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Abbia adunque l'uomo, ed ecco come io la penso, abbia le sue possibili ed utili relazioni con l'uomo, e non pretenda di averne delle ignote od impossibili con imaginarie divinità, o con diavoli, e con ispiriti, o co 'l mezzo di inspirazioni od aspirazioni credute sopranaturali, che illudono, deludono, e danneggiano la sua vita naturale co 'l pretesto di una sopranaturale, di cui non si hanno e non si ebbero mai dati certi o probabili, perchè fondata nell'ignoto, a meno che non si voglia prestar fede ai fantastici sogni di poeti o sacerdoti illusi, delusi, o interessati, fattisi di buona o mala fede ciechi strumenti di despotismo. Dunque scienza, o sentimento, o coscienza naturale, ragione, morale sociale, e non religione. Ogni cosa si chiami co 'l suo nome proprio, senza l'aggiunta dell'appellativo religioso. Ma vi par poco? bandire dal vocabolario filosofico perfino il nome di religione come inutile e funesto? E chi siete voi da osare propormi una riforma così decisa ed assoluta? Mi sembrate ben semplice.

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In quanto al troppo o poco, vi rispondo, che la mia proposta non sarebbe che una semplice conseguenza delle vostre dottrine filosofiche. Del resto, mi rimetto al vostro giudizio, e confesserò di essere un semplice, giacchè fuori di un Cognome di famiglia e di un nome proprio, che mi distingue dagli altri individui, sono anch'io, come tutti, semplicemente

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venirs personnels, avec pièces à l'appui. 2e edit. 2 vol. in-16, Bru

xelles 1840.

DE POTTER

ment,

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La Réalité déterminée par le raisonne

- ou questions sociales sur l'homme, la famille, la propriété, le travail, l'ordre, la justice, et sa sanction nécessaire, la religion. 1 vol. in-16, Bruxelles 1848.

-

DE POTTER. - Catéchisme social. — 1 vol. in-18, Bruxelles 1850.

DE POTTER. Examen critique, au point de vue de la raison, de la doctrine chrétienne enseignée dans le catéchisme de l'église romaine. 1 vol. in-16, Bruxelles 1853. DE POTTER. Catéchisme rationnel à l'usage de la jeunesse, précédé d'une courte instruction pour les enfants. 1 vol. in-16, Bruxelles 1854.

Ausonio Franchi DIRETTORE.

Lesca Giuseppe GERENTE.

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Tipografia V. Steffenone, Camandona e C. via S. Filippo, 21, rimpetto alla Chiesa

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Li abbonamenti si ricevono alla Tip. V. STEFFENONE, CAMANDONA e C., via San Filippo, num: 21.

SOMMARIO

L'ordine morale e il libero arbitrio, I. La libertà d'insegnamento, I. De l'émancipation civile des femmes.

L'ORDINE MORALE E IL LIBERO ARBITRIO

I.

Udite le critiche e le difese rispettive dei due filosofi insigni, che nella Revue hanno discussa con tanto valore la questione della fatalità e della libertà (1), ci chiederanno i lettori di mantenere la nostra promessa, e dire apertamente a qual delle due dottrine intendiamo dare la preferenza. Quantunque, noterà forse taluno, non fa nè anche mestieri; poichè il vostro avviso era già chiaro e manifesto sin dalle prime parole, che mandavate innanzi allo scritto di Lemonnier parole così piene d'approvazione e d'elogio, che ben rivelano, come il vostro pensiero combaci perfettamente co 'l

suo.

E non è cosi. Approvando e lodando in generale quell'articolo su la filosofia della storia, volevamo bensi appropriarci la miglior parte delle idee, che l'egregio scrittore esponeva con tanta maestria; ma non ci obligavamo a sposarle tutte in modo cosi assoluto, da esclu

(1) V. i Ni 54, 55, 58, 70, 76, 80.

dere ogni sorta di disenso. Onde, senza nulla detrarre alle lodi generali, con cui l'avevam presentato a' nostri lettori, era pur nostro divisamento di accennare in fine qualche punto, che o non ci pareva chiarito abbastanza, o non era giunto a persuaderci. Ma in quel mezzo apriva la controversia Renouvier; e avanti d'esprimere il nostro umile parere, importava troppo alla Ragione di far noto quello d'un autore, che tra i filosofi moderni è forse l'unico, nelle cui parole essa giurerebbe, se l'indole sua potesse mai permetterle di giurare nella parola d'alcuno. Ora dunque che abbiamo fedelmente compendiate le sue objezioni e le risposte del suo avversario, possiamo senza tema di mancare nè alla modestia, nè alla franchezza, segnalare le conclusioni, che abbiamo ricavate da tutta la presente discussione.

Non occorre che ci tratteniamo ad enumerare le dottrine, in cui entrambi vanno d'accordo, e che noi pure professiamo di gran cuore. Le considerazioni di Lemonnier su la legge del progresso, la solidarietà e la fratellanza degli uomini, l'emancipazione ascendente del proletariato e della donna, il giudizio via via più mite della colpabilità, l'attenuazione delle pene, ecc.; sono tanti articoli della nostra professione di fede sociale; sono i titoli, per cui non abbiamo esitato a chiamare il suo scritto eccellente.

V'ha un punto solo, ma è cardinale, in cui dobbiamo confessar a malincuore, che la sua teorica non ci soddisfa è la questione della libertà; nè le risposte, ch'egli diede replicatamente alle objezioni di Renouvier, bastano a farci mutare d'avviso. Noi siamo troppo lontani dalla presunzione di volerci interporre giudici od arbitri fra tali contendenti; e per ciò che spetta al valore particolare, e talvolta quasi grammaticale delle objezioni e delle risposte, amiam meglio rimetterne il giudizio ai lettori, che hanno avuto sott'occhio le une e le altre. Ma quanto alla sustanza della controversia, la tesi di Renouvier ci sembra irrepugnabile, e quella invece di Lemonnier insostenibile.

Tutti li atti umani in tutti i loro elementi sono predeterminati da una legge, da un ordine indipendente dall'umana volontà? Il primo sta per la negativa, e per l'affermativa il secondo. Ma lasciando da parte ogni altro genere d'argumenti, quest'affermativa ci riesce incompatibile assolutamente con qualsiasi principio di morale, si nell'ordine degli atti individuali, e si in quello dei fatti storici. Perocchè condizione essenziale della moralità di un atto quale che sia, è l'imputabilità di esso all'agente, il quale ne diviene sin

dacabile, o come suol dirsi communemente, risponsabile. Ora non può imputarsi un atto ad un agente, che non abbia la facultà đi farlo o di ometterlo, a suo talento; nè questa facultà può mai concepirsi in un agente, il quale sia determinato a tutti e singoli i suoi atti da un principio, causa, forza, o che altro si voglia, indipendente dal suo volere. Se io debbo rispondere de' miei atti, bisogna che questi atti siano davvero in qualche parte miei; nè sarebbero più miei in verun modo, qualora la determinazione ad agire o no, ad agire cosi o altrimenti, non istesse punto in mio arbitrio, non dipendesse in nulla e per nulla dal mio volere. Se all'incontro tutti li atti miei son determinati d'avanzo, io non sono più autore libero, ma esecutore passivo, strumento fatale, necessario; e sarebbe tanto assurdo il chiamarmi a sindacato delle mie azioni, quanto il citare in giudizio la belva che sbrana, il torrente che devasta, il fulmine che incenerisce. Posto un ordine di predeterminazione universale, assoluta, di tutti quanti i fenomeni e li atti umani, la morale diventa una parola vuota affatto di senso; poichè sparisce ogni differenza intrinseca di bene e di male. Che colpa volete dare al ladro, allo spergiuro, al traditore, al parricida, se non gli era possibile di astenersi dalle azioni, che voi gl'imputate a delitto? O che merito potete attribuire all'uom probo, fedele, martire, eroe, se non potea determinarsi ad atti diversi da quelli, che voi gli recate a gloria? Li uni e li altri compiono egualmente l'officio, a cui sono destinati, e fanno tutti bene egualmente; e punire come vizio li atti di quelli, premiare come virtù li atti di questi, tanto varrebbe quanto chiamare virtuoso il frumento, perchè nutre; e colpevole la cicuta, perchè avvelena.

Ne gioverebbe l'opporre, che doti proprie e caratteristiche dell'uomo sono, in ogni caso, e l'intelletto con cui conosce, e l'amore con cui osserva la legge delle proprie azioni; poichè l'amore stesso e l'intelletto non possono riguardarsi per elementi di moralità, se non per quel rispetto che dipendono dal libero arbitrio, se non in quanto, cioè, la volontà può esercitare un libero influsso e su 'l conoscere e su l'amare. Ma tolta questa relazione con la libertà, e posto che li atti d'intelletto e d'amore siano anch'essi determinati in virtù d'un ordine cosmologico assoluto, a cui l'uomo concorre scientemente si, ma necessariamente, e senza che possa mai in nulla resistergli, contrastargli; sarebbe così ragionevole l'imputargli a merito o demerito la conoscenza e l'affetto, come la circolazione del sangue o la digestione del cibo; poichè in quelle funzioni psicolo

giche egli sarebbe sempre passivo, non altrimenti che in tutte queste funzioni fisiologiche.

Uno de' più arditi ed ingegnosi difensori del fatalismo crede di poter salvare la moralità dalla ruina del libero arbitrio con la distinzione seguente: - Il paragone dell'uomo virtuoso con la pianta nutritiva, e del malvagio con la velenosa, è esatto, qualora negli atti de' nostri simili prendiamo solo a considerare l'utilità o il danno che ce ne ridonda; ma non corre più, se si ponga mente a qualche altra particolarità. Infatti, ciò che v'ha di utile nelle azioni de' miei simili, azioni da essi prevedute e volute, non ha che fare con quello di un frutto, che la pianta propriamente non mi dà, ma che debbo io strapparle. Quindi vocaboli diversi esprimono specie così diverse di utilità; e come il buono di una pittura dicesi bello, il buono di una mossa grazioso, il buono di un cibo saporito, così le azioni umane, secondo che tornano in vantaggio o in danno altrui, sono appellate virtuose, meritorie, o malvagie, ree. Ma questa distinzione, se pur mantiene la parola di morale, non salva certamente la cosa. Riporre la differenza specifica tra i benefizj dell'uomo e i frutti della pianta in ciò, che questi dobbiam prenderceli noi, laddove quelli ci vengono dati, è ridurre la moralità ad un carattere tutto fisico ed esteriore; e se il paragone non regge per questo rispetto co 'l frutto, quadrerà a capello con i vantaggi o i danni, che ci provengono dagli animali, dal vento, dalla pioggia, insomma da ogni altra cosa, che benefichi o danneggi, senza che noi andiamo a cercarla. E che monta, se le azioni dell'uomo son prevedute e volute, quando la stessa previsione e volizione sia necessaria? Supponete che il sole prevedesse e volesse li effetti, che fatalmente produce; sarebb'egli per ciò risponsabile del bene e del male, che da essi ce ne proviene? Muterebbero essi natura? Cesserebbero d'esser cosa tutta fisica, per assumere il valore di virtù o di vizio, di osservanza o di violazione d'un dovere? Ne l'utile può farsi misura o criterio della moralità. La coscienza universale dell'Umanità ha sempre qualificato e qualifica virtuose tante azioni, ancorché non giovino; e viziose tante altre, benchè non danneggino. Arricchirsi a prezzo d'uno spergiuro, che pur non nuocesse a veruno, fu e sarà sempre un'infamia; sacrificare la vita piuttosto che commettere una viltà, che profittasse pure a chi che sia, fu e sarà sempre una gloria; e non c'è teoria nè logica al mondo capace di estinguere nella coscienza umana un senso d'aborrimento per quell'atto, e d'ammirazione per questo. La moralità è un carattere, che

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