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Est locus, Italiae in medio sub montibus altis,
Nobilis, et fama multis memoratus in oris,
Amsancti valles; densis hunc frondibus atrum
Urget utrinque latus nemoris, medioque fragosus
Dat sonitum saxis, et torto vortice torrens.
Hic specus horrendum, et saevi spiracula Ditis
Monstrantur: ruptoque ingens Acheronte vorago
Pestiferas aperit fauces. . .

Considera la medesima felicità in quella descrizione;
Portus ab Eoo fluctu curvatur in antrum.

Ma quello fu divinissimo:

Est in secessu longo locus: Insula portum

Efficit objectu laterum; quibus omnis ab alto
Frangitur, inque sinus scindit sese unda reductos,
Hinc atque hinc vastae rupes, geminique minantur
In coelum scopuli :

e quel che segue.

Tutta volta alcun potrebbe dubitare perchè Virgilio descrivesse un porto appresso Cartagine, il quale veramente non è in quella parte di Affrica, ma, come Servio, e alcuni altri hanno creduto, in Cartagine, nuova città di Spagna, ora detta Cartagena: ma peravventura egli ebbe risguardo non al vero, ma alla bellezza, se non mi fosse lecito il dirlo all' Idea, del porto: e volendoci descrivere il più bel porto, che potesse immaginarsi, fece la finta descrizione del luogo, e v'aggiunse l'antro delle Ninfe, e le altre cose, nelle quali volle imitare Omero: e questa finzione peravventura sarebbe soggetta a maggior opposizios'ella fosse nella Geografia, quantunque gli errori della Geografia ancora, o della descrizione universale della terra sian per accidente nell'arte poetica: ma essendo una Topotesia, cioè una particolar descrizione del luogo, può di leggieri esser lodata non sol tollerata; perchè dopo lungo spazio di anni più agevolmente avvengono le mutazioni nelle piccole parti della terra, che nelle grandi, benchè nelle grandi ancora sogliono avvenire, come c'insegna non solamente Aristotele ne' libri delle cose sublimi, e Strabone nella Geografia, ma il medesimo poeta in quel verso: Tantum aevi longinqua valet mutare vetustas.

ne,

Oltre a ciò la spelonca riceve molte allegorie, come l'antro di Platone figurato per lo mondo, e quello d'Omero, del qual Porfirio compose un piccolo, na dotto libretto; e questo ancora può aver la sua occulta significazione, e i suoi maravigliosi misterj: ma non è ora mia intenzione parlar di questa materia, della quale non ragiona Aristotele. Ma forse ne' libri seguenti toccherò alcuna cosa della opinione d'altri eccellenti scrittori, all'autorità de' quali molto dovrebbe esser creduto.

Dovendo io trattare dell' elocuzione, si tratterà per conseguente delle forme del parlare, perchè essendo egli pieghevole a guisa di cera, prende molte forme, e quasi molti caratteri, ciascuno de' quali è diverso dagli altri, e ha la sua propria eccellenza, e la sua propria laude. Ma intorno a ciò sono state varie le opinioni, come sa V. S. Illustrissima, a cui non è occulta alcuna cosa, che appartenga al bene intendere, o al bene scrivere. Laonde non è chi meglio sappia giudicar le cose scritte, o trovarle prima, che sieno scritte, se pur ve n'è alcuna, che in sì lungo corso di secoli, e d'anni sin'ora non sia ritrovata. Ma se il rinnovare le opinioni, o le ragioni, colle quali si possono provare, e confermare, sarà quasi un nuovo ritrovamento, io, e gli altri possiamo sperar qualche nuova lode nell'invenzione, la qual più volentieri riceverei da voi, mio. Signore, come da quello, che è lodatissimo da ciascuno. Ma in questa materia poche sono le cose, che non sieno scritte, e confermate con buone ragioni, e con grande autorità; e grande è il numero delle opinioni, e degli autori, che ne hanno ragionato. Laonde io non avrei tanta fatica in raccor molte cose da molte parti, quanto in elegger le migliori, e de' miglior Greci, e Latini.

Ma prima, che io venga a trattar di questa ultima parte di qualità, non estimo inconveniente, che si tratti della proposizione dell'opera, e dell'invocazione, la quale il poeta dee fare, poich'avrà ritrovata, e disposta la favola, avanti che egli cominci a spiegarla; perciocchè non si può proporre quello, che non s'è ancora ritrovato, e ordinato: e come che l'invocare l'ajuto divino in tutti i luoghi, e in tutti i tempi sia necessario, nondimeno gli scrittori sogliono farlo assai spesso nel principio delle opere loro, alcuna volta nel mezzo, o nel fine, e sempre che s'avvengono a cosa, che paja ricercarlo: dico gli scrittori, perchè non

invocano solamente i poeti, ma i filosofi, e gli oratori, come appresso Platone Timeo, il quale ne ammonisce che si debba invocare in tutte le cose e grandi, e piccole. E nell'Eutidemo s'invocano le Muse, e la Memoria, della quale elle furono generate. Lucrezio invoca Venere Dea, che è sovra la generazione; Demostene nella sua orazione del la Corona tutti gli Dei, e tutte le Dee. E non è vero quel che n'insegna il Castelvetro sotto la persona del Grammaticuccio, che a' poeti soli si convenga d'invocare, perchè soli i poeti sian mossi da divino furore: avvengachè la Rettorica ancora abbia la sua Divinità, come prova Aristide nell'orazione, nella quale egli la difende dall'opposizioni fattele da Platone: e la sua invenzione è non altrimenti attribuita a Mercurio, che quella della poesia ad Apolline. Molto meno è vero che non si convenga l'invocare nelle cose piccole; perchè niuna cosa è così piccola, che non abbia bisogno dell'ajuto divino. Ei piccoli poemi sogliono spesso apportar seco grandissima difficultà. Però nelle brevi poesie invocarono Museo, e Teocrito e non si disdice a' Lirici l'invocare, come estimò il Grammaticuccio. E invocò Pindaro principe de' poeti Lirici nell'Arcesilao, che è la decima oda dell' Olimpiadi, la Musa, e la Verità figliuola di Giove. Nell' Ergotele, che è la duodecima, supplicò alla fortuna, nel Jerone, che è la prima ode fra le Pitie, invocò Apolline e le Muse. Taccio del Psaomida, perchè quella è piuttosto consecrazione dell'Inno a Giove. Orazio similmente nella prima oda del primo libro invoco Polinnia. Dante invocò Amore, che si mostrava negli occhi della sua donna, e in un'altra canzone gli chiese non solamente la voglia di piangere, ma la scienza di saper acconciamente lagrimare: in quella, la qual comincia: Voi che intendendo il terzo ciel movete, volle gl'intelletti divini per auditori. Il Petrarca, che molte volte ragionò d'Amore, una volta sola, che io mi ricordi, il chiamò in ajuto, dicendo:

Deh! porgi mano all' affannato ingegno.

Il Bembo chiamò le Muse in quei leggiadrissimi versi :
Dive, per cui s' apre Elicona, e serra,.

Date a lo stil, che nacque de' miei danni,

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Viver quando io sarò spento, e sotterra. Monsignor della Casa invocò similmente le Muse nel primo

Sonetto:

O se cura di me, figlie di Giove,

Talor vi punge al primo suon di squilla,

Date al mio stil costei seguir volando.

S'inganna parimente il Grammaticuccio, quando egli dice che l'invocazione è argomento di superbia, e di presunzione; opposizione somigliante fece l'antico Sofista Protagora ad Omero, dicendo che egli chiama la Musa con un modo imperioso quasi egli voglia comandarle. Ma Aristotele nella sua poetica difendendo i poeti, rispose ancora a questa opposizione, mostrando che ciò avveniva piuttosto Jer difetto di colui, che recitava i versi, il quale poteva pronunziarli in altro modo; e senza fallo le medesime parole si possono pronunziare imperiosamente, e supplichevolmente: laonde il difetto era piuttosto nell'arte dell'istrione.

Altri ha voluto che l'invocare sia segno di modestia : ma io direi piuttosto che fosse argomento di pietà, e di religione; si veramente, che non sia invocata Deità, che il poeta reputi falsa, o non con questa intenzione, perchè alcuni ebbero opinione che Dante invocasse il buono Apollo, ed il Petrarca il chiamasse immortale a differenza degl' Idoli, o pur de' Demoni, che sono mortali, come disse Plutarco in quella operetta, nella quale egli disputò della cagione, per la quale gli oracoli son mancati. Ma perdonisi questa licenza a' poeti; e mutisi il nome, purchè la buona intenzione non sia condannata. Più sicuramente Dante nella sua commedia invocò l'ingegno, e la mente: O Muse, o alto ingegno or m' ajutate,

O mente, che scrivesti, ciò ch' io vidi, come prima Orfeo aveva invocato l'intelletto;

Sarà dunque lecito al poeta Cristiano invocar la mente, e le intelligenze, imperocchè le Muse non furono credute altro che intelligenze. Ma nel modo del proporre, e dell'invocare è tenuto diverso ordine. Oinero, Esiodo, e gli altri Greci fanno insieme l'invocazione, e la proposizione, cominciando dall'invocare. Virgilio, e gli altri Latini prima

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