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Si come verme, in cui formazion falla.
Come per sostentar solajo, o tetto,
Per mensola talvolta (56) una figura
Si vede giunger le ginocchia al petto,
La qual fa del non ver vera (57) rancura
Nascere, a chi la vede; così fatti
Vid' io color, quando posì ben cura.
Ver' è, che più e meno eran (58) contratti,
Secondo ch' avean più e meno addosso:
E qual più pazienzia avea negli atti,
Piangendo parea dicer: Più non posso.

(56) Un mascherone, o caramogio di legno, v di marmo messo per mensola, o sostegno.

(57) Stretta di cuore, e patimento in vedere quella sforzata, e dolorosa positura.

(58) Rannicchiati, rattratti.

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CANTO XI.

ARGOMENTO.

Dopo l'orazion fatta dalle anime a Dio, mostra Dante d'aver riconosciuto l'anima di Oderisi d' Agobbio miniatore; col quale ragiona a lungo.

Padre (1) nostro, che ne' Cieli stai,
Non circoscritto, ma per più amore,
Ch' a' prími effetti di lassù tu hai,
Laudato sia 'l tuo nome, e 'l tuo valore
Da ogni creatura, com' è degno

Di render grazie al tuo dolce vapore.
Vegna ver noi la pace del tuo regno,
Che noi ad essa non potem da noi,
S'ella non vien, con tutto nostro 'ngegno.
Come del suo voler gli Angeli tuoi
Fan sacrificio a te, cantando Osanna,
Così facciano gli uomini de' suoi.
Da oggi a noi la cotidiana manna,
Sanza la qual per questo aspro diserto
A retro va, chi più di gir s' affanna.
E come noi lo mal, ch' avem sofferto,
Perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
Benigno, e non guardare al nostro merto.
Nostra virtù, che di (2) leggier s'adona,
Non (3) spermentar con l'antico avversaro,
Ma libera da lui, che (4) sì la sprona.

(1) Parafrasi del Pater Noster.
(2) Facilmente si fiacca, si arrende,
(3) Non mettere in cimento.

Tenta a peccare.

Quest'ultima preghiera, Signor caro,
Gia non si fa per noi, che non bisogna;
Ma (5) per color, che dietro a noi restaro.
Così a se, e noi buona (6) ramogna
Quell' ombre orando, andavan sotto 'l pondo
Simile a (7) quel, che tal volta si
Disparmente angosciate tutte a tondo,
E lasse su per la prima cornice,
Purgando le caligini del Mondo.

sogna,

Se di (8) la sempre ben per noi (9) si dice,
Di qua che dire, e far per lor si puote
Da quei, ch' hanno al voler (10) buona radice?
Ben si dee loro (11) atar lavar le note,
Che portar quinci, sí che mondi e lievi
Possano uscire alle stellate ruote.

Deh (12) se giustizia e piętà vi disgrevi

(5) Per quei che vivono su la terra soggetti alle tentazioni, delle quali noi già siamo libere. (6) Prospero successo: propriamente buona continuazione del viaggio, ma è voce antiquata

(7) A quell' oppressione che talora si patisce dormendo, il qual male si chiama incubo. (8) Nel Purgatorio.

(9) Si prega Dio.

(10) La grazia santificante, che rende fruttuosi i suffragj per quelľ anime.

(11) Ajutare a lavar le macchie de' peccati: molte edizioni mancano del punto interrogativo dopo la parola radice, e in tal caso si spiega assertivamente: giacchè si può da chi è giusto, si deve dar loro ajuto, a mondarsi.

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(12) Deh così Dio pietosamente giusto, e giustamente pietoso, o, così la pietà di quei del Mondo con offerte fatte per voi; e la Divina Giustizia che resti presto soddisfatta, vi tolga quezto grave incarco.

Tosto, sì che possiate muover l'ala, Che secondo 'I disią vostro vi levi; Mostrate, da qual mano inver la scala

Si va più corto; e se c'è più d' un varco,
Quel ne 'nsegnate, che men' erto cala:
Che questi, che vien meco, per lo 'ncarco
Della carne d' Adamo, onde si veste
Al montar su contra sua voglia è (13) parco.
Le lor parole, che rendero a queste,
Che dette avea colui, eu' io seguiva,
Non fur da cui venisser manifeste:
Ma fu dettto: A man destra per la rivà
Con noi venite, e troverrete 'l passo,
Possibile a salir persona viva.

E s'i' non fossi impedito dal sasso

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Che la cervice mia superba doma,
Onde portar conviemmi 'l viso basso:
Cotesti, ch' ancor vive, e non si noma,
Guardere' io, per veder s' io 'l conosco,
E per farlo pietoso a questa soma.

I' (14) fui Latino, e nato d'un gran Tosco.
Guglielmo Aldobrandesco fu mio padre:
Non so, se 'l nome suo giammai fu vosco.
L'antico sangue, e l'opere leggiadre

De' miei maggior mi fer sì arrogante,
Che non pensando alla (15) comune madre,

(13) Tardo.

(14) Italiano, e figliuolo di un gran signore in Toscana: fu costui Omberto de' Conti di S. Fiora nella montagna di Siena, figliuolo di Guglielmo Aldobrandesco, che non potendosi più per la sua arroganza da' Senesi patire, lo fecero ammazzare in Campagnatico luogo della Maremma di Siena.

(15) Alla terra, di cui siamo tutti egualment e figliuoli, essendo tutti di quella impastati.

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Ogni uomo ebbi 'n dispetto tanto avante,
Ch'i'ne mori, come i Senesi sanno
E sallo in Campagnatico ogni fante.
I' sono Omberto: e non pure a me danno
Superbia fè, che tutti i miei (16) consorti
Ha ella tratti seco nel malanno:

E qui convien ch'i' questo peso porti
Per lei, tanto ch'a Dio si soddisfaccia,
Poi ch'io nol fe' tra' vivi, qui tra' morti.
Ascoltando chinai in giù la faccia :

E un di lor (non questi, che parlava)
Si torse sotto 'l peso, che lo 'mpaccia:
E videmi, e conobbemi, e chiamava,
Tenendo gli occhi con fatica fisi

A me, che tutto (17) chin con loro andava,
O, dissi lui, non se' tu Oderisi,

L'onor d' Agobbio, e l'onor di quell' arte,
Ch' (18) alluminare è chiamata in Parisi?
Frate, (19) diss' egli, più ridon le carte,
Che pennelleggia Franco Bolognese :
L'onore è tutto or suo, e (20) mio in parte,
Ben non sare' io stato (21) sì cortese,
Mentre ch'i' vissi, per lo gran disio

(16) Della mia consorteria.

(17) Chinato ancor io com' essi.

(18) Alluminare per miniare, ed in questo significato è parola francese.

(19) Fratel mio, non merito più d'esser detto l'onor di quell' arte, perchè son più belle le carte che col pennello maestrevolmente tocca e dipinge Franco Bolognese,

(20) Perchè sono stato suo maestro, in cui ridonda l'onore dello scolare.

(21) Si liberale in lodar Franco fino a preferirlo

a me stesso,

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