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NICODEMO JADANZA

NOTE AUTOBIOGRAFICHE

riordinate e lette dal Socio nazionale residente MODESTO PANETTI

Il tributo di onore che l'Accademia rende oggi alla memoria di NICODEMO JADANZA, l'insigne Maestro della Geodesia in Italia, si compie con una circostanza di eccezione.

Il venerato Collega nostro, mentre negli ultimi anni piegava sotto una lenta malattia che, senza nulla togliere al suo vigore intellettuale ed alla coraggiosa fiducia del suo spirito forte, gli dava però la sensazione vaga del termine non lontano della sua esistenza, si compiacque di tracciare nello stile breve e concettoso che gli fu abituale i propri cenni biografici, destinandoli per l'appunto alla sua commemorazione in questa sede.

Scrisse il Jadanza in capo a quei cenni: "L'incarico di commemorare un Socio defunto non è sempre facile: molte volte la ricerca delle notizie riguardanti l'estinto riesce penosa ed incompleta, specialmente quando questi non fu in sua vita fra quelli che fanno molto parlare di sè, vuoi per scoperte insigni, vuoi per rumorosa vanità. Ho voluto risparmiare a quello fra i Colleghi che sarà incaricato di fare la mia commemorazione un tale lavoro; e l'ho fatto io, obbiettivamente, come se si fosse trattato di altra persona. Il Collega non farà altro che leggere questo scritto, e di ciò lo ringrazio „.

Parmi che nel pensiero e nelle parole citate sia tutto l'uomo: originale nel concepire le idee; dotato di alto senso pratico nello sceglierle; preciso, concreto e quasi ingenuo nell'esprimerle;

alieno assolutamente dall'adombrarle con accorgimenti di forma o involuzioni di pensiero.

Ed io sarò osservante alla sua volontà.

Solo aggiungerò alla trama da lui tracciata quello che può lusingarsi di saper dire un antico allievo affezionato, anche se privo di competenza speciale nel campo di studi del suo Maestro: quello che egli può aver omesso dettando con la freddezza di un protocollo le notizie della sua operosità ed i giudizi sul valore di essa, sia in tesi assoluta, sia relativa al momento in cui si svolse.

Ecco quanto narra della sua fanciullezza:

Nella notte dal 13 al 14 ottobre 1847 in Campolattaro, paese del Sannio, allora nella provincia di Campobasso, nacque Nicodemo Jadanza ultimo di otto figli d'una famiglia di contadini poco agiati; Giovanni Jadanza e Giovanna Denza.

Segnato dalla nascita con una deformità nei piedi che, grazie alle amorevoli cure della madre ed alla correzione spontanea dello sviluppo, andò gradatamente attenuandosi, era designato nel suo paesetto con l'appellativo dialettale ro zoppareglio (il piccolo zoppo).

Frequentò la Scuola elementare presso lo zio sacerdote don Antonio Jadanza, dove, grazie alla sua svegliata intelligenza, riceveva meno busse degli altri scolaretti. Dallo zio stesso, che egli ricorda come distinto latinista, fu avviato allo studio del latino e dell'italiano: poi nel 1860-61 passò alla Scuola dei Padri Scolopi di Benevento, e vi fu inscritto ai corsi di Retorica. Ma la carriera didattica del piccolo Nicodemo doveva svolgersi fra le più gravi difficoltà.

Nell'agosto del 1861, dopo la deposizione dal trono di Napoli di Francesco II, scoppiava nel Sannio, come già pochi mesi prima nelle Basilicate, una insurrezione per opera del partito realista. I moti rinfocolati da odi privati condussero a deplorevoli eccessi.

Il fanciullo, richiamato da Benevento, giunse al paese mentre i rivoltosi costringevano lo zio e gli altri sacerdoti a cantare un Te Deum nella Chiesa parrocchiale.

La repressione che ne seguì colpì gravemente la sua povera famiglia. Il padre e lo zio furono trattenuti in carcere per sei mesi, prima che se ne riconoscesse la innocenza, e il giovinetto fu avviato dalla madre al duro mestiere dello scalpellino, che esercitò per quattro mesi.

Restituito alla famiglia, il padre morì nel maggio 1862. Così sul difficile cammino del fanciullo si concentravano le asprezze di una faticosa esistenza.

Lo zio si allontanò dal paese per occupare il posto di precettore presso una casa privata, ma non dimenticò l'intelligente giovinetto, che indirizzò al Liceo di Benevento e quindi a Napoli, ove si trasferì egli stesso con un altro suo nipote: Benedetto Jadanza, che si avviò al sacerdozio e fu buon prete.

A Napoli l'attività del Jadanza fu felicemente orientata da un valorosissimo docente di matematiche: Achille Sannia.

Alle lacune dell'insegnamento scientifico ufficiale sopperiva allora in quella città l'insegnamento privato, per antica tradizione assai fiorente ed esteso.

consecu

Come Enrico D'Ovidio ricorda nella sua prefazione alle lezioni di Geometria proiettiva del Sannia, questi teneva uno di tali studi privati, dove, con quella energia d'animo e d'intelletto, che fu suo carattere eminente, insegnava per sei ore tive, senza dar segno di stanchezza, tutte le discipline matematiche dall'Aritmetica al Calcolo integrale, dalla Geometria elementare alla descrittiva ed alla Meccanica razionale, illustrando con notizie storiche i migliori trattati, e moltiplicando gli esercizi per eccitare nei giovani la capacità inventiva e la emulazione.

A quella scuola il giovane Jadanza fu ammesso gratuitamente e vi attinse l'amore per lo studio delle matematiche, frequentandola per più anni, anche quando, allontanatosi nel 1865 il Sannia, vi succedettero Enrico D'Ovidio, Pisani, Salvatore Dino, larghi al giovane delle stesse agevolazioni concedute a lui dal primo suo maestro.

Frattanto il Jadanza percorreva il ciclo degli studi universitari alla scuola dei professori: Trudi, Padula, Schiavoni, Fergola, Battaglini, Del Grosso, Zannotti e De Gasparis: ma la sua vita universitaria fu ben diversa dalla gaia e spensierata esistenza goliardica. Gli scarsi guadagni dello zio, sempre solle

cito del giovane studioso, non bastavano ai bisogni più urgenti della vita, ed egli ne mitigava le gravi ristrettezze con lezioni private di aritmetica, e più tardi col modico stipendio di maestro elementare di matematica nelle Scuole serali del Municipio di Napoli, ottenuto per concorso.

Nel dicembre 1869 conseguiva la laurea in matematica.

Ma la specializzazione dei suoi studi non doveva subito delinearsi. Aperto infatti uno studio privato per la preparazione dei giovani agli esami del biennio matematico, egli si dedicava a tale compito con grande attività insieme con due suoi colleghi Tarquinio Fuortes, attualmente Professore al Collegio militare di Napoli, ed Onofrio Porcelli, che diventò Preside dell'Istituto tecnico di Bari, dove morì. Il Jadanza ricorda con compiacimento la floridezza di quello studio e la cura posta dai docenti nella preparazione dei giovani. Col guadagno così assicurato acquistava libri e seguiva lezioni di lingue moderne.

Frattanto veniva dal De Gasparis ammesso all'Osservatorio di Capodimonte in qualità di alunno astronomo a titolo gratuito. Poi nel 1874, presentatosi per incitamento del prof. Schiavoni al concorso dell'Istituto topografico militare, dopo un anno di esperimento fatto parte a Napoli per l'addestramento nei calcoli e parte in campagna per i rilevamenti, fu nell'aprile del 1875 nominato Aiutante Ingegnere geografo con residenza in Firenze, dov'era la sede principale dell'Istituto.

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Qui troviamo il Jadanza in un periodo laboriosissimo della sua esistenza, che decise dell'indirizzo di tutta la sua vita.

La grande energia fattiva del suo spirito, predisponendolo favorevolmente agli studi di applicazione, con rapido ed intensissimo lavoro gli permise di formarsi tutta la migliore competenza del calcolatore e dell'operatore.

Indirizzato alle operazioni geodetiche per la Carta d'Italia al centomila, prese parte da prima ai lavori di triangolazione di 3o e 4o ordine nella Toscana, poi negli anni dal '76 al '79 ai lavori di 1° ordine nel Piemonte per conto della Commissione Geodetica Italiana.

Nei quattro fascicoli di osservazioni azimutali che l'Istituto

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