Udito il giuramento allegra torna Giunon, ed Io racquista il primo stato: Si fan due bionde treccie ambe le corna; Ogni altro pel da lei toglie commiato: L'occhio suo come pria picciol ritorna, Il volto è più che mai giocondo, e grato, E, tornata che fu l'umana faccia, I piè dinanzi suoi, si fer due braccia. 204
L'unghia sua fessa di nuovo si fende D'altri tre fessi, che fan cinque dita; La man già si disnoda, e già s'arrende, E torna più che mai sciolta, e spedita: Tosto si leva, e in alto si distende, E ferma su due piè tutta la vita, Mutata tutta in un punto si vede, quanto più le par, men ella crede. 205
Volea parlar per veder s'era quella Ch'esser solea, ma temea non muggire: Apre la bocca al dir, poi la suggella Per non udir quel, che fuggia d'udire: S'arrischia alfin, ma con rotta favella Tutta dubbiosa sotto voce a dire, E poi che'l caso suo conobbe espresso, Il Cielo ringraziò del buon successo. 206
A cui dappoi più d'un tempio s'eresse, E venerata fu fra gli altri Dei, Onde si tien, che di Giove nascesse Epafo, un bel figliuol, che uscì di lei : Ed in segno di ciò, par, ch'egli avesse Nel mondo tempj assai giunti a costei. D'animo, e d'anni uguale ebbe in quel tempo Un figliuol di colui, che tempra il tempo.
Sole satus Phaethon, quem quondam magna loquen
Nec sibi cedentem, Phoeboque parente superbum, Non tulit Inachides: matrique, ait, omnia demens Credis, et es tumidus genitoris imagine falsi. Erubuit Phaethon, iramque pudore repressit: Et tulit ad Clymenem Epaphi convicia matrem. Quoque magis doleas, genitrix, ait: ille ego liber, Ille ferox, tacui: pudet haec opprobria nobis Et dici potuisse, et non potuisse refetti. At tu, si modo sum caelesti stirpe creatus, Ede notam tanti generis, meque adsere caelo.
752. Nec sibi cedentem. Quia Phoebo patre Deo nalus esset, aeque ac Epaphus. Verum non aeque magno deo, ut ille: nam quid Iove majus habetur? Cedere ergo Phaethon Epapho debuisset hac in parte. Sed Phaëthonti animos augebat, quod avum haberet Iovem, et Epaphus de avo gloriari non poterat: nam Saturni nullum jam nomen erat.
753. Inachides. Epaphus, Inachi nepos.
756. Ad Clymenem. Quae fertur Nympha fuisse Oceani, et Tethydos filia, ex qua Apollo sustulit Phaethontem. Tulit. More puerorum, qui offensi ab aequalibus, rem ad parentes deferunt, et ab iis vindictam petunt.
Fer sì la nobiltà, gli anni, e il valore, Ch' ebber contesa della precedenza, Ch' esser questo di quel volea maggiore, Ciascun per la celeste discendenza ; E stavansi nei punti dell'onore, Che ne fu gran querela, e differenza, Perchè Fetonte il bel figliuol del Sole, Disse un dì molto altier queste parole;
Qual più chiara progenie può trovarsi Di quella, che dal Sol chiaro discende? E, se qualch' una illustre osa chiamarsi, Tanto illustre più fia, quanto più splende: Non so chi possa al mio padre agguagliarsi, Che vien da Giove: e sì gran lume rende, Che, s'ei ponesse alla sua luce il velo, Faria steril la terra, oscuro il cielo.
Non potè più patir quell'altro altiero Figliuol di Giove, e d'Inaco Nepote: E disse a lui tutto alterato, e fiero Con queste acerbe, ed orgogliose note: Come sai tu di questa istoria il vero? Chi far del tuo parlar fede ci puote? Qual ragion, qual certezza a dir ti muove, Che tu sia figlio al Sol, nepote a Giove?
Io ben con gran ragion posso vantarmi D'esser nato di quel, che regge il tutto, E di questo fan fede i tempj, e i marmi, Ch'alla mia madre son sacri per tutto: Ma tu per qual segnal puoi dimostrarmi, Che tanto illustre Dio t'abbia produtto? E quando ancor di ciò dessi alcun segno, Ti terrei forse ugual, ma non più degno. Metamorfosi Vol. I.
Dixit, et implicuit materno brachia collo,
Perque suum, Meropisque caput, taedasque sororum, Traderet oravit veri sibi signa parentis.
Tu mostri ben poco sano discorso, Poichè ogni cosa alla tua madre credi: Pon per l'innanzi alla tua lingua il morso, Fin che maggior chiarezza non ne vedi : Fetonte allor cosi sbattuto, e morso Subito mosse i suoi veloci piedi, E ver la madre Climene andò ratto, Per ritrovar il ver di questo fatto.
Tosto la madre sua trova Fetonte
Spinto da quel pensier, ch'entro il consuma; E prima, che il suo obbrobrio le racconte, Più volte fra se stesso il volve, e ruma: Madre mia, disse poi, non ho più fronte Farmi figliuol di quel, che il mondo alluma; Poichè non posso indubitata fede
Farne a ciascun, che 'l nega, e non mel crede. 213 E qui le raccontò tutto l'oltraggio, Ch'intorno a questo gli era stato opposto, E che per non poter del suo lingnaggio Dar segno alcuno, non avea risposto: E, s'ella a lui non ne dava alcun saggio, Saria sempre a tal biasmo sottoposto : E saria sempre astretto di star cheto, Per non poterlo ributtare indietro.
Or, se gli è ver, che di stirpe celeste Dal gran Pianeta, che distingue l'ore, Io tragga questa mia corporea veste, A cui l'alma dà legge in mezzo al core; Se felice Imeneo le nozze appreste Delle sorelle tue con ogni onore; Dammi quei segni, che figliuol mi fanno Di chi col suo cammin pon meta all'anno.
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