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DI UN BOZZETTO

DEL

MONUMENTO MESSINESE DI CARLO II

MODELLATO DA GIACOMO SERPOTTA

(Vedi Tavola III)

Morte, (e speriamo per sempre) le fisime arcadiche del classicismo, il soffio di un nuovo indirizzo artistico, ispirato al vero ed alla natura, ha per necessità trasformato anche gran parte di giudizj nella storia delle arti; e però è seguito che ora soltanto si sia dato il giusto valore a talun artista da' contemporanei esaltato forse più pei suoi difetti anzichè pei suoi pregi, e biasimato e disprezzato poscia in nome di un ipocrita purismo, non meno falso del verismo suo avversario. Giacomo Serpotta, l'artista geniale, che insieme a parenti e discepoli, popolando le nostre chiese di immagini sacre e di lieti putti inneggiò con la vivacità delle forme alle bellezze del cielo, senza dimenticare le bellezze di questa terra; Giacomo Serpotta trova soltanto adesso giusti estimatori della sua meravigliosa fecondità di fʊrme, del suo tocco spontaneo, in cui si rileva non solo il senso vivace della natura, ma un gusto elevatissimo, dominatore perfino del barocco dei tempi. Ricordiamo tutti come una fredda imitazione, eseguita nel secolo XVI soventi volte da povero scalpellino più che da artista, destasse (e non voglia il cielò che desti ancora) in grazia della epoca sua, l'ammirazione convenzionale di quanti sentivano l'arte a traverso della falsariga degli aurei precetti; e all'immaginoso stuccatore palermitano non poteva perdonarsi quel soffio palpitante di vita, quella poca osservanza di certe forme e costumi tradizionali 1. Così potè accadere che distrutte in Palermo nei primi decennj di questo secolo

Un illustre antiquario inglese, autore di una pregiata guida di Sicilia, mise quasi in derisione Serpotta; gliene mossi una volta lagnanza ed egli ebbe a confessarmi, che dopo un più lungo esame, trovava di essere stato ingiusto verso di quel grande artista.

due chiese adorne di figure a stucco di lui, niuno si dêsse pena di conservar quest'ultime in un pubblico istituto; e alquanti pezzi, dopo di essere stati gettati come inutile ingombro in alcune stalle di antica ed illustre famiglia palermitana, soltanto in questi ultimi anni ebbero decorosa collocazione nella splendida casa di un benemerito patrizio, cultore e protettore delle arti 1.

Ma Giacomo Serpotta non si limitò a decorare pareti di chiese con figure ed ornati; egli non è solo un modellatore di stucco, ma l'autore di veri monumenti statuarj, come la statua equestre di Carlo II, che gittata in bronzo nella fonderia palermitana, fu trasportata a Messina e stette in quella piazza del Duomo sino alla rivoluzione del 1848, quando fu fatta in pezzi..

Noi dobbiamo certamente deplorare che i rivoluzionari messinesi del 1848 non abbiano avuto il discernimento onde vanno altamente elogiati i successori loro del 1860; i quali, fatta astrazione da ogni ira politica, la statua di bronzo di re Ferdinando II Borbone, modellata dal Tenerani, tolsero incolume dal piedistallo e trasportarono nel loro Museo significando in questa guisa come vada rispettata l'arte e come sia cosa puerile l'incrudelire contro le immagini e il pretendere, che distruggendo queste, si distrugga il passato. Ma, tant'è, il Carlo II di Messina è perduto per sempre, e però son certo che sarà accolta con piacere la notizia del ritrovamento del suo modello in bronzo.

Visitando a Trapani il mio egregio amico cavaliere Fabrizio SieriPepoli, attirò i miei sguardi una statua equestre di bronzo, di un carattere ben diverso dai soliti bronzi da salotto. Lo studio col quale nella testa sono ritratte accuratamente le forme che si vedono nelle teste delle monete siciliane di Carlo II, mi convinse dover essere quello il bozzetto della celebre statua messinese; ricordandomi ancora che il nostro professore Meli mi avesse detto una volta di averne già visto uno, in gioventù sua, presso del principe Palagonia collocato appunto su di un tavolo poligonale, come ora trovasi in casa Sieri

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1 Non metto nomi; i Palermitani conoscono i fatti ai quali alludo; e agli stranieri non occorre che io riveli miserie non nuove del resto anche in paesi più colti.

In casa Sieri-Pepoli si sa che quel bronzo fu comprato a Palermo da un cavaliere Michele Sieri-Pepoli, grande raccoglitore di oggetti antichi, e si attribuisce pure al Serpotta.

Pepoli. Non v'è dunque dubbio alcuno sull'identità del pezzo, il quale, del resto, confronta esattamente con le descrizioni contemporanee della statua e con un disegno di questa quale appare in una incisione in rame rappresentante la piazza del Duomo di Messina nei primi decennj di questo secolo, in occasione della festa della Madonna; 1 incisione dalla quale è cavata la seguente vignettina della statua e della sola parte visibile del suo piedistallo.

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Abbiamo dunque in questo bronzo il solo autentico ricordo di una delle più importanti opere delle arti siciliane; e però il ricordo di un monumento d'arte, di un monumento dell'industria palermitana e di un monumento storico.

Non fa mestieri ch'io narri come i Messinesi, in seguito alla rivolta. del 1674, dopo aver cacciato gli Spagnuoli, chiamassero le armi di Francia. Come avviene a chiunque metta fede nello straniero, Messina veniva dal gran re Luigi XIV riconsegnata vilmente ai suoi antichi padroni, anelanti di sfogare sulla povera città l'onta subita e lo scandalo dello sfregio fatto alla dinastia spagnuola. La vendetta, onde fu incaricato il vicerè conte di Santo Stefano, assistito dallo spietato Quintana, non fu soltanto notevole per crudeltà, ma, direi quasi, per artificiosi raffinamenti di crudeltà, onde l'infelice Messina fu tormen

1 Devo questa stampa alla squisita cortesia dell'illustre artista messinese professore Savoja.

tata non solo nei suoi interessi materiali, ma in ogni suo più delicato sentimento di amor patrio. Pur troppo anche le lettere e le arti furono chiamate a collaborare all'opera crudele, e Palermo, cui premeva di aver perdonati i peccati suoi del 1647, emulando lo zelo fratricida mostrato allora da Messina, non ebbe ora vergogna di esaltare la fedeltà sua a danno e disdoro della colpevole rivale.

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Pertanto, volendo limitarmi a parlar solo della statua, vediamo dall'epigrafe sua come, procedendo sempre con quello studio sarcastico

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1 Tabella scritta nella piramide, dove sta collocata la statua del re Nostro Signore nella città di Messina :

di crudeltà, si dicesse che invece di distruggere tutte le case de' ribelli, deformando in siffatta guisa l'aspetto della città, la clemenza del re volle che si distruggesse la sola casa senatoria, su' cui avanzi, dopo

CAROLO SECUNDO INVICTO

HISPANIARUM ET SICILIAE REGI

ILLUSTRISSIMUS ET EXCELLENTISSIMUS D. FRANCISCUS DE BENAVIDES
DE AVILA ET CORELLAS, COMES S. STEPHANI

PROREX ET CAPITANEUS GENERALIS

Prope divinae augustissimi regis clementiae inhaerens, ne dirutis, ut par erat, tot rebellium aedibus, publicus civitatis deformaretur aspectus, unam tantum modo domum senatoriam, in qua periuri ac perfidi Messanae rectores, coactis malignantium conciliis, ruptis totius debitae fidelitatis habenis foedissimas inierunt coniurationes, Catholicum Imperium conantes demolire, et tandem Francorum dominio capita submittentes, sibi ac patriae exitium decrevere, solo aequari, aratro subigi, ac sale conspergi iussit; nec non ut inde depicta eiusdem regis effigies, publicae venerationi exposita, nefario fuerat ausu sublata, inibi aeviterna restitueretur, aeneam ex ære campanae, quae a proxima turri rebelles ad immania quaeque flagitia saepenumero convocarat, conflatam restauravit. Anno Domini millesimo sexcentesimo octuagesimo.

Nota come la detta iscrizione si fece in Messina per ordine del viceré conte di Santo Stefano, e fu composta da diversi.

Altra simile iscrizione alla sopradetta, fatta dal canonico Libassi :

CAROLO II.

HISPANIARUM AC SICILIAE REGE.

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Post edomitam messanensis perfidiae temeritatem, Gallosque tandem male suscepti patrocinii pertaesos, ac sceleris consortium aversantes, disce iam Zancla superstes, Hispani Imperii lenitatem. Ne omnium dirutis rebellium aedibus tota paene civitas vastaretur, unâ pro cunctis aequatâ solo ac sale conspersâ senatoria domo, nefariorom coetuum hospitâ, damnato ad ignem proximâ e turri are campano, publico nimirum ore, convocandis tumultibus reo, sed iam, purgatâ ignominiâ, in augustissimum hoc simulacrum meliori sorte conflato, rei reorumque infamiam diu fidelius locuturo, perenne hoc monumentum posteris exponi curavit D. Franciscus Benavides, Avila et Corellas, comes S. Stephani, prorex. Anno salutis MDCLXXX.

AURIA, Memorie varie di Sicilia nel tempo della ribellione di Messina, nella Biblioteca Stor, e lett. di Sic. del Di Marzo, vol. VI, p. 195 segg.

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