, sicchè ne risulti un composto tutto chiaro, tutto sublime, niente oscuro, niente umile. Dovrà dunque sceglier quelle translate, che avranno più vicinanza colla propria, così le straniere, l'antiche, e l'altre sinili, e porle fra mezzo a proprie tali, che niente del plebeo abbiano. La composizione delle parole non cape in questa nostra lingua, ed anco dell'accorciare, ed allunga

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