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187

Mentre in parte discorre, e in parte sogna,
E non dà noja al discorso il sognare,
Col pensier desto di sapere agogna,
E'l pastor prega, che voglia contare,
Come fu ritrovata la sampogna,
Che si soavemente ei fa sonare.

Disse quel Dio, cantando in dolce tuono,
Facendo pausa al suo cantar col suono.

188

Nei gelati d'Arcadia ombrosi monti
Fra l'Amadriadi Nonacrine piacque
Una, che Naiade era, che in quei fonti,
Che sorgon quivi, fe' sua vita, e nacque.
Satiri, e Fauni, e Dei più vaghi e conti,
Sempre scherniti avea, tanto le spiacque
Il commercio d' Amor, quasi empio e stolto,
Per aver a Diana il suo cor volto.

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Siringa nome avea la Ninfa bella,
Che studiò d'imitar l'Ortigia Dea,
Con la virginità, con la gonnella,
Con ogni cosa, ch'essa usar solea;
Non si riconoscea questa da quella,
Ch'in ambe ugual beltà si discernea.
Nell'arco sol disconvenner tra loro:
Questa l'uso di corno, e quella d'oro.

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Mentre ella un dì dal bel Liceo ritorna Casta nel cor, nel volto allegra e vana, La vede un Dio, ch'ha due caprigne corna, Co i piè di capra, e con sembianza umana. Com'ei la vede sì vaga, e sì adorna, Nè sa, che il cor sacrato abbia a Diana, Le dice: or Ninfa i dolci voti attendi, E quel Dio, che ti vuol, marito prendi.

Talia verba refert.... Restabat verba referre:
Et precibus spretis fugisse per avia Nympham:
Donec arenosi placidum Ladonis ad amnem
Venerat : híc illi; cursum impedientibus undis,
Ut se mutarent, liquidas orasse sorores:

700

710

Panaque, cum prensam sibi jam Syringa putaret, 703
Corpore pro Nymphae calamos tenuisse palustres :
Dumque ibi suspirat, motos in arundine ventos
Effecisse sonum tenuem, similemque querenti:
Arte nová, vocisque Deum dulcedine captum,
Hoc mihi concilium tecum, dixisse, manebit:
Atque ita, disparibus calamis compagine cerae
Inter se junctis, nomen tenuisse puellae.
Talia dicturus vidit Cyllenius omnes
Succubuisse oculos, adopertaque lumina somno.
Supprimit extemplo vocem, firmatque soporem, 715
Languida permulcens medicata lumina virga.

712. Nomen tenuisse. Graeci namque fistulam Syringa vocant ab ipsa puella.

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Avea molto che dir Mercurio intorno

A quel, che a Pane in questo amore occorse,
Il qual di pino, e di corona adorno,
In van pregolla, in van dietro le corse :
E come corso avrian tutto quel giorno,
Se non, che un fiume a lor venne ad opporse,
Che'l Ladon fiume il correre impedio
Alla gelata Ninfa, al caldo Dio.

192

Laddove giunta pregò le sorelle,
Che volesser salvarla in alcun modo :
E s'appreser le piante tenerelle
Al terren paludoso, e poco sodo,
Che tutte l'ossa sue si fer cannelle,
Ch'ogni giuntura sua si fece nodo,
Che gran foglie si fer le vesti tosto,
E tutto il corpo suo tenner nascosto.

193

E che correndo Pane in abbandono
Pensò tenerla, e sfogar la sua voglia:
E che prese una canna, donde un tuono
Flebile uscìa, come d'uom che si doglia;
Che mentre ella spirò, rendè quel suono
Il vento mosso in quella cava spoglia :
E come Pan da tal dolcezza preso,
Disse in van non avrò tal suono inteso.
194

E di non pari calami compose

Con cera aggiunti il flebile istrumento,
A cui poscia Siringa nome pose
Dal nome suo, da quel dolce lamento.
Dovea dir queste con molte altre cose
Mercurio intorno a questo cambiamento ;
Ma, perchè già tutte le luci chiuse

In Argo scorse,

il suo parlar conchiuse.

200709

Nec mora:
mora: falcato nutantem vulnerat ense,
Qua collo est confine caput, saxoque cruentum
Dejicit, et maculat praeruptam sanguine rupem. 719
Arge, jaces; quodque in tot lumina lumen habebas,
Extinctum est, centumque oculos nox occupat una.
Excipit hos, volucrisque suae Saturnia pennis
Collocat, et gemmis caudam stellantibus implet.
Protinus exarsit, nec tempora distulit irae:

718. Qua collo confine. Quà caput conjungitur cum collo.

720. Arge jaces. Virg. 10. Æn. Istic nunc, metuende jace. Hom. Iliad. X et v. 386.

Κἔιται πὰρ νήεσσι νέκυ ἄκλαυτος, ἃθειπ7ος,

Пáτpoxλos, et alibi. De iis, qui ferro pereunt, qui non sua morte defunguntur. Cui contrarium stare, incolumem esse. Virgil. 2. Æneid. Dum stabat regno incolumis.

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ARTOR, LENOX AND

NDATIONS.

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