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Più strano caso mai non fu sentito,
Più degno di memoria e di stupore :
Ch'essendo questi un giorno a caso gito
In un bosco a fuggir le più calde ore,
Vide due serpi la moglie, e 'l marito,
Che congiunti godean del lor amore;
E con un cerro a lor battendo il tergo
Fe ch'al lor fin cercar più occulto albergo.
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Appena dà nell' auree e vaghe pelli,
Che gli vien l'esser suo di prima tolto,
Manca la barba e cresce ne'capelli,
Si fa più molle e delicato il volto :
S'ingrossa il petto, e fuggon tutti i velli,
Si ritira entro al corpo, e sta sepolto
Quel che distingue dalla donna l'uomo,
Talchè si trova donna, e non sa como.
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Trovo che la natura ha molto a sdegno
Chi impedisce i diletti naturali,
E se n'adira forte, e talor segno
Ne fa con varj ed infiniti mali;
Dispiacque alla natura che quel legno
Tolse gli abbracciamenti lor carnali
Agl' indolciti serpi, e dimostrollo
Allor ch'irata disse, e trasformollo.

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Del sesso io voglio farti per tua doglia, Che tanto ingordo quel diletto agogna, Acciò che quando n' averai più voglia, T'impedisca il baston della vergogna, Ma 'l vezzo rio seguì la nova spoglia, E dell'onor schernendo ogni rampogna Poco passò che per esperienza, Avria potuto dar quella sentenza.

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Vidit: et, Est vestrae si tanta potentia plagae,
Dixit, ut auctoris sortem in contraria mutet:
Nunc quoque vos feriam: percussis anguibus ísdem
Forma prior rediit; genitivaque venit imago.

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Si sa ben provveder secretamente
Per soddisfar la sua voglia impudica
Tiresia, ma non tanto che la gente
Nol veda, non ne mormori e non dica:
Ahi! come donna si scuopre sovente
Dell' onor di se stessa poco amica,
Ch'a disonesto amor ceda, e compiaccia,
Pensando che si celi, e che si taccia.
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Ben fortunata si può dir colei,

Che non dà orecchie a disonesto invito:
E che può far, che la ragione in lei
Vinca il pensier lascivo, e l'appetito.
O ben felice cinque volte, e sei,
Chi si sa contentar del suo marito,
E non la lega altro impudico nodo:
Che son gli uomini alfin tutti ad un modo.
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Vide dopo sett'anni che fu donna,
La serpe sotto l' amorosa soma,
E disse s'a turbargli l'uom s'indonna
Io vuo'provar, se la donna s' inuoma :
Gli batte, e un sajo allor si fe la gonna,
Crebbe la barba, e s'accortò la chioma,
Spianossi il petto, e quel ch'era nascosto
Uscendo, il fe per uom conoscer tosto.

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E s'è ver quel che molti hanno affermato, Quand' ei l'ultima volta gli batteo, Volle il colpo ritrar, ch' avea menato, Ma calato era troppo, e non poteo: Che trovò sempre in feminile stato, Come più volte esperienza feo, Venere assai più dolce, e più soave; E però il tornar uom le parea grave.

Arbiter hic igitur sumtus de lite jocosá,
Dicta Jovis firmat. Gravius Saturnia justo,
Nec pro materia fertur doluisse: suique
Judicis aeterna damnavit lumina nocte.

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At pater omnipotens (neque enim licet irrita cuiquam
Facta Dei fecisse Deo) pro lumine ademto
Scire futura dedit: poenamque levavit honore.
Ille per Aönias famd celeberrimus urbes
Irreprehensa dabat populo responsa petenti,

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333. Gravius. Sic Hesiodus, Tzetzes, Liberalis, alii tum poetae, tum interpretes. Callimachus vero in lavacro Palladis, et Nonnus Dionys. 5. Tiresiam oculis privatum fuisse eadem de causa, qua Actaeona tradunt: a Pallade scilicet quam nudam viderat, visus incustoditi poenam dedisse; et Propert. l. 4. 9. Magnam Tiresias aspexit Pallada vates, Fortia dum, posita Gorgone, membra lavat.

Fab. V. Argum. Ille per Aonias fama celeberrimus urbes, etc. Liriope nympha ex amne Cephiso procreavit Narcissum, cui Tiresias Ereri filius omnia prospera responso pollicitus est, si pulchritudinis suae nullam habuisset notitiam. Hunc igitur Echo cum diligeret, neque viam potiundi inveniret, cura et sollicitudine juvenis, quem extremis vocibus persequebatur fugientem, extabuit, ejusque reliquiae corporis in lapidem conversae sunt. Quod ei incidit Iunonis ira, quia garrulitate sua eam saepe esset morata, ne Iupiter in montibus persequens nymphas, manifesto deprehendi posset. Fertur Echo filia Iunonis ob deformitatem montibus recondita, nequid ejus praeter vocem iuspici posset, quae tamen post obitum auditur.

339. Ille per Aonias. Boeotias. Aonia enim pars est Boeotiae montana ab Aone rege cognominata. Haec autem inseruntur, ut commodius fabulae conjugantur.

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Vuo' (disse) ad ogni modo castigarti Ver luich'era ancor donna) la Natura; E intendo il tuo maggior piacer levarti, Poichè non hai della vergogna cura: E quanto erra colui, vuo' ancor mostrarti Che d'impedir l'altrui gioja procura; E così tolse il ben più dolce a lui, Per la dolcezza, ch' avea tolto altrui.

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A questo eletto giudice s'espose La di ridicol merito tenzone; Il qual, senza pensarvi su, rispose, E la sentenza diè contro Giunone; Le man sdegnata addosso ella gli pose, E fuor d'ogni dover, d'ogni ragione, Come s'avesse a lei fatto uno scorno, Gli occhi innocenti suoi privò del giorno. 133

Così perpetua notte il miser' ebbe Per pagamento della sua sentenza; E'l re del cielo, a cui molto n'increbbe, Sofferse, che il facesse in sua presenza : Perocchè giusto a un Dio già non sarebbe All' opra d'altro Dio far violenza; Pur per ricompensar quel rio destino, Delle cose future il fe indovino.

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Così diè Giove ricompensa in parte Al miser uom, ch' avea perduto il lume; E dirlo la Fama in ogni parte per

Tosto spiegò le sue veloci piume:

Come in Beozia un cieco v'è che l'arte,
D'indovinar il ver saper presume,
E in poco tempo da tutte le bande
Vi concorse a trovarlo un popol grande.

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