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103

O Dio, che disse, e fe, quando fu giunta Alla terra lontana e peregrina, Dove il Pò fende in due parti la punta, E ne va per due strade alla marina r Da soverchio dolor trafitta e punta Sopra il novo sepolcro il volto china; Legge, e sparge di pianto il dolce nome, Stracciando le canute inculte chiome.

104

Alzando al cielo poi gli umidi rai; Disse, dal dolor cieca e dallo sdegno: Deh, perchè Giove, un figlio tolto m'hai, Degno della tua corte e del tuo regno? Qual uom, qual Dio fra voi si trovò mai, Che s'alzasse con l' animo a quel segno? Dunque un cor sì magnanimo e sì forte Dovea per premio aver da voi la morte?

105

Non ebbe intenzion d'ardere il mondo Quando s'accinse a sì magnanim' opra; Nor ornò di quei raggi il suo crin biondo, Per far oltraggio a voi che state sopra: Per saper quel viaggio obliquo e tondo, Che fa, che verso il giorno a noi si V' andò: perchè sapendol far egli anco, Potea giovar talora al padre stanco. 106

scopra,

Deh non potevi senza fulminarlo,
Rapirlo dal bel carro, ove sedea?
E tal nel tuo superbo imperio farlo,
Qual meritava l'animo ch'avea?
Molto maggior onor t'era esaltarlo,
Per lo spirto divin ch' in lui splendea :
Ben potevi schivar quel gran periglio,
E non mi tor sì generoso figlio.

340

Nec minus Heliades lugent, et inania morti
Munera, dant lacrymas: et caesae pectora palmis,
Non auditurum miseras Phaëthonta querelas
Nocte, dieque vocant; adsternunturque sepulcro.

340. Heliades. Solis filiae, ànó to his, a sole: quae etiam a fratre Phaethontiades appellatae fuerunt. Earum nomina sunt Phaëtusa, Lampetie, Phoebe. Quae cum fratrem per quatuor menses assiduè flevissent, tandem Jovis miseratione, in populos, vel ut alii volunt, in alnos mutatae sunt. Lachrymae verò ipsarum, in succina seu electra conversae fuere.

107

Questa nobile idea sublime e degna Al cui figliuol tutto'l Mondo era poco, Può star ch' un piccol sasso or chiuda, e tegna, E capir possa in così stretto loco?

Ahi saetta mortifera ed indegna,

Ahi crudo, ingrato, e sconoscente foco,
Ch'osasti a sì bell'alma arder la scorza,

Che nota fe la tua possanza e forza.

108

Le sue dolenti affettuose note,
Con mesti e graziosi atti accompagna,
Si straccia i crini, e si graffia le gote,
E con tale maestà si dole, e lagna,
Che movere a pietà d'intorno puote
Le rive, i monti, i boschi, e la campagna;
E tanto il Pò ne pianse, e se ne dolse,
Che l'acqua racquistò, che il Sol gli tolse.

109

Ogni sorella di Fetonte, e figlia

Del Sol, non men di Climene si dole,
Si graffia, si percote, e si scapiglia,
Ed empie il ciel di pianto, e di parole:
Questa alza al ciel le rugiadose ciglia,
E quando incolpa Giove, e quando il Sole:
Quella sopra il sepolcro si distende,

E chiama il frate in van, che non l'intende.

110

La terza stanca alfin s'asside in terra, Le man commette, e in seno asconde il viso, E fralle braccia il muto capo serra, Col pensiero al fratello intento e fiso, Stavvi un gran pezzo, e poi le man disserra, E rompe quel silenzio all' improvviso ; Si graffia, e straccia, e le man batte, e stride, Finchè di nuovo si stanca, e s'asside.

345

Luna quater junctis implerat cornibus orbem:
Illae more suo (nam morem fecerat usus )
Plangorem dederant: e queis Phaëthusa sororum
Maxima, cum vellet terrae procumbere, questa est
Diriguisse pedes; ad quam conata venire
Candida Lampetie, subita radice retenta est.
Tertia, cum crinem manibus laniare pararet,
Avellit frondes: haec stipite crura teneri,
Illa dolet fieri longos sua brachia ramos.

350

Dumque ea mirantur: complectitur inguina cortex: Perque gradus uterum, pectusque, humerosque, manu

sque

Ambit: et exstabant tantum ora vocantia matrem.355

344. Luna quater junctis cc. Quatuor menses transierant. Transit ad Metamorphosin Heliadum.

346. E quis Phaëtusa. Phaethontis sorores alii in aeyέıçuç, populos ni. gras, alii in alnos mutatas fuisse fabulantur. Virg. 6. Ecloga 10. Tzetzes 137. Chiliad. 4.

111

Passando van d'un in un altro gesto,
D'un in un altro gemito, e lamento,
E ad ogni atto grazioso e mesto,
Danno un soave e doloroso accento;
Passan di novo poi di quello in questo,
Dove le move, e sprona il lor tormento:
E tutti indizio manifesto fanno,

Del crudel caso, e del dolor che n' hanno.

112

Quattro volte scoperte, e quattro ascose
La Luna avea le luminose corna;

Da quattro segni avea di gigli, e rose
L'aurora innanzi al Sol la terra adorna;
Cento, e più volte avea tutte le cose
Scoperte il biondo Dio, che 'l mondo aggiorna ;
E quelle per lungo abito, e costume
Ancor piangeano il mal rettor del lume

113

Stanca Fetusa, la maggior sirocchia,
Pensa sedersi, e trova l' infelice

Le giunture indurate e le ginocchia,
Nè come prima più seder le lice,

Lampezie andar vi vuol, che questo adocchia,
Ne la ritiene insolita radice:

Crede l'altra stracciar le chiome bionde,

E si trova le man piene di fronde.

114

Chi si duol, che non può con ogni forza
Piegar le gambe, ovver girar la faccia:
Chi che virtute insolita già sforza
Farsi due lunghi rami ambe le braccia;
Veggono intanto una più dura scorza,
Che'l corpo loro appoco appoco abbraccia :
Sol restava la voce, e il mesto viso,
Con cui ne diero alla lor madre avviso.
Metamorfosi Vol. I.

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