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non differisce solo di nome dalle altre qualità delle azioni o delle cose. Niuno ha mai preteso d'imputare ad un cibo l'amarezza o la dolcezza del suo sapore, ad un uomo la bellezza o la deformità della sua persona; ma tutti invece gl'imputano la rettitudine o la perversità del suo volere; e quando si dice d'uno, che è alto o basso di statura, bianco o bruno di volto, si pronuncia forse un giudizio della stessa categoria di quello, in cui si dicesse, che colui è veridico o bugiardo, probo o ladro ?

Ma imputare un'azione ad alcuno, ei ripiglia ancora, è lo stesso che attribuirgliela e riconoscernelo autore; onde sebbene quell'azione sia effetto di un agente necessitato, l'imputazione può aver luogo. Rispondo, l'imputazione fisica, si; la morale, non mai. Lasciamo i giochi di parole. Nel colpo di pugnale, che commette un assassinio, v'è l'azione del ferro, che trafige; l'azione del braccio, che lo vibra; e l'azione della volontà, che determina il colpo. Ora, a chi va imputato l'assassinio? Potete benissimo attribuirlo, come atto fisico, al braccio o al ferro; ma come atto morale non è imputabile che alla sola volontà dell'omicida. E questa volontà o era libera, o no. Se si, la questione è finita se no, è finita per un altro verso; giacchè il concetto stesso di moralità se n'è ito; e la coscienza dell'assassino non è punto più rea che il suo braccio o il suo ferro. Ferro, braccio, e volere sono tutti strumenti fatali ad un modo; e per tutti egualmente le nozioni di merito o di colpa diventano controsensi.

Non c'è dunque via di mezzo possibile: o rinegare l'idea stessa di moralità, lo stesso sentimento del dovere; o ammetter nell'uomo un qualche grado di libertà.

Tal era in sustanza l'argumento fondamentale di Renouvier; e non trovo nelle risposte del suo avversario nulla, che valga a confutarlo. Riandiamole brevemente.

La libertà esclude l'ordine, perchè implica la facultà di disfarlo. L'ordine esige, che tutti i fatti o fenomeni, onde é costituito l'universo, determinati e determinanti li uni per rispetto agli altri, formino un sistema regolare come dunque potrebbe mai riprodursi in quest'universo un fatto, che uscisse fuori d'una tale regolarità, e disfacesse l'ordine in qualche parte? Ma noi ritorciamo l'argumento. L'ordine, come voi l'intendete, esclude la libertà, perchè ripone il principio determinatore degli atti umani, non nell'uomo stesso, ma fuori o sopra di lui; o se pur dentro, indipendente però sempre dal suo volere, Dunque come può mai ammet

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tersi un ordine, che repugna così profondamente alla coscienza intima dell'Umanità, e riduce l'uomo alla pretta condizione di automa? Quell'argumento pertanto prova solo, che è incompatibile un ordine siffatto con la libertà: vuol dire, che chi afferma l'una, dee negar l'altro. E noi lo neghiamo. L'esistenza della libertà, e come fatto psicologico e come principio morale, è per noi cosa molto più certa, reale, positiva, che non quella di un ordine predeterminante tutti li atti umani; onde se v'ha antinomia insolubile fra l'una e l'altro, noi ci atterremo sempre al più noto e al più certo; e manterremo la nostra libertà, anche a costo di negare il vostro ordine.

Ma voi dimenticate il principio dell'azione e della reazione incessante dell'io e del non-io, dell'associazione progressiva d'ogni uomo con l'universo, che è la vita voi volete, che la libertà sia nell'uomo 'il potere di contradire e disfare, entro certi limiti, l'ordine universale. Noi vogliamo, che la libertà sia libertà, e nient'altro. Di quell'azione e reazione, di quell'associazione progressiva tra l'io e il non-io, tra l'uomo e il mondo, ve ne concediamo quanta ve n'aggrada, salvo che non la portiate fino al punto di toglierci ogni grado di libertà. Finchè mirate a circoscrivere la risponsabilità dell'individuo entro limiti più ragionevoli ed equi; finchè sostenete, che nell'imputabilità de' suoi atti conviene tener conto di tutte le influenze del temperamento, del clima, dell'indole, dell'educazione, della società, ecc.; noi non abbiam che ridire, e faciam plauso alle vostre umane e generose parole. Ma coteste influenze sono poi tali, che spoglino l'uomo d'ogni libertà d'arbitrio in qualunque suo atto? tali, che gl'interdicano ogni facultà d'appigliarsi ad un partito anzichè ad un altro? Qui sta il nodo del problema. L'uomo vive indipendentemente dalla sua volontà, e non può a suo talento sospendere l'attività, che è in lui. Sicuramente, giacchè l'attività è la vita; sicchè vivere ed agire è tutt'uno. Vuol dire insomma, che uno stato d' inerzia assoluta repugna all'uomo, non meno che ad ogni altro ente e siamo d'accordo. Resta però sempre a vedere, se anche l'esercizio di quest'attività sia indipendente affatto da lui in tutti e singoli i suoi atti; resta a vedere, se come gli è impossibile di stare senza far nnlla, così gli sia del pari impossibile di scegliere tra atto ed atto; se, cioè, abbia egli, o no, in verun caso la facultà di agire piuttosto in un modo che in un altro, a suo arbitrio.

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No, perchè sebbene prima che l'effetto della sua attività si manifesti, possa concepirsi in un'infinità di maniere, tuttavia è certo

d'avanzo che si compirà in una sola. V'è dunque nell'universo una ragione, benchè non sapiam quale, che opponendosi all'attuazione di tutti li altri possibili, non lascierà effettuarsi che quel solo. Certo, siamo persuasi anche noi, che tra le infinite maniere, in cui concepiamo possibile un avvenimento, esso non s'effettuerà che in una sola, in quanto che ciascun fatto sarà quel che sarà, e l'uno non potrà mai essere due, nè tre, nè cento, nè altro numero qualsiasi; ma siamo del pari convinti, che s'effettuerà (parliamo di atti umani) in quella maniera per la libera elezione dell'agente, e non per una causa necessaria che lo muova. Quando io confido un segreto ad un amico, posso benissimo prevedere e fantasticare un'infinità di casi possibili nella serie degli atti, ond'egli sia per custodirlo o abusarne; e intanto io tengo già per fermo, che tra tutti quei casi possibili non se n'effettuerà che un solo: ma quale? Quello ch'ei vorrà liberamente, e non già quello a cui sarà necessariamente determinato da una supposta ragione dell'universo. E invero, se fossi mai persuaso, che il contegno dell'amico verso di me sia per dipendere, non dal suo libero arbitrio, ma da un'altra causa qualunque necessaria, che diritto potrei avere alla sua fedeltà? ed egli, che dovere ? E qualora mi tradisse, che colpa n'avrebbe egli? o che ragione avrei io d'imputargli il suo tradimento a delitto? Quando mi mancasse sotto ai piedi il palco, o mi cadesse su 'l capo il tetto, potrei forse io accusare tetto e palco di tradimento? All'incontro, tutti accusano e condannano qual traditore l'amico infedele, poichè tutti riconoscono, che tradisce per colpa sua; cioè, che avrebbe potuto non tradire.

Avvenuto però il fatto, egli è evidente, che nell'universo era tutto disposto in guisa, che il fatto dovesse compiersi in quel modo, e non in un altro ; cioè, l'esperienza dimostra, ch'era impossibile che la cosa avvenisse diversamente. A me invece pare evidente tutto il contrario. Come! dovrei dunque tener l'uomo risponsabile de' suoi atti prima che agisca, e non più dopo? Dunque finchè il tradimento dell'amico non era che possibile, io poteva imputarglielo a colpa; ma effettuato ch'ei l'abbia, dovrò io dargliene piena assoluzione? No; anche dopo il fatto io riguarderò sempre lui come autore libero del suo delitto; e dirò, che la cosa è avvenuta in quel modo, e non in un altro, perchè egli ha voluto far cosi, e non altrimenti. Egli potea scegliere tra la fedeltà e il tradimento; ed ha scelto questo a preferenza di quella: ecco tutto. L'esperienza pertanto non muta, nè punto, nè poco, lo stato della questione. Dire

ch'essa dimostra impossibile, che la cosa avvenisse altrimenti, equivale a ripetere, ch'essa prova tutti e singoli i fenomeni esser egualmente necessarj. Ora quest'asserzione, per quanto si replichi, non conchiude nulla, nè nell'ordine delle idee, nè in quello dei fatti. Non nell'ordine dei fatti; poichè la necessità è il contraposto della libertà; e quindi tutto l'argumento riuscirebbe ad una petizione di principio, venendo a dire insomma, che nessun atto è libero, perchè ogni atto è necessario. E tanto meno nell'ordine delle idee ; poichè la necessità è il correlativo della contingenza; e quindi l'arguire dall'attuazione di un fatto l'impossibilità che non accadesse, o accadesse in altro modo, gli è un voler dedurre il necessario dal contingente deduzione intrinsecamente illogica e nulla.

LA LIBERTÀ D'INSEGNAMENTO

{Frammento di un'opera inedita intorno alla Riforma Sociale)

I.

Un'altra questione, che tenne per lungo tempo discordi, e su la quale si mostrano perplessi tuttavia li scrittori, che si occupano della popolare educazione, è quella della libertà d'insegnamento. In teoria non è tanto agevole trovare avversarj a questo dogma della democrazia, anche tra coloro, che alla democrazia mostransi meno devoti. Ma non appena si tratti di proporne l'applicazione all'uno od all'altro paese, ecco muoversi objezioni e difficultà senza fine, massime da quelli, che sono alla democrazia più affetti.

Le sorti della società dipendono in gran parte dal modo, con cui vengono educati li individui, ond'essa è composta. Poichè nell'infanzia noi fummo cullati nell'ignoranza, o pervertiti con pregiudizj, od educati a sentimenti fiacchi e servili, non è a stupire, se adulti noi formiamo una società servile e fiacca, ignorante e superstiziosa. Ma se efficacemente provederemo, che i figli nostri vengano nutriti di buoni studj; se provederemo, che fin dall'infanzia vengano loro inspirati sensi di umanità e di libertà, è indubitato, che alla novella generazione il corpo sociale si troverà composto di forti, ed umani, e liberi cittadini.

Ciò premesso, è facile arguire, che se lo Stato fosse veramente quale · dovrebbe, composto, cioè, dei migliori cittadini da noi scelti per sovrintendere agli interessi sociali sotto la loro seria responsabilità, ed al bisogno revocabili, è certo che esso avrebbe a tenersi responsabile eziandio della publica educazione, che tra li interessi sociali è il supremo. Che se

esso ha il diritto e il dovere di opporsi a che alcun membro della società cresca idiota per la nessuna educazione, è manifesto, che a più forte ragione ha il dovere e il diritto pur anche d'impedire, che alcuno riesca pervertito con una educazione falsa o prava. Tanto più che, come dice L. Blanc, la libertà d'insegnamento preparerebbe alle venture genera«<zioni la trista eredità delle divisioni e degli odj, ond'è la generazione << presente tutta tormentata. >

Ma la questione debb'essere considerata anche sotto un altro aspetto. Innanzi tutto bisogna pensare, che nessun governo finora, nè anche a cercarlo tra i migliori, è ordinato come dovrebbe. Ed un tanto vantaggio non si può raggiungere, se non col progressivo miglioramento della società, grazie appunto all'educazione popolare. Onde si vede, che la questione del riordinamento degli studj, e può, e deve essere risoluta prima, non dopo quella del riordinamento dello Stato; od almeno può e deve essere studiata subito, malgrado ogni vizio che tuttavia si scorga nell'ordine politico.

E giova fare anco quest'altra considerazione. Per rendere lo Stato arbitro assoluto delle sorti materiali e morali delle venture generazioni, con l'affidargli l'esclusiva tutela dell'educazione, bisognerebbe supporre, che esso fosse sin d'ora depositario assoluto della verità; mentre niuna legge sarebbe più detestahile di quella, che costringesse un padre a far educare il proprio figlio nell'errore.

Coloro, che vogliono spetti esclusivamente allo Stato il provedere alla publica educazione, sono dunque: -1° Quei socialisti, i quali considerano la società siccome una sola famiglia, cui presiede, con li oblighi di un padre o di un tutore risponsabile, lo Stato; avente per conseguenza anche l'obligo di adoperarsi acciocchè la grande famiglia sociale cresca con principj almeno concordi, se non uniformi. 2o Quei liberali, che temendo la corrottrice prevalenza del clero, affidano al governo il diritto esclusivo dell'insegnamento, nell'unico scopo di vederne privi i temuti avversarj.

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Reclamano all'incontro la libertà d'insegnamento: 1° Quei democratici, i quali considerando la libertà, non come uno spediente, ma come un principio, stimano ed utile, e doveroso, il procurarne la più completa attuazione. 2o Quei clerocratici, che pur rinegando invece la libertà come principio, si rassegnano a valersene come spediente di dominazione in quelle più civili società, dove la Chiesa non è più dominante; salvo a rinegarla tosto che lo spediente più non occorra, per avere in un modo o nell'altro riconquistato il despotico imperio.

Qui non giova parlare nè dei primi, nè degli ultimi. Non dei socialisti, che reclamano li alti ed esclusivi officj dello Stato; imperocchè la loro dottrina si riferisce ad una società riordinata in modo, da cui pur troppo noi siamo ancor lungi dal pervenire. Non dei clerocratici, che hanno il

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