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Più folti boschi, per li novi rami,

Delle meste sorelle di Fetonte,

Ripieni avea di dolorosi e grami

Pianti, e lamenti, e 'l fiume, e 'l piano, e 'l monte. E vedendo gl'insoliti legami,

Che coprian lor la dolorosa fronte,

Credo, ch' invidia gli toccasse il core,
Che fosser fuor del solito dolore.

120

Tosto altro suon la voce mesta rende,
Di bianche piume poi coprir si vede :
Il collo se gli allunga, e si distende,
Lega rossa giuntura i diti, e il piede,
La bocca un rostro non aguzzo prende,
L'ala asconde la mano, e non si vede
Cigno avea nome il re Ligure, e quello
Nome ritenne essendo fatto augello.

121

;

In mente ancor quanto già nocque, e serra
A Fetonte a spiegar troppo alto l'ale;
Però non molto alzarsi osa da terra,
Che teme Giove, e il suo fulmineo strale;
Sol fra paludi egli s'aggira, ed erra,

E

per non cader giù, poco alto sale;

Abita fiumi, e laghi, ed ogni loco,

Che

pare a lui, che sia contrario al foco.

122

Squallido il Padre di Fetonte intanto,
Come morto cader del carro il mira,

Odia il giorno, e se stesso, e il regio ammanto,
E senza il suo splendor piange, e sospira :
Nè basta, che si doni in preda al pianto,
Che dal pianto si dona in preda all' ira :
E nega in volto irato, e furibondo
D'esser più scorta della luce al Mondo.

Sors mea principiis fuit irrequieta: pigetque
Actorum sine fine mihi, sine honore, laborum.
Quilibet alter agat portantes lumina currus:
Si nemo est, omnesque Dei non posse fatentur;
Ipse agat: ut saltem, dum nostras tentat habenas, 390
Örbatura patres aliquando fulmina ponat.

395

Tum sciet, ignipedum vires expertus equorum,
Non meruisse necem, qui non bene rexerit illos.
Talia dicentem circumstant omnia Solem
Numina: neve velit tenebras inducere rebus,
Supplice voce rogant: missos quoque Jupiter ignes
Excusat, precibusque minas regaliter addit.
(Colligit amentes, et adhuc terrore paventes,
Phoebus equos: stimuloque domans et verbere saevit:
Saevit enim, natumque objectat et imputat illis.) 400

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123

Troppo è stato inquieto il viver mio,
Dal secolo primier ch'incominciai,
Ch'avendo al Mondo di giovar desio,
Vagato son senza posarmi mai.
Poich'altro cuor di ciò trar non poss' io,
Me ne starò ne' miei tormenti, e guai;
Trovisi un altro duce, un'altra scorta,
Che guidi il carro che la luce porta.
124

S'alcun non v'è sì coraggioso e forte,
Guidilo il re de' folgori, e de' lampi;
Ch'allor saprà quel che'l mio carro importe
S'avvien quel ch'io non credo, che ne scampi
Allor saprà, che non merta la morte
Chi guida i miei cavalli, ancorch' inciampi,
A cagion, che talor lanciar s'arresti
Lo stral, che rende i padri orbati e mesti.
125

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Mentre che 'l Sol così s'affligge, e dole,
Tutti i celesti Dei gli stanno intorno :
E pregan lui con supplici parole,

Che renda il Mondo del suo lume adorno :
Che vede ben, che l' universa mole
Fia tenebrosa, se le toglie il giorno
Giove si scusa, e prega; indi minaccia,
Non però sì, che più sdegnato il faccia.
126

Gli sparti raggi per gli arsi sentieri
Febo ritrova, e l'infiammate spoglie :
Gli ancor smarriti e stupidi destrieri
Sotto il suo duro fren di nuovo accoglie;
E incolpa lor, che sì vani e leggieri
Mal secondar l'altrui giovinil voglie:
E, come sian cagion del suo martoro,
Gli batte, e sferza, e incrudelisce in loro.

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