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sian prese da cose belle, e grate alla vista; anzi potendo esser presa da due cose belle, dobbiam prenderla dalla più bella, come fece il Petrarca, il quale parlando dell'Aurora disse:

dell'Aurora

Colla fronte di rose, e co' crin d'oro. Ma Dante prima avea detto, che le guance Per troppa etate divenivan rance. Laonde non si dovrebbe dire che l'Aurora fosse rossa, ma purpurea piuttosto: si possono alle dette proprietà aggiungerne due altre; che elle sian prese da cose maggiori, e da migliori, sì veramente, che la nostra intenzione sia di lodare, perchè se ella fosse di vituperare, possiamo prenderla dalle peggiori, come fece Dante nel biasimar la sua donna:

Questa scherana, micidiale, e ladra.

A queste cose dette da Aristotele, e da Demetrio Falereo, ne aggiunge Cicerone alcune altre dell'origine delle metafore, dicendo che elle son fatte, o per bisogno, o per diletto; per bisogno come quelle, che sono uscite da' villani, i quali dicono gemmar le viti, e lussureggiar le biade; e l'altre simili per diletto, come l'altre, che son ritrovate per ornamento del parlare. Ma Porfirio non vuol che quelle, le quali sono usate per necessità, sian metafore, ma nomi equivoci piuttosto, la quale opinione egli raccolse dalle parole d'Aristotele medesimo, il quale nel terzo della Rettorica disse che la metafora porta diletto oltre la necessità: laonde par che escluda quelle, che son ritrovate per bisogno. Comunque sia, le translazioni usate con queste condizioni accrescono molto la bellezza del parlare, con gran lode di chi le trova; nè può ritrovarle convenienti, chi non conosce la similitudine delle cose nella dissimilitudine; laonde par che agl'ingegni filosofici propriamente convenga il ritrovarle; e Platone oltre tutti gli altri le ritrovò, e l'usò senza rispiarmio, e perciò fu tenuto arditissimo. Senofonte si servi più volentieri delle immagini, o delle similitudini, che vogliam dirle, e c'è dato per consiglio di trasmutar in immagine la metafora pericolosa, il che si fa agevolmente colla giunta della particella quasi come fece il Petrarca:

Discorsi T. 11.

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E d'intorno al mio cor pensier gelati Fatto avean quasi adamantino smalto: e'l Caro dopo lui:

Giace quasi gran conca infra due mari,

Si può assicurar ancora la translazione con un altro ajuto, cioè coll' epiteto come assicurò Dante, il quale parlaudo degli alberi pieni di neve disse:

Siccome neve tra le vive travi,

E il Petrarca per opinione d'alcuni chiamò all'incontra una cassa di legno secca selva:

E pria sarò sotterra in secca selva.

E spesso usò questo ajuto, come chiamando gli occhi di Madonna Laura angeliche faville, ed in un altro luogo il destro occhio, destro Sole, e 'l volto, calda neve. Alcuna volta i nostri poeti hanno usato gli aggiunti per ammollir l'asprezza del nome, che sta per sè, come usò il Petrarca

dicendo:

O viva morte, o dilettoso male.

E Monsignor della Casa :

Pietosa tigre ad amar diemmi, e scoglio.

E altrove :

Serena, e piana,

Procella il corso mio dubbioso face.

Ma benchè questo nome di metafora paja tanto ristretto da Aristotele, quanto abbiam veduto, nondimeno alcune volte l'usò in larghissimo significato, perchè egli suole chiamar metafora ogni nome, che non è proprio; laonde Cicerone estima che Aristotele comprendesse sotto il nome di metafora tutto, quel che da’Grammatici, e da’maestri del dire, i quali dividono, e spezzano le cose, vien chiamato con varj nomi. E senza fallo i nomi d' Ippalage, di Metonimia, e d' Allegoria furono dopo Aristotele di nuovo ritrovati, perciocchè egli riprese alcuni Sofisti, i quali posero nomi diversi a cose, che non erano diverse in modo alcuno. Laonde non è maraviglia se di poche figure ritroviamo appresso Aristotele alcuna menzione: ma non era convenevole che Aristotele facesse menzione di quelle cose, che non si possono raccogliere sotto alcuna arte. Ma le figure peravventura si possono moltiplicare in infinito.

Laonde Cicerone nella Topica disse che le figure delle parole, o delle sentenze, le quali i Greci chiamano ynμαta, eran cosa infinita; però può cadere piuttosto sotto la distribuzione delle parti, che sotto la divisione. Son dunque anzi parti dell' orazione, che forme, o specie: e s'elle fossero forme, come piace a Boezio, e specie del genere, potrebbono ricever l'istesso nome; perciocchè a ciascuna di loro conviene il nome del genere, laddove alle parti non si conviene quel del tutto; nondimeno ciò nulla rilieva, perciocchè essendo in potestà del dicitore moltiplicare le figure del parlare, può multiplicarle in infinito, perchè insieme col mutar dell' elocuzione, si mutano le figure, fra le quali non è alcuna differenza sostanziale, ma solamente accidentale; laonde par che non possano avere genere comune, perchè ciascun genere ha le sue differenze specifi

che.

È meglio dunque seguir l'altra opinione di Cicerone, seguita da Boezio istesso, che l'elocuzione sia il tutto, e le figure sieno alcune parti in lei tessute in molti, e diversi modi, quasi tronconi, o foglie, o animaluzzi, o altre sì fatte immagini nel drappo della seta, e dell'oro: ma se ciò è vero, non dobbiam definir la figura forma fatta di nuovo, con qualche artifizio, ma una parte artifiziosamente rinnovata, e mutata, e diversa dall' altre. Ma se le figure son parti di loro, non si può dare arte esquisita, perchè non si posson raccogliere sotto certo numero. Non errò dunque Aristotele in tralasciarle, o piuttosto non le tralasciò, perchè tutte le raccolse sotto la metafora, e le distinse dalle parole proprie; nè si può immaginare altra più perfetta divisione, o altra più certa partizione di quella, che egli fece nella Poetica, ma non debbono esser però disprezzate le cose dette dagli altri. Demetrio divise le figure in quelle delle sentenze, e delle parole, ma nell'insegnare, confuse quest'ordine egli medesimo: l'istesse divisioni fece dipoi Marco Tullio, o l'autore ad Erennio; ma perturbò l'ordine similmente, perchè le figure delle sentenze son prima, che quelle delle parole, siccome son prima le cose delle parole, ma peravventura ebbe riguardo a qualche comodità dell'insegnare, o disprezzò l'avvertimento come

troppo minuto. Il Trapezunzio confuse nell'istesso modo le figure del parlare con quelle del sentimento. Quintiliano le numera per ispecie; Aldo Manuzio seguendo gli antichi grammatici suddivide quelle delle parole in tre generi, cioè, della voce, della costruzione, e dell' elocuzione: ma Giulio Cesare della Scala promette di darne arte esquisita, e definisce la figura un disegno delle specie, o delle forme, che abbiamo nella mente, e vuol che tanti sieno i sommi generi delle figure, quante sono le scienze, e fra le scienze mette la dialettica per principale, le cui figure sono la disposizione del mezzo termine, perchè in questo modo le chiamò Aristotele. La grammatica ha le sue figure, che sono mutazioni fatte nel parlare contro le sue leggi, e contro la sua regola, che vogliam dirle, e sono sotto una somma scienza, la qual contiene la poesia, l'istoria, e l'arte oratoria. Ma peravventura quelle della grammatica sono confuse con quelle, che usano i poeti, gl'istorici, e gli oratori, anzi i grammatici non ne conoscono altre; oltre a ciò se molti sono i sommi generi delle figure, non vi è un genere universo, il quale convenga a tutti, e sia superiore agli altri: laonde non so come si possa darne una sola definizione.

Lasciamo dunque ora da parte le figure della logica, perchè in questo nome è qualche equivocazione: ma non biasimo già la divisione fatta in quelle, che appartengono alla poesia, che alcune figure significano quel ch'è, altre il contrario; e di quelle, che significano quel ch'è, altre il significano egualmente, altre meno, altre altrimenti; tutta volta questa divisione è sua propria fatta per le specie: nondimeno non l'ha potute raccoglier tutte sotto i suoi generi, nè io prenderò questa fatica, o impossibile, o malagevolissima molto, e voglio piuttosto presupporre, come ho detto, che elle sian parti dell' elocuzione: ma forme son quell'altre, che idee son state chiamate, le quali altri chiamò caratteri, altri generi, ciascun de' quali ha la sua propria laude, e la sua propria eccellenza: ma questa divisione fu fatta dopo Aristotele, il quale non distinse le forme del parlare in quel modo, che dopo lui furono distinte da Demetrio, o da alcuno più antico, se non m'in

ganno, e dipoi da Marco Tullio, e da Ermogene, e da' retori, e da' grammatici Greci e Latini. E cominciando dall'opinione di questi, che sono più vicini, quattro sono i generi del parlare; il breve, e'l lungo, il mezzano, e e'l fiorito ; ma il primo vizio in questa divisione, come piace ■ Giulio Cesare dalla Scala, è, che le parti della divisione siano troppe. L'altro, che elle non sian separate per le differenze specifiche; il terzo, che così il lungo, come il breve può esser fiorito.

Alle medesime opposizioni mi par quasi soggetta la divisione, che Ermogene fa dell'idee, le quali sono la chiara, la grande, la bella, la veloce, l'affettuosa, la grâve, è la vera, perciocchè sono molte, e non son divise per le contrarie differenze; e se alcuno la volesse chiamar partizione, non divisione, ne seguirebbe che elle fossero parti, non forme, nè idee, come vuole Ermogene: ma noi abbian presupposto che sian forme, a differenza dell'altre, che son parti. Oltre a ciò, se pur si trova la forma del dire veloce, perchè non si trova la tarda? é se ci è la vera, perchè non ci è la falsa? benchè non si può dubitar che ella non vi sia, perchè molti ammaestramenti si potrebbon dare di questa forma solamente, considerando la narrazione di Sinone appresso Virgilio.

Più breve, e più spedita mi par la divisione di Cicerone nel suo Oratore, che tre siano i generi del parlare: l'alto, il mediocre, e l'umile, perciocchè il mediocre si fa o innalzando l'uniile, o abbassando il sublime; laonde due generi solamente sono i principali ; e questi sono gli estremi. Nell'istesso modo può esser difesa la divisione di Demetrio; il quale divide le forme in quattro semplici nella tenue, o sottile, che vogliamo dire, nella magnifica, nell'ornata, e nella grave; e nell'altre, che di queste son mescolate: ma tutte non sono miste con tutte, ma l'ornata colla sottile, e l'ornata nell'istesso modo coll' una, e coll'altra; sola la magnifica non si mescola colla sottile, ma sono quasi forme poste all'incontro, e contrarie. Per la qual cagione vollero alcuni che fosser due forme solamente, e l'altre due poste nel mezzo: ma l'ornata è attribuita alla tenue, e la magnifica alla grave, come se l'ornata avesse qualche

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