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giudico che siccome nella materia prima, benchè priva. d'ogni forma; nondimeno vi si considera da'filosofi la quantità, la quale è perpetua ed eterna compagna di lei, ed innanzi il nascimento della forma vi si ritrova, e dopo la sua corruzione vi rimane; così anco il poeta debba in questa nostra materia, innanzi ad ogni altra cosa, la quan tità considerare; perocchè è necessario, che togliendo egli · a trattare alcuna materia, la tolga accompagnata d'alcuna quantità, sendo questa considerazione da lei inseparabile. Avvertisca dunque che la quantità, che egli prende, non sia tanta, che volendo egli poi nel formare la testura della favola inserirvi molti episodj, e adornare, ed illustrar le che semplici sono in sua natura, ne venga il poema a crescere in tanta grandezza, che disconvenevol paja, e dismisurato; perocchè non dee il poema eccedere una certa determinata grandezza, come nel suo luogo si tratterà; chè s'egli vorrà pure schivare questa dismisura, e questo eccesso, sarà necessitato lasciare le disgressioni, e gli altri ornamenti, che sono necessarj al poema, e quasi ne' puri, e semplici termini dell'istoria rimanersene. Il che a Lucaed a Silio Italico si vede essere avvenuto; l'uno e l'altro de'quali, troppo ampia, e copiosa materia abbracciò; perchè quegli non solo il conflitto di Farsaglia, come dinota il titolo, ma tutta la guerra civile fra Cesare, e Pompeo, questi tutta la seconda guerra Affricana prese a

cose,

no,

trattare.

Le quali materie sendo in se stesse amplissime, erano atte ad occupare tutto questo spazio, che è concesso alla grandezza dell'epopeja, non lasciando luogo alcuno all'invenzione, ed all'ingegno del poeta; e molte volte paragonando le medesime cose trattate da Silio poeta, e da Livio istorico, molto più asciuttamente, e con minore ornamento mi par di vederle nel poeta, che nell'istorico, al contrario appunto di quello, che la natura delle cose richiederebbe; e questo medesimo si può notare nel Trissino, il qual volle che fosse soggetto del suo poema tutta la spedizione di Belisario contra i Goti: e perciò è molte fiate più digiuno, ed arido, che a poeta non si converrebbe ; chè se una parte solamente, e la più nobil di quella im

Discorsi T. II.

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presa avesse tolta a descrivere, peravventura più ornato, e più vago di belle invenzioni sarebbe riuscito. Ciascuno insomma, che materia troppo ampia si propone, è costretto d'allungare il poema oltre il convenevol termine: la qual soverchia lunghezza sarebbe forse nell' Innamorato, e nel Furioso chi questi due libri distinti di titolo, e d'autore quasi un sol poema considerasse, come in effetto sono; o almeno è sforzato di lasciare gli episodj, e gli altri ornamenti, i quali sono al poeta necessarissimi. Maraviglioso fu in questa parte il giudizio d'Omero, il quale avendo propostasi materia assai breve, quella accresciuta d'episodj, e ricca d'ogni altra maniera d'ornamento, a lodevole, e conveniente grandezza ridusse.

Più ampia alquanto la si propose Virgilio, come colui che tanto in un sol poema raccoglie, quanto in due poemi d'Omero si contiene, ma non però di tanta ampiezza la scelse, che in alcuno di que' duo vizj sia costretto di cadere. Con tutto ciò se ne va alle volte così ristretto, e così parco negli ornamenti, che sebben quella purità, e quella brevità sua è maravigliosa, ed inimitabile, non ha peravventura tanto del poetico, quanto la fiorita, e faconda copia d'Omero; e mi ricordo in questo proposito, avere udito dire allo Sperone, la cui privata çamera mentre io in Padova studiava, era solito di frequentare non meno spesso, e volentieri che le pubbliche scuole, parendomi che mi rappresentasse la sembianza di quella Accademia, e di quel Liceo, in cui i Socrati, e i Platoni avevano in uso di disputare; mi ricordo, dico, d'avere udito da lui, che il nostro poeta Latino è più simile al Greco oratore, che al Greco poeta, e 'l nostro Latino oratore ha maggior conformità col poeta Greco, che coll' orator Greco, ma che l'oratore, e'l poeta Greco avevano ciascuno per sè asseguita quella virtù, che era propria dell'arte sua: ove l'uno, e l'altro Latino avea piuttosto usurpata quell'eccellenza, che all'arte altrui era convenevole. Ed in vero chi vorrà sottilmente esaminare la maniera di ciascun di loro, vedrà che quella copiosa eloquenza di Cicerone è molto conforme colla larga facondia d'Omero, siccome nell' acume, e nella pienezza, e nel nerbo d'una illustre brevità sono

molto somiglianti Demostene, e Virgilio. Raccogliendo dunque quanto si è detto, dee la quantità della materia nuda esser tanta e non più, che possa dall'artifizio del poeta ricever molto accrescimento, senza passare i termini della convenevole grandezza: ma poichè s'è ragionato del giudizio, che dee mostrare il poeta intorno alla scelta dell'argomento, l'ordine richiede che nel seguente discorso si tratti dell'arte, colla quale dee essere disposto, e formato.

DISCORSO SECONDO

Scelta che averà il poeta materia per se stessa capace d'ogni perfezione, gli rimane l'altra assai più difficile fatica, che è di darle forma, e disposizione poetica; intorno al quale offizio, come intorno a proprio soggetto, quasi tutta la virtù dell'arte si manifesta. Ma perocchè quello, che principalmente costituisce, e determina la natura della poesia, e la fa dall'istoria differente, è il considerare le cose non come sono state, ma in quella guisa che dovrebbono essere state, avendo riguardo piuttosto al verisimile in universale, che alla verità de' particolari; prima d'ogni altra cosa dee il poeta avvertire se nella materia, che egli prende a trattare, v'è avvenimento alcuno, il quale altrimenti essendo succeduto, o più del verisimile, o più del mirabile, o per qualsivoglia altra cagione, portasse maggior diletto; e tutti i successi, che sì fatti troverà, cioè che meglio in un altro modo potessero essere avvenuti, senza rispetto alcuno di vero, o d'istoria, a sua voglia muti, e rimuti, e riduca gli accidenti delle cose a quel modo, ch'egli giudica migliore, col vero alterato il tutto finto accompagnando.

Questo precetto molto bene seppe porre in opra il divino Virgilio: perocchè così negli errori d'Enea, come nelle guerre passate fra lui, e Latino, andò dietro non a quello, che vero credette, ma a quello, che migliore, e più eccellente giudicò; perchè non solo è falso l'amore, e la morte di Didone, o quello, che di Polifemo si dice, e della Sibilla, e dello scendere di Enea all'Inferno, ma le battaglie

passate fra lui, e i popoli del Lazio descrive altrimenti di quello, che avvennero secondo la verità; e ciò, confrontando la sua Eneida col primo di Livio, e con altri istorici, chiaramente si vede. Ma siccome in Didone confuse di tanto spazio l'ordine de' tempi, per avere occasione di mescolare fra la severità dell' altre materie, i piacevolissimi ragionamenti d'amore, e per assegnare un' alta, ed ereditaria cagione della inimicizia fra' Romani e' Cartaginesi; e siccome ricorse alla favola di Polifemo, e della Sibilla, per accoppiare il maraviglioso col verisimile, così anco alterò la morte di Turno, tacque quella d' Enea, ne aggiunse la morte d' Amata, mutò gli avvenimenti, e l'ordine de' conflitti, per accrescere la gloria d' Enea, e chiuder con un fine più perfetto il suo nobilissimo poena. Alle quali sue finzioni fu molto favorevole l'antichità dei tempi.

Ma non dee già la licenza de' poeti stendersi tanto oltre che ardisca di mutare totalmente l'ultimo fine delle imprese, che egli prende a trattare, o pur alcuni di quelli avvenimenti principali, e più noti, che già nella notizia del mondo sono ricevuti per veri. Simile audacia mostrerebbe colui, che Roma vinta, e Cartagine vincitrice ci descrivesse, o Annibale superato a campo aperto da Fabio Massimo, non con arte tenuto a bada. Simile sarebbe stato l'ardire d' Omero, se vero fosse quel, che falsamente da alcuni si dice, sebben molto a proposito della loro intenzione:

Che i Greci rotti, e che Troja vittrice,

E che Penelopea fu meretrice.

Perocchè questo è un torre affatto alla poesia quella autorità, che dall' istoria le viene, dalla qual ragione mossi concludemmo dover l'argomento dell' epico sovra qualche istoria esser fondato. Lassi il nostro epico il fine, e l'origine della impresa, ed alcune cose più illustri nella lor verità, o nulla, o poco alterata; muti poi, se così gli pare, i mezzi, e le circostanze, confonda i tempi, e gli ordini dell'altre cose e si dimostri insomma piuttosto artifizioso poeta, che verace istorico. Ma se nella materia, ch'egli s'ha proposta, alcuni avvenimenti si troveranno, che

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così siano succeduti, come appunto dovrebbono esser succeduti, può il poeta sì fatti come sono, senza alterazione imitarli; nè perciò della persona di poeta si spoglia, vestendosi quella d'istorico; perocchè può alle volte avvenire che altri come poeta, altri come istorico tratti le medesime cose, ma saranno da loro considerate con diverso rispetto; perocchè l'istorico le narra come vere, e il poeta le imita come verisimili. E s'io credo Lucano non esser poeta, non mi muove a ciò credere quella ragione, che induce alcuni altri in sì fatta credenza, cioè che egli non sia poeta, perchè narra veri avvenimenti. Questo solo non basta, ma poeta non è egli, perchè talmente s'obbliga alla verità de' particolari, che non ha rispetto al verisimile in universale, e pur che narri le cose come sono state fatte, non si cura d'imitarle, come dovriano essere state fatte.

Or poichè avrà il poeta ridotto il vero, ed i particolari dell'istoria al verisimile, ed all' universale, che è proprio dell'arte sua, procuri che la favola ( favola chiamo la forma del poema, che definir si può testura, o composizione degli avvenimenti ) procuri, dico, che la favola, che indi vuol formare, sia intiera, o tutta, che vogliam dire, sia di contenevole grandezza, e sia una; e sovra queste tre condizioni, che alla favola son necessarie, distintamente, e con quell'ordine, che le ho proposte, discorrerò. Tutta, o intiera dee essere la favola, perchè in lei la perfezione si ricerca: ma perfetta non può esser quella cosa, che intiera non sia; questa integrità si troverà nella favola, s'ella' averà il principio, il mezzo, e l'ultimo. Principio è quello, che necessariamente non è dopo altra cosa ; e l'altre cose son dopo lui. Il fine è quello, che è dopo l'altre cose, nè altra cosa ha dopo sè; il mezzo è posto fra l'uno, e l'altro, ed egli è dopo alcune cose; ed alcune ne ha dopo sè : ma per uscire alquanto dalla brevità delle definizioni, dico che intiera è quella favola, che in se stessa ogni cosa contiene, che alla sua intelligenza sia necessaria; e le cagioni, e l'origine di quella impresa, che si prende a trattare, vi sono espresse, e per gli debiti mezzi si conduce ad un fine, il quale nessuna cosa lassi o non ben conclusa, o non ben risoluta: questa condizione dell'integrità si desidera nel

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