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o fenomeni dell'universo, passati, presenti, e futuri; egli rimane sempre in qualche parte arbitro de' suoi atti e noi non esigiamo nulla più.

Non bisogna per altro confundere l'ordine, la legge, con la realtà. La legge è un'astrazione ciò che esiste e vive, non è l'ordine, ma l'universo, di cui siamo anche noi una funzione integrante ed attiva. La nostra attività, la nostra spontaneità son pure ordine. e legge; e la legge vive tanto nell'io, quanto nel non-io; ognun di noi la produce, mentre la riceve. Belle parole anche queste; ma non aggiungono, e non tolgono nulla alla nostra questione. La nostra attività è ordine anch'essa ma ordine libero, o necessario? La nostra spontaneità è legge ma legge affatto indipendente dal nostro arbitrio, o in parte a lui subordinata? La legge vive tanto nell'io, quanto nel non-io: ma la legge morale, che vive nell'uomo, lo governa, nè più nè meno, come la legge d'attrazione, che vive nella materia, governa li astri del cielo e i corpi della terra? Ognun di noi produce la legge, mentre la riceve ma la riceve e la produce liberamente, o fatalmente? e abbiam noi la facultà di non riceverla in certi casi, e di violarla ?

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L'ordine soffre novità, ma non eccezioni. Esso è indefettibile; ma non potendo noi scoprirlo tutto in un colpo, ci pajono eccezioni nelle leggi dell'universo le lacune delle nostre teorie. Non disputiamo di parole. Si chiami novità, eccezione, derogazione, per noi poco monta ma ammettete, si o no, un ordine, una legge particolare per l'Umanità? Ammettete, che siccome l'uomo è una funzione speciale dell'universo, ed ha caratteri suoi proprj che lo distinguono da ogni altro regno della natura; così oltre le leggi cosmologiche, ch'egli ha communi con tutti li altri enti in quanto partecipa della loro vita, abbia pure una legge tutta sua propria per le funzioni che costituiscono la differenza specifica della sua natura? E in queste funzioni propriamente umane, le sole cui possa applicarsi il concetto della morale, ammettete, si o no, qualche elemento di libertà? Se no, è distrutta l'essenza stessa dell'uomo, il quale vien ragguagliato in sustanza alla condizione d'un bruto o d'una pianta. Se si, è riconosciuto un ordine o legge speciale per l'uomo, il quale l'adempie di suo libero volere, e non in virtù di una derminazione indipendente da lui stesso. V'ha dunque un ordine anche per l'uomo morale; ma quest'ordine differisce essenzialmente da ogni sistema cosmologico, in quanto che la legge morale presiede all'esercizio di una facultà o funzione libera, laddove tutte le altre leggi naturali determinano l'azione di forze o funzioni fatali; onde queste sono obedite passivamente, necessariamente, e non incontrano mai resistenza volontaria; quella invece non può essere osservata che liberamente, entro certi limiti, e sotto certe condizioni, e può essere disconosciuta, trasgredita: può trovare non solo resistenza, ma ribellione. Senza dubio, è questo un mistero; poichè i due termini, ordine e libertà, sembra che reciprocamente si escludano. Ma che per ciò? Se dovessimo negare l'esistenza d'ogni fatto

principio, che ci apparisce in contradizione col suo correlativo; che cosa ci resterebbe più da poter affermare? Nulla. Ora l'esistenza di un ordine morale, che regoli il destino progressivo dell'Umanità, per noi certissima del pari che l'esistenza della libertà, ond'è privilegiato l'uomo. Noi dunque ammettiamo l'uno e l'altra, quantunque ignoriamo il modo di conciliarli insieme.

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REPLICA DI JULIUS A DE POTTER

Torino, 18 maggio 1856.

Signor De Potter,

L'autorità del vostro nome, e il rispetto, che da lungo le vostre dottrine e l'altezza del vostro carattere mi hanno inspirato, m'inducono, benchè per abitudine rifugente da polemiche e publicità, a replicare alla lettera, che per mezzo della Ragione vi piaque dirigermi. E se da un lato rammarico alcune espressioni, che gettate nella foga dello scrivere destarono suscettibilità, che troppo pregio per aver mai pensato di ferire, devo d'altro canto congratularmi, che tal mio scritto abbia procurato a me e a' miei amici schiarimenti preziosi circa le vostre idee, e alcuni fatti a noi quasi sconosciuti.

Ignari delle circostanze, che diedero origine al programma Goffin, e delle conseguenze che ne derivarono nelle Loggie, noi fummo mossi a publicarlo, e per la ferocia con cui ad una voce lo attaccarono i clericali, e perchè ci piaque salutarlo come indizio della via più larga e progressiva, nella quale, rotto il cerchio angusto in cui grettezza d'interessi e paure si sforzavano di chiuderlo, segnava con esso d'entrare il Massonismo, per rispondere ai bisogni dei tempi, e allo scopo suo primitivo. Non intendeva però con quella mia lettera, non destinata a publicità, di gettarmi in mezzo ad una polemica condutta da persone più competenti, con ben altra pacatezza e maestria; ma si manifestare in proposito un pensiero, e dirò un'impressione individuale intorno a questioni, che interessano altamente la democrazia; esprimere un voto, onde stringere con una communione di pensieri e scambio d'idee, legami di alleanza tra i liberi pensatori Belgi e Italiani. Sempre la communione dei pensieri va innanzi a quella delle opere. Riconoscere alcuni veri, che possiamo erigere come vessillo a tutti, è già certa arra di successo.

Ma a ciò non credo possa condurci la forma dogmatica, cui mi parve tendere la lettera del vostro pregiato figlio. Espressi forse con vivacità soverchia l'impressione, che ne ebbi. Tuttavia non è ch'io rigetti la forma dogmatica per se, come voi sembrate appuntarmi. Il tempo de' dogmi è passato, e ne ringrazio Iddio; però accetto il vero, venga pure, per servirmi delle vostre parole, dal papa, dall'imperatore, o da pulcinella: lo accetto, ma ad una condizione, che rechi seco e infunda in noi un'intima e ragionata convinzione; che si facia nostro. E nel caso concreto, soffrite che ve lo confessi ingenuamente, ne eravamo lontani ancora.

Devo poi declinare quella tenerezza, che voi sembrate suppormi pe 'l vecchio liberalismo. Noi Italiani, più d'ogni altro, provammo di che sanno cotesti liberali noi, che vedemmo all'opera Luigi Filippo, e sotto la republica i liberali della restaurazione e dell'opposizione: da siffatti amici guardici Iddio! D'accordo su questo punto, non posso del pari menarvi buona l'assimilazione, che sembrate fare tra rivoluzione e colpo di Stato. Essa indurrebbe la più strana confusione d'idee, il rovesciamento d'ogni nozione di diritto, mettendo ad un livello chi vuol difendere o conquistare un diritto di tutti per tutti, e chi vuole usufruttuarlo per sè solo; un atto di sorpresa, di agressione proditoria, ed uno di

difesa o rivendicazione; raffrontando il pioner intento a spazzare, preparare il terreno per rifecondarlo, e chi vuol regnarvi solo, e succhiarne solo ogni umore vitale.

Se mal non mi appongo, voi vi arrestaste al carattere commune ad ambidue; ma voi meglio di me sapete, signor De Potter, come sopra la forza brutale sta la morale, l'idea, il diritto. E in ciò oggia la superiorità delle rivoluzioni, e la loro glorificazione.

Diritto altri replicherà, parola vaga, arma di tutti i tagli, che si presta a tutti i pretendenti, a tutte le ipocrisie, a tutte le ambizioni. Ma io anticipava su tale objezione, co 'l definire la rivoluzione, conquista e rivendicazione di certi diritti di tutti e per tutti, distinguendola dal colpo di Stato, condutto da un individuo o partito, che mira ad usurparlo, rivendicarlo solo, e per sè. Così, seguitando il paragone, il pioner che abbatte li alberi antichi, i quali succhiano dal terreno ogni lieto germoglio, usurpa egli forse un diritto su le piante secolari? Se misuriamo il diritto dal tempo, no, perchè il suolo preesisteva ad esse, come il popolo alle caste. Se dall'idea del giusto, nè meno, poichè possono coesistere limitando i confini di ciascuno. Se dall'utile, meno ancora. Nel giorno della lutta possiamo deplorarne l'eccidio, ma l'aratro redimerà la scure. La rivoluzione, è vero, non riesce spesso che al trionfo di un partito, come il colpo di Stato di un individuo. Ma la differenza è in ciò, che la prima muove sempre da un principio generale, il secondo da una vista egoistica e sterile. Muove dalla violenza, e non può dare che violenza. Il successo del pretoriano che vince oggi, dà baldanza ad altro fellone che oserà domani. Il laccio che oggi strozza Pietro il grande, strozzerà domani Alessandro. La violenza si consuma, nessun principio è conquistato, nulla di fondato; ma la rivoluzione anche d'un partito, per riescire, e forza si fondi sopra un principio commune e morale; e non riesce, non perdura, che ad una condizione, cioè, co 'l derivarne le conseguenze latenti in esso, con l'applicarlo in tutti i sensi, co 'l farlo discendere nelle masse, co 'l non lasciarlo inaridire. Perocchè nel giorno, in cui il principio o nega d'applicarsi, e s'isterilisce, od è usufruttuato solo da una classe, da un partito, quel giorno comincia la reazione, addentellato a nuova rivoluzione.

I colpi di Stato, che riescono, sono inoltre indizio di decadenza d'un popolo, come le rivoluzioni, anche quando fallite, della sua energia e moralità. La rivoluzione è consapevolezza già diffusa nel maggior numero de' proprj diritti, e desiderio di rivendicarli. Quanto più viva e generale si fa tal consapevolezza, tanto più sono le rivoluzioni frequenti. Ma tal consapevolezza può essa manifestarsi, estrinsecarsi in modo pacifico e legale, come in Inghilterra, negli Stati Uniti, nel Belgio? Allora essa non è che l'applicazione lenta, e sempre più generale d'alcuni dei grandi principj alle diverse classi, o di diversi bisogni sociali, come il principio di libertà applicato via via all'esame, alla coscienza, alle arti, al commercio, alle associazioni. L'idea va lentamente e a gradi incarnandosi nel fatto, la forza cieca resta disarmata. Ma tal via è preclusa? Interessi di culto, di dinastie, d'economia privata, difendono con la forza il progresso, il quale non è spesso che l'applicazione sempre più lata d'un principio vitale? Allora la violenza chiama la violenza, la coscienza delle masse irritata, stimolata, si ribella, e diviene la rivoluzione con tutti i suoi disordini e le sue tempeste.

Ma i diversi partiti, uniti nella lutta, saranno, voi chiedete, del pari uniti dopo la vittoria? Un accordo siffatto non è nè da sperarsi, nè direi, da desiderarsi. Offrire un campo aperto allo sviluppo d'ogni individualità, forma la forza di ogni Stato libero. L'aspirare ad una condizione politica e sociale sempre più equa, sempre più alta, la moralità di un popolo. Il giorno, in cui l'opera dell'individuo è tronca o violentata, precede quello del despotismo, letargo d'ogni società; il giorno, in cui un popolo non ha più aspirazione morale che l'agiti, lo elevi, egli s'accascia nelle soddisfazioni del corpo; e un popolo di soddisfatti, di apatici, sarà in breve popolo di schiavi, e cancellato. Ma questo stato assiduo di orgasmo, di lutta, vuol esso dire confusione d'idee, mancanza d'ogni principio? Ogni Stato libero ha, scusate il misticismo della frase, il suo sancta sanctorum inviolabile. Divisi nei mezzi d'applicazione, i Proudhon, i Louis Blanc,

i Ledru Rollin, come Lamartine, riconoscono certi principj communi a tutti Così, a cagion d'esempio, la grande formula proclamata dalla prima republica. le sue tre grandi idee, profanate spesso, svisate, sbugiardate, cancellate, e pur rinascenti sempre, non sarebbero quei cardini inviolabili, che aspettano la loro applicazione, la loro incarnazione nella società? Le republiche cadono, i principj restano. Esclusi dalla vita politica, saranno tuttavia studio ai pensatori per fecondarsi, bandiera ai popoli, e speranza.

Un regime libero assicurato all'Europa, l'educazione diffusa a larghi fiotti, un'atmosfera morale e scientifica, che sereni le intelligenze soffocate a lungo sotto il peso dei dogmi imposti, dei miti capricciosi, la dignità umana e individuale risollevata, la libertà con le sue grandi feconde applicazioni, e un campo pratico offerto all'attività di tutti, e instituzioni publiche, che l'ajutino e sorreggano; varranno meglio a fecondare i principj della rivoluzione, che ogni sistema preconcetto, cui il sogno d'una notte desta, le larve di un'altra disperdono. Sforziamoci a far prevalere, penetrare nella società il principio di libertà: superata la questione politica, avremmo a mezzo vinta la sociale.

Voi non comprendete, signor De Potter, come dai termini, in cui il vostro figlio pose la questione sociale, io deduca il panem et circenses dei Romani : forse non mi sarò spiegato chiaro abbastanza; tuttavia vi prego osservare, che egli prendendo il pauperismo come suprema piaga della società, facendo la proprietà frazionata unica causa di esso, e la proprietà fondiaria collettiva supremo rimedio, ne consegue, che mira ogni male nel bisogno materiale, ogni rimedio nel gettare alle masse pane ed oro. Invece per me, come accennai, il pauperismo non è che conseguenza subordinata all'organizzazione generale della società, o meglio della sua formula ideale. Non ha la sua origine in una sola causa materiale, il suolo, ma nella religiosa e nella politica, negli errori dogmatici della prima, negli impedimenti che la seconda oppone alla libera attività, ed a cui conviene risalire per sterparne li effetti.

Ma non a me spetta addentrarmi in tal questione, già portata ne' suoi termini nel N 81 della Ragione dal commune amico, il sig. Ausonio, e dal signor Carlo. Attendo su tal proposito i vostri rischiarimenti, che mi dimostreranno : 10 Come la proprietà del suolo sia fondamento d'ogni ordine sociale;

20 Come la proprietà frazionata sia causa del pauperismo e di ogni disordine; 30 Come basti essa a condurre all'anarchia, e questa alla morte della società, anzi dell'Umanità.

Proposizioni, che senza osar d'appuntare come nè acri, nè pretenziose, mi permetterete pure di qualificare allarmanti. Tanto più, che il rimedio, cioè la proprietà collettiva, non è per me molto rassicurante. lo, sarà errore, ho molta fede nell'individuo, nello sviluppo libero d'ogni sua forza. In ciò solo so mirare salute ciascuno porta in sè la sua salvezza. Guai a chi l'attende dal governo, o da Dio! È possibile che l'individuo trasformato in grandi associazioni, allargandosi ancora maggiormente si muti in Commune? E possibile, ma non lo credo; e se non accadesse, sarebbe perciò la società, anzi l'Umanità destinata a perire?

Io ho maggior fede nei destini della nostra povera razza. Assai ci assordarono i difensori dell'altare e del trono, i quali sentendosi mancare l'uno e l'altro, vogliono accaparrare alla propria causa famiglia e proprietà. Assai costoro ci assordarono co 'i loro guaiti, perchè anche i liberi pensatori tengano bordone a cotesto coro d'iterici accidiosi. La società vivrà, malgrado tutto e tutti. Mi spaventa assai più l'ordine, quale sogliono farlo regnare costoro, che il suo contrario. Anche senza un re (proprietario dei diritti), senza un governo (proprie tario collettivo del suolo), la società, datele appena un raggio di libertà, vivrà di vita forte, fiduciosa, immortale, quale attende il vostro nome, provetto campione del libero pensiero; quale augura a voi, signor De Potter, Nestore dei nostri filosofi, con venerazione di discepolo e affetto di figlio

Il vostro JULIUS.

Ausonio Franchi DIRETTORE.

Lesca Giuseppe GERENTE.

Tipografia V. Steffenone, Camandona e C. via S. Filippo, 21, rimpetto alla Chiesa

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Li abbonamenti si ricevono alla Tip. V. STEFFENONE, CAMANDONA e C., via San Filippo, num: 21.

SOMMARIO

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Del sentimento religioso, V. La libertà d'usura, II. Eternità della vita Quintessences, par Auguste Guyard.

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DEL SENTIMENTO RELIGIOSO

V.

Scrisse, non ci sovviene più qual filosofo, che se l'uomo potesse aggiugnere un senso ai cinque, che già possiede, il mondo delle sue idee. se non si rinoverrebbe tutto quanto, certo dovrebbe subire una sensibile modificazione. Per comprendere infatti la verità di questo concetto noi non avremmo che a ricordare il numero di quelle cognizioni, delle quali andiamo debitori alla forza accresciuta de' nostri organi per mezzo dei tanti strumenti d'ottica, di mecanica, e di fisica; e sarebbe facile la convinzione, come della stessa materia, non che le arcane forze e le proprietà degli elementi che la compongono, ma molta parte della materia stessa sfuge per tal modo alle nostre investigazioni, che ci riesce perfino impossibile avvertirne l'esistenza. Del mondo adunque noi non vediamo che una sembianza; ed il concetto, che ci formiamo di esso, è relativo alla condizione di questi organi, per mezzo dei quali ci mettiamo con esso in rapporto; onde la pretesa di arrivare al comprendimento dell'Assoluto è tanto strana nell'uomo, quanto sarebbe se volesse dall'ombra che disegna in terra la sua figura, tutta compenetrare la natura sua in

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