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Cadmo, un de' figli, suoi, che vuol fuggire Quegli ingiusti del padre empj decreti, Cercò per tutto, ove si potea gire, Nè potè mai di lei gli occhi aver lieti. Ma chi gl' inganni mai potria scoprire Del gran Motor del cielo, e de' pianeti? Si volse alfine in sì crudele esiglio All'oracol d'Apollo per consiglio. 4

Poich' al bel regno mio non vuol ch' io torni La legge del mio padre iniqua e dura, (Cominciò Cadmo), e il resto de' miei giorni Ho da fondare in patria più sicura,

Dimmi, Apollo, ov'è ben ch' io mi soggiorni, Dov' abbia a por le mie novelle mura? Rispondi e fa ch'a tal patria io m' appigli, Ch'a me sia fausta, a' miei nipoti, e a' figli.

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Un ben maturo e candido vitello
Ne' più deserti campi incontrerai,
(Risponde Febo ) a meraviglia bello,
Che non ha il giogo ancor sentito mai:
Prendi seco il cammin, segui, finch' ello
Si ferma, e quivi il tuo seggio porrai :
Chiama Beozia poi la tua contrada
Dal bue, ch' or or ti mostrerà la strada.

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Appena pon fuor di quell' antro il piede,
Dove sta delle Muse il sacro foute,
Cadmo, che solo un bel giovenco vede,
Ch'ha volto il tergo a quel famoso monte;
Dando al consiglio pio d'Apollo fede
II
passo verso lui drizza, e la fronte:
Febo adora fra se, ch'autor ne fue,
Con ritenuto piè seguendo il bue.

Jam vada Cephisi, Panopesque evaserat arva:
Bos stetit: et, tollens spatiosam cornibus altis
Ad coelum frontem, mugitibus impulit auras.
Atque ita, respiciens comites sua terga sequentes,
Procubuit, tenerique latus submisit in herba.
Cadmus agit grates, peregrinaeque oscula terrae
Figit: et ignotos montes agrosque salutat.
Sacra Jovi facturus erat: jubet ire ministros,
Et petere è vivis libandas fontibus undas.

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19. Cephisi. Fl. Boeotiae. Panopesque. Urbis Phocidos.
27. Et petere è vivis. Abesse a sacrificiis aqua non potest.

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Già le contrade, che il Cefiso bagna, Avean lasciate, ed eran giunti dove In una amena e fertile campagna Dovea Cadmo fondar le mura nove; Qui volse il volto a quel, che l'accompagna, A quel, cui tolse la sorella Giove,

Quel bue, che non curando andar più avante Mugghiando verso il ciel fermò le piante.

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Poich'ebbe il ciel del suo mugghiar ripieno, Fermò ne' Tiri la fronte superba, Come dicesse lor: questo è il terreno, Questa è la patria, che per voi si serba: Nel loco poi più nobile ed ameno, Ch'elegger seppe, si corcò su l'erba, Forse per dare a lor più certo segno, Ch'ivi dovean fondare il novo regno.

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Ringrazia Cadmo la fortuna e'l cielo,
Che vede il bel giovenco, che s'atterra:
E pien di santo e di divoto zelo
Corre a baciar la peregrina terra.
Saluta l'aer sano al caldo, e al gielo,
Che scorge amico alla futura terra;
Saluta i lieti campi, e i monti ignoti,
Co i seguaci di lui non men divoti.

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Prima i debiti onori a Febo rende,
Poi con più diligenza al Tiro piacque
Far sacrifizio a Giove, e farlo intende
Laddove appunto il bel giovenco giacque :
A quel divin mistero ognuno accende,
Poi manda tutti per trovar dell'acque
A investigare a'piè dei novi monti,
Dove diano acque vive i sacri fonti.
Metamorfosi Vol. I.

19

За

Silva vetus stabat, nulla violata securi,
Et specus in medio virgis ac vimine densus,
Efficiens humilem lapidum compagibus arcum;
Überibus foecundus aquis: hoc conditus antro
Martius anguis erat, cristis praesignis et auro.
Igne micant oculi; corpus tumet omne veneno ;
Tresque vibrant linguae: triplici stant ordine dentes.
Quem postquam Tyrid lucum de gente profecti

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32. Martius anguis. Hujus serpentis, item fontis, etiam Pausanias me minit in Boeticis. Ipse autem serpens, quem hic Martium appellat Ovidius, ab aliis proprio nomine Dercyllus dicitur; ut est videre in comment. Euripidis in Phoenissis.

35. Quem postquam. Respexisse volunt Ovidium ad serpentem illum mirae magnitudinis, qui apud Bagradum fluv. Africae Alilii Reguli exercitum usum amnis prohibuit, multis militibus correptis elisisque, de quo Plinius lib. 8. cap. 14. A. Gellius l. 6. c. 4. Silius lib. 6. Oriosus lib. 4. cap. 8. aliique. Mihi potius videtur imitatus Euripidem in Phoenissis, ubi Cadmi ip. sius et serpentis habetur certamen. Lege Nonnum sub exitu lib. 4. hoc idem referentem.

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Non molto lungi ura gran selva antica Facea di spessi rami a se stessa ombra, Che la scure crudele ed inimica Mai non avea d'alcuna pianta sgombra: Quì dove il bosco più folto s'intrica, Una rustica grotta il centro ingombra, Rustico un umile arco ha nella fronte, Rustica è dentro, ed ha nel mezzo un fonte.

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Quivi era ascoso un marzial serpente,
Di creste, e d'oro orribilmente adorno,
Ch'in tre partite avea distinto il dente,
E su la fronte un bellicoso corno:
Il suo collo elevato ed eminente
Ovunque vuol snoda, e raggira intorno;
E fa scherno col collo agile e leve
Al dorso suo più faticoso e greve.

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Negli occhi un così orribil foco splende, Che l'uom non puote in lui fermar la vista: Di fuor la lingua triforcata rende,

E con sibilo orrendo il mondo attrista :
Quando di più color l'ali distende,
Prestezza, e forza al pigro corpo acquista :
Noce assai con la lunga ed agil coda,
La qual non men del collo aggira, e snoda.
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Non fa il piè nel ferir minore effetto
Che l' unghia ha curva, e lacera, e divide,
L'aer, che fuor la bocca esala infetto
L'erbe, e le piante, e gli animali uccide:
Or qual fia mai sì valoroso petto,
Ch' estinguer possa le membra omicide?
Ch'ogni parte ch'è in lui nocer si vede,
La coda, il corno, il fiato, il dente, e'l piede.

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