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Nudriti insieme su l'istesso colle,

Pascemmo insieme la medesma greggia

Con più congiunti cuori :

Sanno i boschi e i ruscelli i nostri amori.

Pria che al nascente raggio

Fosser le alte pendici discoperte,

O che le sue palpebre alzasse fuora

La sonnacchiosa Aurora,

Passammo insieme per gli aperti piani;

E, nelle ore più calde ai giorni estivi

Quando lo scarabon ronzando vola,

Anche ascoltammo il suo bordone intenti;

E, sotto la notturna alma rugiada,

Per lo dolce silenzio

Sovente stemmo a pascolar le greggie,

Infin che per la immensa eterea strada

Scendea la vaga vespertina stella,

E verso l'occidente s'inchinava.

Nè delle avene al suono

Stava pur muto il boschereccio coro;

I rozzi Satirelli,

E col caprigno piede

Saltaro i Fauni, e, udendo i lieti accenti,

Non furo al correr lenti,

Carolando festosi; e arrise intanto

Il buon vecchio Dameta al nostro canto.

Oh giorno, oh ora, oh duro cangiamento !

Passato ad altra sede,

Donde non mai si riede,

Eternamente tu passato or sei!

Con più dogliosi omei

Te piangono le selve, oh pastorello,

Di tortuose viti

E di timo silvestre ricoperte

Te piangono le grotte più deserte,

E mai dall' ermo speco

A più funesto suon non rispose eco.

Non più vedransi, a' tuoi soavi lai,

I lor fogliami gai

I salci e gli arboscelli

All' aura sventolar sì vaghi e belli.

Quale alla rosa il più ferale insetto
Al nuovo suo spuntar tenera e inerme,
Quale alle agnelle il verme,

O il gelo ai fior di lieto manto adorni
Al primo biancheggiar del vago spino,
Tal, Licida, ai pastori è il tuo destino.

Dov' era, oh Ninfe, allor vostra dimora,

Quando le onde spietate

Levársi formidabili ed irate,

E inabissar' quel sì gradito capo?

Non scherzavate voi sulla pendice

Ove i Druidi famosi,

I vostri Bardi antichi,

Dormon sepolti; nè su la ronchiosa

Alta cima del Mona,'

Nè dove spande il Deva2

L'incantato suo fiume ed indovino.

Oimè! vaneggio, o sogno?

Se foste allor presenti-Ahi, pensier folli!

Che potè far la Musa, l'alma Musa

Genitrice d' Orfeo,

Pel lusinghier suo figlio,

C

Per cui gemer si vide

L'universal Natura,

Quando, dall' empia femminil masnada,

Fu su l'Ebro mandato

Suo volto insanguinato

Con spaventoso grido

Su le più rapide onde al Lesbio lido.

Lasso che pro, con instancaoil cura Far mestier di pastor rozzo è negletto, E coltivar le Muse ingrate e vane? Forse meglio saria, come altri fanno,

Scherzar con Amarilli,

O intrecciar di Neèra

Le chiome bionde, inannellate e vaghe?

Ma Fama il chiaro spirto innalza e sprona,

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