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si spense il sangue di Brienne, e questo stato andò dizi viso alla figliuolanza di Gualtieri quarto signore d'Enghien, nel quale erasi maritata fin dal 1320 la sopraddetta Isabella, che l'Ammirato per inavvertenza credè figliuola e non sorella di esso signor di Firenze, e dice di non trovarne il nome. I figli, adunque, di costei Luigi e Giovanni succederono il primo nel contado di Conversano (benchè ignoto al Tarsia ed al Giuliano ), l'altro in quel di Lecce, come appunto scrisse il cronicista: se non che nella sua cronaca si fa questo Giovanni immediatamente succedere al detto quarto Conte di Lecce, e dall' Ammirato ancora erroneamente marito della supposta figlia del signor di Firenze. Visse Giovanni fin presso al 1373. Indi vedesi Conte di Lecce Pirro suo figliuolo, che cessato di questa vita del 1384, senza figliuolanza, passò per Maria sua sorella questo contado agli Orsindelbalzo conti di Soleto, Galatina ec. In un de' quali di poi più tardi ebbe fine così il contado di Lecce, come il principato di Taranto, e fu per sempre questa provincia riunita al regno. La quale ben quattrocento anni era stata tenuta dalle mentovate Case, e in certi tempi quasi in assoluta signoria. Queste notizie, toccate qui solo per amor di sana critica appena sommariamente, io le ho

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tratte dalle altre molte da me raccolte per le compiute memorie del contado di Lecce e del principato di Taranto da varie cronache francesi ed eziandio da documenti inediti ed erano in buona parte ancora registrate nella cronaca Leccese. La quale, dunque, non per altro fu così miserabilmente mutilata se non per disperdere appunto le memorie d'un tal contado, non di meno che fosse stato il periodo più avventuroso di questa provincia, in che dopo le devastazioni barbariche incominciarono ad esser rifatte ed ampliate assai terre e città, ed altre del tutto nuove edificate, come Roca da un dei detti Gualtieri di Brienne, e Galatina dagli Orsin del Balzo: tanti monumenti eretti, come dai Normanni Guglielmo, Goffredo, e Tancredi le Cattedrali di Otranto e di Lecce, e S. Niccolò e Cataldo, ancora in piedi, fuori le mura di questa città: tanti luoghi monastici e di beneficenza fondati, tanti demani concessi in aumento e ben essere delle popolazioni ec. È ciò nel vile intendimento di affrancare tutti quei poetici cavalieri, onde sono pieni il poema, il Tancredi, di Ascanio Grandi, la Lecce sacra dell' Infantino, e tante altre adulatorie scritture venute fuori dal 1600 in poi, da quella maniera di vassallaggio, o di suffeudalità,

che fino al 1463 almeno avevan dovuto portare ai

summenzionati Conti.

Tornando ora alle lettere Muratoriane dico che dove parla del Prelato di Nardò intende del dotto Vescovo Antonio Sanfelice, che governò quella Chiesa dal 1707 al 1736: accrebbe gli studi: formò un Archivio, ove raccolse ogni sorta di documenti spettanti si alla Chiesa, sì alla Città e morendo legò a quel pubblico la sua scelta Libreria copiosa di circa 3500 volumi, posta in una sala terrena dell' episcopio con questo breve ricordo

Bibliotheca in aeidibus Episcopalibus
Ab Antonio Sanfelicio Episcopo

Commoditati publicae erecta

Anno MDCCXXXVI.

Io ho visitato questa biblioteca, e ricordando che Muratori avea ben desiderato che il Tafuri gli avesse procacciato alcuni dei molti manoscritti, che sapea aver raccolti il Sanfelice, ove per avventura contenessero diplomi, istrumenti antichi, memorie d'illustri personaggi, o altra simile rarità, non trasandai di farne premurose ricerche; ma nè a me fu dato di ritrovar altro

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salvo che un codice di nove pergamene con questo titolo postogli dallo stesso Sanfelice Graecu ad Neritinam urbem spectantia sacra et profana monimenta ex codicibus MS. episcopalis Archivi Neritini del quale ho dato altrove contezza: nè da queste lettere appare che il Muratori ne avesse riportato alcuna cosa di cotal sorte. Si vede bensì che Tafuri li comunicò gran copia di antiche Iscrizioni pagane e cristiane, appartenenti a Nardò, ed a vari altri luoghi del regno. Ed a questo proposito sono da notare le promesse a lui fatte con quelle parole rallegrandomi con esso lei per la continuazione della Storia di Nardò, la qual città sono anch' io pronto a ledare qualora me se ne presenti l'occasione (Lett. del 29 ott. 1728): ed appresso, s'ella desidera ch' io abbia campo di parlare con onore di cotesta sua patria proccuri di compartirmi una grazia, che vivamente bramo,e che darà occasione a me di soddisfare alle sue giuste premure ec. (Lett. del 3 settembre 1731). Cotali premure del Tafuri erano ch' egli desiderava un'e-logio della sua patria ( per quanto ne meritasse ), per inserirlo nel libro dell'origine, sito, ed antichità di Nardò, ch' egli allora era per dar fuori, e vi avea fatto -principio dalle Testimonianze degli scrittori, i quali ram∙mentarono con lode la città di Nardò. Ma il Muratori

poco ricordando quanto aveagli fatto sperare,pare anzi che con un certo disdegno rigetti il ricordo di sì in'nocenti desiderii (Lett. del 29 mag. 1732 ).

Due altre opere mandò il Tafuri, che furono stampa→ te nel Tomo XXIV della Raccolta, e sono la Relazione della guerra, che fecero i Veneziani a Gallipoli, Nardò, e ad altri minori luoghi di questa provincia, dal mese di maggio al mese di ottobre del 1484,' per le cose di Ferrara, descritta da Angelo Tafuri ( Lett. del 25 ag. 1727), e la Cronaca Neritina dell' ab. Stefano monaco benedettino, che discorre dall' anno 1080 fino al 1368, e per altra mano di poi condotta fino al 1412, entrambe scritte nella lingua volgare di questo paese, e però male intesa dagli editori Milanesi della Raccolta (Lett. del 29 mag. 4732). Leggesi nella lettera del 12 giugno 1733 Quanto alle Accademie duro fatica a credere che in Napoli nascessero, quando ella non provi che prima del 1500 ivi ne fosse nata alcuna. Con pace di sì grand' uomo sarebbe bastato al Tafuri rammentarli la celebré Pontaniana, che fu prima di ogni altra in Italia dopo quella dei Greci e dei Romani. Il Panormita le diede principio a' tempi di Alfonso d'Aragona, di cui era maestro. Indi il Pontano la perfezionò, da cui il nome che porta ancora. Ed un altro esempio quasi

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