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Cadmo dopo sì vario e gran periglio, Tebe veduto avea crescer di sorte, Che in questo suo non meritato esiglio Si potea contentar della sua sorte : Avea più d'un nipote, e più d'un figlio, E la più bella e più saggia consorte Ch'al mondo fosse in qualsivoglia parte, per soceri avea Venere e Marte.

E

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Che gran felicità che gran contento, Vedersi una famiglia sì fiorita, E cominciata aver dal fondamento Una città sì nobile, e fornita!

Ma che? nessun si può chiamar contento Fin all'estremo punto della vita:

Fortuna ogni suo gaudio in pianto volse, E il contento ch'avea, tutto gli tolse. 45

Cadmo un nipote avea d'una sua figlia : Felice lui se non l'avesse avuto, Ch' ancor serene avria le meste ciglia, Che non si piange il ben non conosciuto: Cortese era e leale a meraviglia, Da tutto quanto il regno ben voluto; Grato, giocondo, e di piacevol faccia, sopra modo vago della caccia.

E

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Un caso strano al misero intervenne,
Il maggior infortunio non fu mai,
E di quanti parlar l'antiche
penne,
Tutti gli altri avanzò questo d'assai.
Da lui Diana offesa un dì si tenne
Ma non l'offese, e tu Fortuna 'l sai;
E sebben quel meschin Diana incolpa,
Tu sai
pur, che fu tua tutta la colpa.

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145

Non scelus invenies. Quod enim scelus error habebat?
Mons erat, infectus variarum caede ferarum:
Jamque dies rerum medias contraxerat umbras,
Et Sol ex aequo metà distabat utráque;
Cum juvenis placido per devia lustra vagantes
Participes operum compellat Hyantius ore:
Lina madent, comites, ferrumque cruore ferarum :
Fortunaeque dies habuit satis. Altera lucem

147 Hyantius. Thebanus: Hy antes enim populi sunt Boeotiae, qui et Hyautii appellantur. Ilyantia etiam urbs est Locrorum, unde Hyantius derivatur.

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lo scuso in parte la silvestre Dea, Ch'ebbe a pensar di tempo poco spazio, Della pena, ch' a lui donar dovea, Che non avria sofferto sì gran strazio, Ch'ogni vil can che l'infelice avea, S'avesse a far del viril sangue sazio: Ben saria stata di pietade ignuda, Se fosse stata in lei voglia sì cruda.

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Quest' infelice (ch' era Atteon detto) Soleva a caccia andar quasi ogni giorno; Nè si togliea talor da tal diletto

Se'l ciel pria non vedea di stelle adorno: Un dì che 'l bosco avea di

sangue infetto

Di belve senza fin non fe soggiorno, Finchè 'l Sol s'attuffasse a star con Teti, Ma fe piuttosto assai raccor le reti.

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Già nel cielo era il Sol cresciuto tanto, Che discopriva il declinar del monte, E dall'occaso era discosto quanto Gli era lontano il contrario orizzonte: Teneano l'ombre delle cose intanto Tutte al Settentrion volta la fronte, Quand'ei levò da quei cocenti ardori Gli affaticati cani, e i cacciatori.

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Ben è stato il diletto oggi compito; Ben' oggi avuto il fato abbiam secondo: Che veggio il sangue in favor nostro uscito A tutto il bosco aver macchiato il fondo; Già fra Favonio, ed Euro compartito, Ha con ugual distanza Apollo il mondo, Disse; e fia bene omai ritrarre i passi, E ricreare i corpi afflitti e lassi.

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Cum croceis invecta rotis Aurora reducet;
Propositum repetamus opus. Nunc Phoebus utráque
Distat idem terra; finditque vaporibus arva.
Sistite opus praesens, nodosaque tollite lina.
Jussa viri faciunt, intermittuntque laborem.
Vallis erat piceis et acutá densa cupressu;

155

155. Vallis. Fontis Gargaphii in hac valle meminerunt Herodotus in

Calliope, et Pausanias in Boeoticis, obstructum scil. fuisse a Persis in bello Persico, mox a Plataeensibus restitutum.

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Tosto i nodosi e insanguinati lini

Dai pali si disciolgano bicorni,

Poscia ov'han più grat'ombra i faggi e i pini,
Ciascun prenda riposo, e si soggiorni:

Come di perle adorna, e di rubini
La desiata Aurora a noi ritorni,
E faccia a pien del novo giorno fede,
Tenteremo altre caccie, ed altre prede.
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O sfortunato giovane che fai?
Ch' al riposo dei can tanto riguardi ?
Perchè quest' ozio, e quiete loro dai?
Perchè possan seguirti più gagliardi?
O misero infelice perchè stai,

Che non cacci ancor oggi insino al tardi?
Se in questi boschi hai già spenta ogni fera,
Che non cerchi altre caccie insino a sera?
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Già desioso ognun della quiete
Fa quanto egli far dee per riposarsi,
Chi sotto un faggio, e chi sotto un abete,
Non lungi l' un dall' altro erano sparsi:
Altri guarda la preda, altri la rete,
I can si veggon respirando starsi,
Co'l penoso esalar, con lordo morso

Mostran quanto hanno il dì pugnato, e corso. 54

Vicino al loco ove a prender riposo

Gli afflitti cacciator s' erano messi,

V'era una valle amena, e un bosco ombroso
Di molto antichi pini, e di cipressi;

Dove era un antro assai remoto, e ascoso,
Iguoto infino a' paesani stessi;

Sola il sapea la cacciatrice Dea,
Ch'ivi il caldo del dì fuggir solea.

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