287 Quivi drizzò la Dea prudente e casta Il suo santo vestigio, e il santo piede; Giunta percote la porta con l'asta, E quella al primo picchio s' apre, e cede: E che vipera, ed aspide, e cerasta Mangia l'Invidia alla sua mensa, vede; E che la pascon carni di serpenti De' brutti vizj suoi degni alimenti. 288 Non si degna la Dea dentro alla porta Porre il suo altero e venerabil passo, Anzi tal vista, e l'odio che la porta, Le fa l'occhio tener curvato e basso; L'Invidia, che la Dea dell' arme ha scorta Mormora, e move il piede afflitto e lasso Lascia mezzo mangiate idre, e lacerti, E va con passi inutili ed inerti. 289 Come meglio la Dea superba mira 290 780 Sed videt ingratos, intabescitque videndo, Sic opus est. Aglauros ea est. Haud plura locuta 785 virentem: 795 783. Tritonia. Vel a Tolé, quod lingua Cretum caput significat; eo quod ex capite Jovis nata sit. Vel à palude Tritone Libyae, juxta quam nata est, ubi Stagni quieta Vultus vidit aqua posuitque in margine plantas, Et se dilecta Tritonida dixit ab unda, Lucan. lib. 9. 352. 794. Tritonida. Athenas artibus, studiis, et pace florentes. 797. Sed postquam, etc. Supra narravit, regiam habuisse tres thalamos, ebore et testudine cultos; quorum dexter Pandrosi, laevus Aglauri, medius Herses fuerit. Relictis itaque aliis, sinistrum ingreditur Invidia, effectum datura quod sibi Pallas mandaverat. 291 Allor si strugge, si consuma, e pena, Che felice qualcun viver comprende: E questo è il suo supplizio, e la sua pena, Che se non noce a lui, se stessa offende; Sempre cerca por mal, sempre avvelena Qualche emol suo, finchè infelice il rende. Tien, per non la veder, la fronte bassa Minerva, e tosto la risolve, e lassa. 292 La temeraria figlia, Aglauro detta, 293 Prende una verga in man di spini avvolta, E vola al danno altri pronta e veloce, La circonda una nebbia oscura e folta, Che fiori, ed erbe, e piante abbrucia, e coce. Ovunque il viso suo nojoso volta, Avvelena, fa nausea, infetta, e noce; Corrompe le città, gli uomini attosca E fa, ch' un se medesmo non conosca. 294 Struggendosi l' Invidia affretta il piede, Giugne ad Atene, e sta mirando alquanto Quel popol, ch' in ricchezza ogni altro eccede, E tutto il trova in gioco, in festa, e in canto: Tiene appena le lagrime, che vede, Che cosa ivi non è degna di pianto. Ver la casa del Re la strada piglia, Per farlo poco lieto della figlia. 800 Jussa facit: pectusque manu ferrugine tincta 810 dant flammas, lenique tepore cremantur. 295 Con le man rugginose più che puote, Batte per far venir pallide, e smorte D'Aglauro le vermiglie, e bianche gote, Che così belle, e così grate ha scorte: Con la spinosa poi verga percote Quattro, e sei volte lei, più che può forte: E tal virtute han la sua verga, e palma, Che non nocendo al corpo affliggon l'alma. 296 Mentre l'afflitta Invidia e dispietata Fa, che nel suo pensier contempla, e guata 297 Poichè di fiato putrido, e veneno Giorno e notte s'affligge, e si tormenta, Come una pira che non sia ben spenta, Ch'arde di dentro e non appar di fuore, Esala, e sfoga in qualche parte, e fuma,, E dentro a poco a poco si consuma. |