151 Dal dì, ch' in forma della figlia Giove Le Lodato ch' ebbe l'ombra, il bosco e il sito, E dentro il piede postovi, e sentito Di doversi bagnar, lor non dispiacque ; Or che farà Calisto? se si spoglia, Fuggi, putta sfacciata, e come hai fronte 465 Cynthia: deque suo jussit secedere coetu. Quo simul obvertit saevam cum lumine mentem; 470 476 465. Cynthia. Diana, a Cyntho Deli monte, ubi nata. 466. Senserat hoc olim ec. Jam pridem de hoc furto Jovis cognoverat Juno: sed ultionem in tempus aliud rejecerat. 469. De pellice. De Callistone. 155 La casta compagnia sdegnata diede Alla compagna rea perpetuo esiglio. L'infelice Calisto, che si vede Esser in odio al virginal consiglio, Scontenta e trista al patrio albergo riede, Dove poco dappoi diè fuora un figlio, Che riuscì da seme sì perfetto Nobil di sangue, d'animo e d' 156 aspetto. Giunon lo stupro avea già presentito Questo mancava un testimonio certo La prende con gran rabbia ne' capelli, E la declina a terra, e tira, e straccia; Quell' alza gli occhi lagrimosi e belli, E supplice ver lei stende le braccia: Già coprono le braccia orridi velli, E ver la bocca s'aguzza la faccia; Si veste a poco a poco tutto il dosso D'un rugginoso pel fra il nero, e'l rosso, Brachia coeperunt nigris horrescere villis, 480 Curvarique manus, et aduncos crescere in ungues, Neve preces animos, et verba superflua flectant, Mens antiqua tamen facta quoque mansit in ursá. 484 478. Brachia. Callisto, ut habet Palaephatus, venatrix erat: illa ingressa aliquando ursae cubile, interfecta est ab ursa, quae mox egressa, a Callistus comitatu in ursam mutata credebatur. Sed vide Pausaniam 4. lib. 8. Higynum l. 1. c. 1. Commentatorem in Arati Phaenomena. 159 Poi le toglie il parlar grato e giocondo, Perchè non possa altrui mover col dire : Un minaccevol suono, ed iracondo Dal roco gozzo suo si sente uscire; L'unghia s'aguzza alla forma del tondo, E si rende atta a graffiare, e ferire, Curvar prima la mano, e poi si vede L'ufficio far del faticoso piede. 160 Quel sì leggiadro e grazioso aspetto, Che piacque tanto al gran rettor del cielo, Divenne un fero e spaventoso obbietto Agli occhi altrui sotto odioso velo; L'umana mente solo, e l'intelletto Servò sotto l'irsuto e rozzo pelo; Questa, ch' in ogni parte Orsa divenne, L'antica mente sua sola ritenne. 161 Se Giove ingrato ben chiamar non puote, Ingrato dentro all'animo il comprende, E se non può con le dolenti note, Quelle mani che puote al ciel distende; E in tutti gli atti suoi par, che dinote Che tutto il mal ch'ella ha, da lui dipende : Ch'ha per lui il volto, l'onor suo perduto, E che appartenga a lui di darle ajuto. Gir 162 quante volte sola dubitando per le selve come l'altre fere, Sen giva intorno alle sue cose errando, Ovver per mezzo a qualche suo podere, Dei proprj noti suoi frutti mangiando Pruni, mele, castagne, noci, e pere; Ch'ancor conosce che fal mal colui, Che del suo puote, e vuol mangiar l'altrui. |