Abbildungen der Seite
PDF
EPUB

NOTIZIE BIOGRAFICHE

DI

MONSIGNOR RINUCCINI

GIOVANBATISTA RINUCCINI venne alla luce nel 15 Settembre 1592 dal Senator Cammillo, patrizio fiorentino, e dalla Virginia di Pier Antonio Bandini, sorella del Cardinale Ottavio; e se lo splendor dei natali, la chiarezza dell'ingegno coltivato con ottimi studi, e una vita irreprensibile spesa a pubblica utilità, bastano a guadagnarsi un'alta stima e venerazione, Giovanbatista le ottenne in sommo grado. Nato in Roma, dove allora travavasi il di lui padre, attese con premura fin dall' adolescenza alle lettere sotto la scorta di abili precettori, e continuò in questo esercizio con maggior fervore restituitosi in patria con tutta la famiglia. Avendo palesata al genitore la sua decisa vocazione per lo stato ecclesiastico, fece per consiglio del cardinale suo zio materno ritorno a Roma, ed in quel seminario retto dai PP. Gesuiti dette opera ad un regolato corso di studi, nei quali profittò ben oltre l'espettazione. Giunto all'anno diciottesimo passò a Bologna e quindi a Perugia a studiar legge, e quanto in esse avanzasse, lo provano le conclusioni sostenute pubblicamente in quest'ultima città, ove fu ammirato non che encomiato il suo sapere e l'ardore indefesso per tale scienza. Pisa intanto

b

in età di 22 anni lo decorò della laurea dottorale, che rice vė con applauso dal cavalier Piero Girolami, e l'Accademia della Crusca lo annoverava al tempo stesso fra i suoi distinti colleghi. Chiamato a Roma dallo zio cardinale agl' impieghi, vi accorse; ma per la sua delicata costituzione di corpo, affievolita dalla smodata applicazione allo studio, si ridusse in stato di salute così misero, che dovè ben presto abbandonar quella capitale, e tornarsene a respirar l'aria più pura delle sponde dell'Arno. E dopo questa alterazione di salute, gli fu sì avversa la sorte, che finchè visse non riacquistò più quella floridezza e quella corporale energia che rendono cara la vita e la sostengono nell' intraprendere grandi cose. Appena però si fu alquanto ristabilito, insofferente del vivere ozioso che conduceva in patria, volò di nuovo a Roma, dandosi alla pratica legale sotto Monsignor Buratti, allor celebre auditore di Rota; e fu in questi giorni che Gregorio XV mosso dalla fama che di lui suonava, lo nominò suo Cameriere d'onore, e poco dopo lo elesse suo prelato familiare e segretario della Congregazione de' Riti. Mancato Gregorio alla cattedra di S. Pietro, gli successe Urbano VIII, il quale avendo concepito alta opinione di Giovanbatista, lo creò Luogotenente civile del cardinal Vicario, e quindi per la morte di Monsignor Dini arcivescovo di Fermo, lo chiamò a coprire quella cattedra vacante nel 1625. Trasferitosi alla sua residenza, ta cerò il giubbilo e l'esultanza con cui fu accolto dal clero e da tutta la diocesi fermana, tacerò il savio e veramente caritatevol governo con cui imprese a reggerla, e i miglioramenti da esso introdotti, più coll' esempio che con la parola, nell'istruzione e nella ecclesiastica disciplina; ma tacer non posso l'affezione cordiale che lo strinse alla sua prediletta sposa in Cristo, la quale altamente si fe' palese quando per la morte di Monsignor Cosimo de' Bardi restata vacante nell' Aprile del 1631 la sede metropolitana di Firenze, il papa stesso con maguifico breve ve lo destinava, e Ferdi

nando II ve lo invitava nel modo il più cortese e lusinghiero. Non cedè per altro il buon arcivescovo nè all' avviso pontificio, nè all' invito del granduca, nè alle istanze degli amici e dei congiunti che lo stimolavano, nè infine all'innato amor di patria, che tanta parte si prende in un cuor ben fatto; egli posto tutto in non cale, fece a questa nuova chiamata un gentil rifiuto, addolcito da umili parole e da forti ragioni, e deliberò restarsi fedele a quella prima chiesa che Dio gli confidò a guardia, ed a cui mantenne finchè visse invariabile amore (1). Già da vent'anni questo

(1) Lettere di scusa al Papa, al Granduca e alla Granduchessa di

Toscana.

Beatissimo Padre

Io ho impiegato il mio talento alla cura di questa Chiesa con tale affetto, che mi ha passato l'anima il sentire dall' Em. Sig. Cardinale Barberino essergli stato supposto, che io abbia gusto di mutarla con quella di Firenze. E perchè lo svelare questa verità può essere che non sia negozio da semplice lettera, invio ai piedi della S. V. il mio Vicario Generale, perchè l'accerti della mia costante, e risoluta volontà di lasciar la mia vita nelle braccia della sposa, alla quale V. B. mi ha legato. Si compiaccia la S. V. di sentirlo, e si assicuri, che oltre ai motivi, che legano i Vescovi, e questa immutabilità, io sono abbastanza persuaso a mantenerla dai paterni discorsi che S. B. si degnava far meco, e da quelli che mi rinnovò nella collazione di quest'Arcivescovato. Ho di già rese grazie al Serenissimo Gran-Duca dell' onore che mi ha fatto, e significato a S. A. liberamente questo medesimo senso, che io comunico col Vicario di Dio.

Prostrato in terra bacio alla S. V. i santissimi piedi, e le prego prosperità corrispondenti ai bisogni della Santa Chiesa ec.

Al Gran Duca Ferdinando II.

Serenissimo Signore

Nel considerare la grandezza dell'onore che V. A. S. mi ha fatto colla nominazione della mia persona a cotesto Arcivescovato, io mi

buon pastore vegliava alla cura dell' affidatogli gregge, quando nel 1645 insorte gravi e sanguinose turbolenze in Irlanda

sono subito accorto, che solamente la verità della mia insufficienza può essere causa bastante del giudicarmene indegno. Perchè tutti gli altri rispetti, che fin dal principio mi fecero stabilire con Dio di abbracciare questo di Fermo con perpetuità d'affetto, non sarebbero forse accettati da chi considera la benigua volontà di V. A. ch'è mio Principe naturale, e che trascende però ogni regola; ma questo della debolezza delle mie forze non può aver difficoltà, mentre si considera, che V. A. a proporzione dell'amore che mi comparte, merita anche d'esser servita. E però con quella riverenza che devono, rappresenteranno a V. A. mio Padre e Fratello, e quanto abbia portato seco qualche particolar fatica ch' io ho fatto a benefizio di questa Chiesa, e che passati già gli anni migliori non devo verosimilmente sperare che mi possa succedere l' istesso costì in Città tanto maggiore, e quel che più importa, obbligato a corrispondere al zelo infinito di V. A. Non mancherò già, come si aprono i passi (a) di venire in persona a rendere le dovute grazie all' A. V. acciò il mondo vegga quanto io me le chiami obbligato, ed Ella nel conoscere il mio poco valore, s' accorga quanto sia vero il fondamento delle mie scuse: e a V. A. facendo intanto riverenza prego per fine prosperità ec.

Altra al medesimo Gran Duca

Serenissimo Signore

Ho stimato bene di mandare a Roma il mio Vicario Generale per significare a N. S. i motivi che sino al primo giorno dell'acquisto di questa Chiesa mi fecero stabilire costantemente di non mutarla. E parchè spero che saranno accettati dalla paterna vigilanza di S. B. devo sperarne al sicuro l'approvazione ancora di V. A. giacchè in tutto questo negozio Ella ha mostrato verso di me benignità tanto singolare che non mi lascia campo di poterne fare comparazione con alcun altro successo. Questi popoli amati da me più che ordinariamente, sapendo ch'io non potevo mai condiscendere ad abbandonarli, nel sentire il rispetto potente di V. A., s' assicuri pure che non sanno pregare per me in questa congiuntura, che non facciano l'istesso per Lei, ch' è parte di quello ch'io devo permettere per adesso in ricompensa delle

(a) Era allora Firenze afflitta dalla pestilenza.

contro gl' Inglesi, per motivi di religione, imploravano quei popoli dalla saviezza e dalla paternità del decimo Jnnocenzio che avesse loro inviato un nunzio straordinario che li soccorresse col consiglio e coll' opera, li rafforzasse nei sentimenti della Cattolica religione, ed al tempo stesso s'interponesse cogli irritati Inglesi onde pacificare, se possibil fosse, questi due popoli ; o almeno ottenere che l' infelice Irlanda, che s'era solo sollevata per la libertà del culto ortodosso e per conservarsi fedele alla sede romana, fosse trattata dai connazionali con meno rigore, e non con la durezza e la fierezza del nemico o dello schiavo. Malagevole era l'incarico, perigliosa ed ardua l'impresa, nè alla mente del pontefice, che tutta ne penetrò la gravità e l'importanza, s'offerse personaggio più adatto a ben riuscirvi del Rinuccini (1); il quale vedendosi aperto infinite grazie, che dall' A. V. ho ricevute, alla quale per fine facendo umilissima reverenza ec.

Alla Gran Duchessa

V. A. e il Serenissimo Gran Duca nel nominare la mia persona a cotesto Arcivescovato vacante, hanno esercitato un atto di benignità tanto singolare, che già ognuno si accorge, che le AA. VV. non hanno potuto avere altro pensiere, che di sollevare me stesso, perchè a cotesto servizio non le possono mancare soggetti molto migliori. E però mi sono confidato, che con l'istesso amore col quale mostrano di proteggermi accetteranno ancora le scuse che mio Fratello avrà loro rappresentato per mia parte. Soggiungo bene a V. A. che in riguardo dell' obbligo infinito ch'io le devo, cercherò sempre di far così manifesta la mia dovuta servitù verso cotesta Serenissima Casa, che non avranno a stimar meno di avermi fuori dello Stato ; che anche i Principi Sovrani giudicano alle volte acquisto di poter stendere, ed esercitare l'autorità. Tanto spero di ratificare all' A. V. una volta in persona, mentre per fine ec.

[ocr errors]

(1) Era stato dapprima eletto a tale ufizio Monsignor Luigi Omodei Milanese allora Chierico di Camera, poi Cardinale; ma come suddito di Spagna, per fuggire il sospetto di parzialità, fu tralasciato, e fu destinato a questa Nunziatura Monsignor Rinuccini suddito toscano e di potenza neutrale.

« ZurückWeiter »