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Tosto i nodosi e insanguinati lini

Dai pali si disciolgano bicorni,

Poscia ov'han più grat'ombra i faggi e i pini,
Ciascun prenda riposo, e si soggiorni:

Come di perle adorna, e di rubini
La desiata Aurora a noi ritorni,
E faccia a pien del novo giorno fede,
Tenteremo altre caccie, ed altre prede.
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O sfortunato giovane che fai?
Ch' al riposo dei can tanto riguardi ?
Perchè quest' ozio, e quiete loro dai?
Perchè possan seguirti più gagliardi?
O misero infelice perchè stai,

Che non cacci ancor oggi insino al tardi?
Se in questi boschi hai già spenta ogni fera,
Che non cerchi altre caccie insino a sera?
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Già desioso ognun della quiete
Fa quanto egli far dee per riposarsi,
Chi sotto un faggio, e chi sotto un abete,
Non lungi l' un dall' altro erano sparsi:
Altri guarda la preda, altri la rete,
I can si veggon respirando starsi,
Co'l penoso esalar, con lordo morso

Mostran quanto hanno il dì pugnato, e corso. 54

Vicino al loco ove a prender riposo

Gli afflitti cacciator s' erano messi,

V'era una valle amena, e un bosco ombroso
Di molto antichi pini, e di cipressi;
Dove era un antro assai remoto, e ascoso,
Ignoto infino a' paesani stessi;

Sola il sapea la cacciatrice Dea,
Ch' ivi il caldo del dì fuggir solea.

Nomine Gargaphiae, succinctae sacra Dianae:
Cujus in extremo est antrum nemorale recessu,
Arte laboratum nulla: simulaverat artem
Ingenio Natura suo; nam pumice vivo
Et levibus tophis nativum duxerat arcum.
Fons sonat a dextra tenui perlucidus undȧ,
Margine gramineo patulos incinctus hiatus.
Hic Dea silvarum venatu fessa solebat
Virgineos artus liquido perfundere rore.

160

Quo postquam subiit, Nympharum tradidit uni 165 Armigerae jaculum, pharetramque, arcusque retentos; Altera depositae subjecit brachia pallae.

157. Nemorale. Nemoribus tectum.

159. Pumice vivo. Naturali. Pumex autem lapis est levis, cavernosus, poliendis rebus accommodatus.

160. Et levibus tophis. Tophus lapis est cavernosus.

55

Detta Gargafia è quella nobil parte,
Di cui tenea la Dea silvestre cura;
Non è la grotta fabbricata ad arte,
Ma ben l'arte imitato ha la natura :
Un nativo arco quell' antro comparte,
Ch'in mezzo è posto alle native mura:
Tutta d'un fragil tufo è la caverna,
La fronte, i lati, e ancor la volta interna.
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Goccia per tutto intorno la spelonca,
E un chiaro fonte fa dal destro lato,
Dove più basso a guisa d'una conca,
La natura quel tufo avea cavato;
Forma la goccia il tondo, e poi si tronca,
Nè stillamento v'è continovato:

Ma per più goccie sparse un ruscel cresce,
Ch' empie quel vaso, e poi trabbocca e n'esce.
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Dell' antro il ciel che natura compose,
Dalle goccie, e dal gel diviso e rotto
V'ha mille varie forme e capricciose,
Ch'esser mostran d'artefice ben dotto;
Tronchi ovati, e piramidi spugnose
Vi pendon, ch'al gocciar fanno acquedotto;
Compartimento ha tal, che lo scalpello
Nol potria far più vago, nè più
nè più bello.

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Qui star solea la Dea silvana spesso

Per fuggir il calor del mezzo giorno,
Dove giunta ora, e le compagne appresso,
L'arco in man d'una diede, i dardi, e il corno.

L'aureo sparso suo crin sottile e spesso
Raccoglie un' altra, e poi l'avvoglie intorno:
Poi glie lo lega in capo in un bel modo,
Con un leggiadro e maestrevol nodo.

170

Vincla duae pedibus demunt. Nam doctior illis
Ismenis Crocale, sparsos per colla capillos
Colligit in nodum; quamvis erat ipsa solutis.
Excipiunt laticem Nepheleque, Hyaleque, Rhanisque,
Et Psecas, et Phiale; funduntque capacibus urnis.
Dumque ibi perluitur solita Titania lympha;
Ecce nepos Cadmi dilata parte laborum
(Per nemus ignotum non certis passibus errans) 175
Pervenit in lucum: sic illum fata ferebant.
Qui simul intravit rorantia fontibus antra;
Sicut erant, viso nudae sua pectora Nymphae
Percussére viro: subitisque ululatibus omne
Implevére nemus: circumfusaeque Dianam

180

168. Vincla. Cothurnos. Venus habitu venatricis assumpto. Æneid. 1. Purpureoque alte suras vincire cothurno.

169. Ismenis. Ismeni fluv. filia: ex re adaptat nomina de Graeco. zpozán calculus est litoralis, vel in imo fontis.

171. Excipiunt laticem Nepheleque. Nipteque Bersmannus amo to vínley. Sed recte vetustiores magno numero Nepheleque. Heinsius. Laticem, Aquam, a latendo, quod in terra venis lateat. Hyaleque: Pellucida, ab xhs, vitrum. Rhanisque: A paivw, aspergo.

173. Titania. Diana Titanii progenies, ut Sol Titan. Quae eadem esse cum Luna putatur, quae quidem ut Sol Titan, sic Titania Titanisque interdum a poëtis vocatur.

174. Ecce nepos Cadmi. Actaeon.

59

Chi le slaccia i coturni, e scopre il piede, Altra le spoglia la succinta veste,

E l'una all'altra in ben servir non cede,
Ma stanno pronte, vigilanti e preste :
Come la Dea spogliata esser si vede,
Non vuol ch'alcuna fuor vestita reste;
E ignude se n'entrar (come a lei piacque )
Nelle dolci tranquille e lucid'acque.

60

Mentre si stan le Ninfe ivi adunate
Sensa sospetto alcun liete e sicure,
E si lavan le membra delicate
Nelle dolci acque cristalline e pure:
E con parole accorte oneste e grate
Passan quell'ore sì nojose e dure;
Atteon, ch'a diporto iva soletto,
Venne a caso in quest'antro a dar di petto.
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Siccome piacque all' empio suo destino,
S'era a'compagni l' infelice tolto;

Ch'altri prono, altri in fianco, altri supino
Veduto avea nel sonno esser sepolto:

Entrò in quel bosco, che'l cipresso, e il pino
Ed altri arbori fanno ombroso e folto,
Tanto che'l trasse il piacer, che n' avea,
Dov'era ignuda la silvestre Dea.

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Come son d' Atteon le Ninfe accorte,
Ch'in lor tien gli occhi stupidi ed intenti,
E veggon ch'egli le ha già ignude scorte,
Con muti e rotti gemiti, e lamenti
Batton le mani, e'l sen non però forte,
Perch' han vergogna; e misere e dolenti
Le parti ascondon che natura asconde,
Dentro alle trasparenti e limpid' onde.

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