203 Di Coroneo di Focide fui figlia, Oimè, ch'io rinovello il mio dolore Vergine regia e bella a maraviglia, E già fei molti Re servi d' Amore. Mio nome al nome di colei simiglia, Che cerchi d'accusare al tuo signore: Già della mia beltà molti Re presi Per moglie mi bramar, ma non v'attesi;
204 Perchè le voglie mie pudiche e monde Fean resistenza, come all'acque un scoglio. Andando un di
dì
per arenose sponde Del mar con lenti passi , com' io soglio, Arder feci Nettuno in mezzo all'onde, Siccome lampad' arde in mezzo all'oglio; Nè il mar suo tutto potè spegner dramma Dell'accesa da me nel suo cor fiamma.
205 D'amor costretto alfin del mare uscito, O Dio, che lusinghevoli parole Mi disse ! 0 donna, ch'oggi il cor ferito M'hai con le tue bellezze al mondo sole, Donna , che col tuo sguardo almo e gradito Pareggi, e passi il lampeggiar del Sole, Non fuggir , ma quel Dio gradir ti piaccia , Il cui gran regno tutto il mondo abbraccia.
206 Quel Dio signor di quel degno elemento, A cui ciascun degli elementi cede, Se la terra io sommergo a mio talento, Pirra , e Deucalion ne faran fede, Temendo non restare il foco spento , Fuggito è nella più suprema sede; ; Dall
' aer puoi veder s'io son temuto , Ch'ogni giorno ho da lui censo e tributo.
Tempora cum blandis absumsit inania verbis; Vim parat , et sequitur: fugio, densumque relinquo Littus , et in molli nequicquam lassor arena. Inde Deos, hominesque voco: nec contigit ullum Vox mea mortalem : mota est pro virgine virgo, Auxiliumque tulit. Tendebam brachia caelo: 580 Brachia coeperunt levibus nigrescere pennis.
207 Perchè nelle caverne della terra, Nelle spelonche, ch' ha questo e quel monte , L'aer, che dentro si rinchiude, e serra , Si gela , e sface, e forma il fiume, e il fonte : Per li porosi lochi entra sotterra Novo aer a perder la primiera fonte, Dove vien se medesmo a trasformare, Per dar tributo al mio superbo mare.
208 lo di ricchezze tanto, e tanto abbondo D'argento, e d'oro, e pietre preziose, Che quante ne fur mai per tutto il mondo Si trovan tutte nel mio regno ascose ; Nel mar sta il mio palazzo più profondo , Dove si veggon le più rare cose, Rubini , oro, e diamanti già sommersi Di Latini, e di Greci , Arabi e Persi.
209 Signor son de' coralli, e delle perle, Ed acquisto ogni dù ricchezze nove: E se ti piace venir a vederle, Cose vedrai , che non hai viste altrove. Per tutto aprir ti farò l' acque per le Strade del mar, fin che tu giunga dove Sta’l mio tesor , ch'è tutto a' piacer tuoi Per te, per li parenti, e per chi vuoi.
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Ei non restava di seguir dicendo: lo fuggir con destrezza avrei voluto; Alfin l' innamorato Dio vedendo, Ch'era il parlar con me tempo perduto, Si prepara alla forza: il corso io stenilo, E gli uomini , e gli Dei chiamo in ajuto; Minerva sola al mio pregar voltosse, E vergine per vergine si mosse.
Metamorfosi Vol. I.
Rejicere ex humeris vestem molibar; at illa Pluma erat : inque cutem radices egerat imas. Plangere nuda meis conabar pectora palmis : Sed neque jam palmas, nec pectora nuda gerebam. Currebam: nec, ut ante , pedes retinebat arena: Et summá tollebar humo; mox acta per auras Evehor, et data sum comes inculpata Minervae. Quid tamen hoc prodest, si diro facta volucris Crimine Nyctimene nostro successit honori?
An, quae per totam res est notissima Lesbon, Non audita tibi est? patrium temerasse cubile
Levar la cuffia, e i crin stracciar di testa Volendo, empio le man di nera penna , La cuffia già s'impiuma , e già s'innesta , E fa radice nella mia cotenna; Io cerco alleggerirmi della vesta , Ma quella ancora in me s'incarna , e impenna; Graffiar volsi le parti ignude e belle , Ma nè man non trovai, nè nuda pelle.
Correva a più poter per liberarmi, Nè il piè posava in terra come prima: Ma in aria dal desio sentìa levarmi, Nè dello Dio del mar facea più stima : Più non temea che potesse arrivarmi , Nè guadagnar di me la spoglia opima: Poi, perch' all'onestà fui sempre serva, lo fui fatta compagna di Minerva.
213 O sfortunata ! e che mi giova or questo, Poichè ogni mio favor restato è vano? Che quel dì che l' error fei manifesto Di chi scoperse il dragon di Vulcano , Nettimene, ch'avea commesso incesto , E fatto un nuovo augel notturno e strano, Ch' in Lesbo nacque già del Re Nitteo , Pallade in loco mio sua serva feo.
214 O Dio, che veggo ! e chi m'è preferita ?
! Una che dell'amor del padre accesa , Fu tanto scellerata e tanto ardita, Ed ebbe tanto a ciò la voglia intesa , Ch’a lato al padre a mezza notte gita, Dal padre suo fu per la moglie presa: Ma scopertosi il fallo , acceso il lume, Fuggir volendo si vestì di piume.
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