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quae si omnia summa non sunt, necesse est ea ipsa, quae sunt mirabilia videri. Ma da queste parole di Cicerone nell'oratore io raccolgo piuttosto che non solamente le cose grandissime, ma le grandi ancora, benchè non sian le somme, possono ricever maraviglioso ornamento, nè Marco Tullio portò opinione lontana da questa. Lasciamo dunque co' suoi seguaci Giulio Cammillo, e Giulio Cesare dalla Scala, il quale più presto dovrebbe esser seguito in un'altra opinione, estimando egli che l'umiltà di Virgilio nello stile sublime, cioè nell'Eneide; sia differente da quella della Buccolica in specie, ma l'altezza dalla umiltà dell'Eneide sia diversa non di specie, ma di modo: più sicuramente nondimeno si può affermare che il temperato, il sublime, e l'umile dell'eroico non sia il medesimo con quelli degli altri poemi: e se fosse pur lecito al poeta usar lo stil dimesso nell'epopeja, non dee però inchinarsi a quella bassezza, che è propria de' comici, come fece l' Ariosto, quando egli disse:

Ch' a dire il vero egli v'avea la gola,

E riputata avria cortesia sciocca
Per darla altrui levarsela di bocca.

E in quegli altri:

E dicea il ver, ch' era viltade espressa,
Conveniente ad uom fatto di stucco.
Che tuttavia stesse a parlar con essa
Tenendo l'ale basse, come ul cucco.

Troppo per dir il vero sono vili, e disonesti questi modi, e per la bruttezza della cosa, che ci mette avanti agli occhi, o che s'accenna, non convengono al poeta eroico. Di questo numero sono ancora quegli altri:

Efè raccorre al suo destrier le penne,
Ma non a tal che più l' avea distese;
Del destrier sceso appena si ritenne
Di salir altri....

E come c'insegna Marco Tullio nel libro del perfetto genere dell'oratore: In tragoedia comicum vitiosum est; et in comaedia turpe tragicum. Laonde essendo questi modi convenienti alla commedia, vilissimi sono nella tragedia e nell' epopeja, o nel poema eroico parimente. E perchè è

maggior conformità tra il lirico, e l'epico, non s'abbasso alla mediocrità lirica senza decoro, ma seguì l'esempio di Catullo in quegli altri:

La Verginella è simile alla rosa,

Ch'in bel giardin su ta nativa spina
Mentre sola, e sicura si riposa,
Ne gregge, nè pastor se le avvicina.
L'aura soave, e l'alba rugiadosa,
L'acqua, la terra al suo favor s'inchina:
Giovani vaghi, e donne innamorate

Bramano averne è seni, e tempie, ornate. Il qual fu poi imitato nel suo cantare con molta comeżża, da Monsignor della Casa :

Qual chiuso in orto suol purpureo fiore,

Cui l'aura fresca, e'l sol tepido, e'l rio
Corrente nutre, aprir tra l'erba fresca.

Lo stile eroico adunque non è lontano dalla gravità del tragico, nè dalla vaghezza del lirico, ma avanza l'uno, é l'altro nello splendore d'una maravigliosa maestà: non è disconvenevole nondimeno al poeta epico, che uscendo alquanto da' termini di quella sua illustre magnificenza, alcuna volta pieghi lo stile alla gravità del tragico, il che fa più spesso; alcun'altra al fiorito ornamento del lirico, il che fa più di rado: ma lo stile della tragedia, quantunque descriva avvenimenti illustri, e persone reali, per due cagioni dee esser meno sublime, e più semplice dell'eroico : l'una perchè suol trattar materie più affettuose, e l'affetto richiede purità, e semplicità, perchè in tal guisa è verisimile che ragioni uno, che sia pieno d' affanno, o di ţimore, o di misericordia, o d'altra simile perturbazione. L'altra cagione è, che nella tragedia non parla mai il poeta, ma sempre coloro, che sono introdotti agenti, ed operanti, a'quali si dee attribuire una maniera di parlare men disusata, e men dissimile dall'ordinaria. Ma il Coro peravventura dee parlar più altamente, perchè egli, come dice Aristotele ne' problemi, è quasi un curatore ozioso, e separato, e per l'istessa ragione parla più altamente il poeta in simil persona, e quasi ragiona con un'altra lingua, siccome colui, che finge d'esser rapito dal furor divino so

vra se medesimo. Ma lo stile del lirico non è pieno di tanta grandezza, quanta si vede nell'eroico, ma abbonda di vaghezza, e di laggiadria, ed è molto più fiorito; perchè i fiori, e gli ornamenti esquisiti sono proprj della mediocrità, come c'insegna Marco Tullio nell'oratore; e Pindaro prima di lui nominò gli ornamenti della sua poesia hymnorum flores. Le materie ancora il ricercano, e la persona del poeta, che quasi mai non si nasconde; ma se le cose fossero piene d'affetti, e di costumi sarebbono peravventura contenti di minor ornamento, o non vorrebbono i medesimi; perciocchè non tutte le figure convengono a tutte le forme nella medesima composizione di parole. Ma alcune sono più convenevoli all' una, che all'altra, come stima Demetrio. Ora seguirò questa opinione, lasciando quella del Trapezunzio, che tutte le figure siano usate in tutte le forme. Non perchè io voglia imporre alcuna necessità agli altri, o a me stesso, ma perchè l'ammaestramento non mi par soverchio, nè degno d'esser disprezzato.

Fra i più cari e preziosi doni fatti da Iddio alla natura

umana è stato quello del parlare, il quale nella dignità, e nell'eccellenza si pareggia quasi alla ragione. Però tra'Greci ebbero l'istesso nome di λoyos, nome, che significa l'uno, e l'altro parimente: e quantunque la ragione sia quella, che ci distingua dagli animali bruti, e ci faccia simili all'intelligenze, e alle nature divine, nondimeno per opinione di molti filosofi, fu creduto che gli animali partecipassero di ragione, e Aristotele medesimo nell' istoria loro, e ne❜libri della generazione, e delle parti attribuisce alle fiere l'ingegno, l'avvedimento, e la prudenza : ma nel parlare elle non hanno con gli uomini alcuna convenienza, se già non vogliam credere alle favole d'Apollonio Tianeo, e alla maravigliosa filosofia di Porfirio: però par che la favella separi l'uomo 'principalmente dalle bestie, e il faccia lor superiore, e quasi re, e principe degli animali. Anzi se fu mai alcun tempo, nel quale egli pacificamente alle bestie signoreggiasse, ciò solamente avvenne per virtù del parlare. Taccio quel, che si favoleggia d'Orfeo, e d'Anfione, i quali, se crediamo a Marco Tullio, in quegli antichissimi secoli colla virtù dell'eloquenza, raccolsero insieme gli uomini, che prima vivevano vita salvatica, e bestiale: ma non dobbiam dubitare che l'uomo non fosse colui, che prima imponesse i nomi a'bruti, e chiamandoli imperiosamente, in virtù de'nomi gli facesse obbedienti al suo imperio, come si legge in Filone Ebreo, e negli scrittori delle sacre Lettere.

È dunque nobilissimo dono del primo Donatore il parlare, che altramente si dice elocuzione: è potentissimo ministro dell'intelletto, e vero interprete dell'animo nostro; però l'eloquenza, che prende il nome dall'elocuzione, non cede alla prudenza, se fosse possibile che dall'una e l'altra si separasse, avvengachè molti uomini prudenti privi

di questo dono furono esclusi dal governo deʼregni, e del■ le repubbliche, e riputati quasi infanti. Grande è stato adunque l'errore di coloro, che stimarono che l'elocuzione non fosse propria dell'oratore, e dell'eloquente, ma parte, che si concede all'istrione; fra i quali fu Monsignor Antonio Bernardi cognominato il Mirandolano. Si fondava questo filosofo sovra l'autorità d' Aristotele, o che gli pareva, raccogliendo dalle sue parole nella sua Rettorica a Teodette, che oltre l'entimema, e l'eseinpio, co'quali persuade l'oratore, l'altre cose siano accessorie, e quasi estrinseche dall'arte sua, come quelle, che per se stesse non persuadono, nè fanpo alcuna prova, ma servono a commover gli animi degli uditori, Aristotele nondimeno nella Poetica assegna quattro parti di qualità alla tragedia, che sono proprie di quell'arte. Fra le quali numera l'elocuzione, e a queste aggiunge le due estrinseche, che sono la musica, e l'apparato; ma se l'elocuzione è parte del poeta, e non dell'istrione, tutto che l'istrione sia ordinato a'servigi della poesia, è ragionevole, e quasi necessario che sia parte ancora dell'oratore, il quale non ha alcun commercio coll'istrione ; e Aristotele medesimo conobbe quanta virtù di persuadere consista nelle parole. Laonde se la rettorica è un' arte, la qual considera, e ritrova tutto quello, che è atto al persuadere, dee principalmente essere investigatrice, e quasi giudice dell' elocuzione, e di quelle forme del dire, che sono più acconce alla persuasione, come io mi sforzerò di provare, quando tratterò di tutta l'eloquenza, in quanto in lei si contengono quasi egualmente gli ammaestramenti de'poeti, e degli oratori, e degl' istorici, e de' filosofi ancora, che vogliono scrivere, e parlare con qualche ornamento,

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Ora mi basta di confermare che la poesia è un'arte subordinata alla logica, o veramente una sua parte, non solamente' perchè ella è arte dell'orazione, la qual cerca il diletto, non altrimente che la grammatica il regolato parlare, e la rettorica, la persuasione; ma perchè nel parlar poetico, il quale non è senza imitazione, è una tacita prova, e molte volte efficacissiina, perchè non si può imitare senza similitudine, e senza esempio, ma nell'esempio, e in

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