Abbildungen der Seite
PDF
EPUB

mani de' monaci e de' bojardi; l'abisso dell'usura d'allora in poi cominciò ad aprirsi sotto ai piedi degli infelici e prodi mosneni, i quali non potendo più liberarsene, finirono per cader essi e le proprietà loro in mano degli usuraj. Non sembra ella questa una pagina dell'antica storia di Roma? Eguale oppressione, eguale avidità ne' privilegiati, eguali sofferenze ne' deboli e ne' diseredati; ma non eguale ardimento civile nei due popoli.

Come le donazioni da prima, le usurpazioni e l'usura poscia, ebbero spogliato i molti a vantaggio dei pochi, questi invocarono la sanzione della giustizia per adonestare l'opera dell'iniquità.

La maggior parte de' proprietarj s'era, come abbiam veduto, stabilita su 'l suolo, e se l'era appropriato co' modi naturali di una prima occupazione, che quindi costituiva il titolo più legitimo della proprietà; ma i bojardi ed i monaci, i quali ciò non ignoravano, cominciarono ad esigere, che i proprietarj ne presentassero i titoli scritti, i quali non esistevano. I proprietarj non mancarono di addurre quelle ragioni giuridiche, che sono il vero fondamento del naturale diritto; ma un tal genere di prova non fu ammesso; continuarono ad esigere i titoli; e quando questi per caso non mancarono, presero a falsificarli, a farli sparire; e, se ad onta di queste arti indegne, il proprietario mosneno poteva aprirsi la via fino ad un tribunale; allora il giudice, che era sempre un bojardo, compieva l'opera turpissima co 'l rimandarlo ignudo dal tempio della giustizia.

In questa scelerata opera di rapina il clero veniva in ajuto al bojardo, il bojardo al clero; il castello e la chiesa si davano la mano per dividersi le spoglie del povero.

La piccola proprietà non potè a lungo sostenersi contro avversarj forti, e che tutto osavano; essa si decompose e disparve concentrata ne' latifondi. I mosneni divennero per la maggior parte servi della gleba; con essi si estinse la classe media, il nerbo della nazione. Indi cominciarono i giorni nefasti della decadenza e dell'abjezione. «Non furono le guerre del medio evo, dice uno scrittore valacco, non le incursioni annue de Tartari, non le devastazioni delle terre, che fecero decadere il paese; la piaga viva, la cancrena che gli divorava il cuore, si in tempo di guerra come in quello di pace, furono i bojardi. »

Il giusto castigo di quest'opera scelerata venne però a suo tempo; i bojardi, che avevano inaridita la vitalità nazionale con lo spogliare de' loro diritti i proprietarj collettivi ed i mosneni, si erano privati di una valida difesa, aveano aperta la porta della propria casa al primo spogliatore audace e potente, che si fosse presentato. I Greci del Fanar, venuti nei principati al seguito de' principi nominati dal governo di Costantinopoli, dacchè ebbero in mano il potere ed i tribunali, incitati dalla loro naturale avarizia, incoraggiati dall'esempio degli indigeni, si fecero da prima loro complici, e poscia presero ad esercitare su di essi le violenze stesse, che questi aveano per lunghissimi anni praticate a danno dei mosneni. I Greci adoperarono le stesse frodi, ed i bojardi furono spogliati alla lor volta dei titoli e delle terre; cacciati dai sontuosi palazzi dei loro avi dovettero cercar ricovero nella terra del contadino, costretti a lasciare li ozj fastosi, condannati dalla fame a por mano all'aratro, ed a bagnare di sudore con la serva fronte quel solco, che avevano saputo usurpare da vili e non difendere da forti. Con l'annichilamento de' mosneni essi si erano distrutto un incrollabile sostegno, s'aveano di per sè scavata sotto i piedi la fossa, e vi precipitarono dentro con vergognosa ed incompianta ruina.

Ci si permetta ora di seguire questa trasformazione dell'antica bojaria. I veri discendenti degli antichi bojardi rumeni sono oggigiorno ridutti a condurre l'aratro, o sono divenuti servi della gleba, o si trovano confinati negli ultimi impieghi dello Stato, ove s'incurvano davanti ai servi dei loro avi. Questa nuova classe di servi e di spogliati venne appellata de' Neamuri, ossia uomini di buona origine; infelice al pari de' mosneni, non come questa degna di compassione. La trasformazione della bojaria rumena ebbe incominciamento dalla venuta de' Greci fanarioti, mandati ad amministrare il paese. Il numero de' bojardi non essendo limitato, e questo titolo associandosi ad ogni importante funzione, ne venne, che i Greci introdutti in tutti i ministeri, nella magistratura, negli alti impieghi militari e civili, assumessero immediatamente titolo e grado di bojardi. Ora, come tutti i favori erano per i nuovi venuti, si formarono ben presto due partiti rivali, l'uno de' bojardi indigeni, l'altro di bojardi fanarioti; la lutta scoppiò fra le due parti avverse, ma il principe venendo in appoggio de' Greci, i bojardi rumeni rimasero soperchiati e vinti.

Li indigeni però serbavano ancora un grande vantaggio, il quale rendeva forte la loro posizione. Il titolo di fanariota non era immutabile, ed esso cessava di essere bojardo per rientrare nell'oscurità primitiva, quando il suo protettore cessava d'esser principe. Ora, come il principe non aveva mai lunga signoria, così i bojardi fanarioti non avevano che un titolo efimero. Il nuovo ospodaro mandato da Costantinopoli conduceva seco le sue creature, che diventavano i nuovi bojardi, per disparire alla loro volta dalla scena al primo mutamento. Essi avevano il tempo necessario ad arricchirsi con le espilazioni, non quello che si addomanda per consolidarsi. Un altro sentimento ancora li tormentava, ed era la vanità di non potere, a guisa de' bojardi indigeni, trasmettere i loro titoli ai proprj figli. Il principe doveva venire in ajuto ai suoi fidi. Venne promulgata una legge, la quale stabiliva, che l'unione d'una figlia d'un bojardo indigeno con un greco fanariota, conferiva allo sposo il titolo di bojardo indigeno, con tutte le prerogative della naturalizzazione. Li effetti di questa legge furono disastrosi. Nessun bojardo indigeno ebbe sufficiente forza o coraggio di rifiutare la propria figlia ad un ministro, ad un gran giudice, al figlio stesso dell'ospodaro; poichè l'ospodaro, a radicar bene i suoi diritti, avea grande interesse ad assicurare il titolo d'ospodaro indigeno ad uno od a molti de' suoi figli. Li impiegati di secondo ordine, non secondi agli altri in audacia e ribalderia, si presentarono ben presto essi pure come aspiranti alla mano delle figlie de' bojardi indigeni; i Greci penetrarono in tutte le famiglie; le invasero all'ombra dell'alleanza; il sacrifizio estremo della nazionalità rumena fu consumato su i talami nuziali, con doppio disonore del bojardo, che vendette la patria facendo un ignobile commercio della figlia. Poche famiglie sfugirono alla contaminazione; più poche resistettero, e queste videro i proprj membri perseguitati, spogliati, cacciati dai loro dominj; i loro discendenti andarono ad ingrossare le misere file de' neamuri.

Il titolo di bojardo significò un tempo uomo di guerra; oggigiorno significa un essere abjetto, un uomo che non paga e non combatte; poichè l'odierno bojardo è esente dal servizio militare.

La bojaria attuale è quasi tutta di recentissima data, senza il lustro della tradizione, senza intelligenza, profondamente immorale; si compone d'uomini usciti ieri dal fango, e che menano oggi vanto di privilegi mostruosi e di colpevoli oppressioni. Le famiglie più considerevoli della Rumenia non sono di razza rumena. I Maurocordato ed i Maurojeni sono

originarj di Miconi, isola dell'arcipelago; i Ghika vengono dall'Albania; i Racovissa dall'Asia minore; li Ypsilanti ed i Marosi da Trebisonda; i Sutro sono bulgari; i Caradeja sono ragusini; i Rossetti, genovesi. V'è una famiglia Magureano, che spudoratamente assunse il nome di Cantacuzeno, quasi discendesse da quell'antica dinastia di greci imperatori. Abjette sono le origini dei Bibesco, degli Stirbey, e d'altri venuti in ricchezza e potenza con l'ajuto straniero, di cui si fecero codardi strumenti. Con l'intrusione de' Greci la corrozione, già immensa, acquistò proporzioni ancora più spaventose. La moralità, sotto l'influenza continuata della colpa e dell'ingiustizia eretta in sistema, fu per modo pervertita, che se ne perdette il senso; e fra i bojardi presenti corre questo giudizio: Rapire ad un contadino la sua porzione di suolo è un titolo d'onore, una lettera di cambio tirata su l'estimo publico.

La donna della bojaria non è l'ultima causa, che tende a perpetuare la generale degradazione. Allevata nell'ignoranza, non educata l'animo ad alcun nobile sentimento, cresciuta nell'ozio domestico, abituata dai primi anni ad ammirare il lusso e la propria bellezza, essa ripone ogni suo studio nel cattivarsi l'altrui ammirazione e nell'ideare sempre nuovi vezzi e lenocinj. Estranea all'affetto, essa ascende il talamo nuziale e si abbandona fra le braccia d'un uomo ch'essa mai non vide, che l'aveva contrattata come un oggetto di speculazione; che gli sarà un socio in accomandita, se brutta; un ornamento e ben presto una piaga, se bella. Povere di qualità di cuore e sproviste di spirito quasi tutte, esse attirano su di sè l'attenzione con la prodigalità del lusso. Questa profusione domandata dal capriccio muliebre, fa che nulla più siavi d'intemerato e di rispettato; che la famiglia nulla abbia di durevole e certo; che i figli abbiano sovente il padre in una casa, la madre in un'altra; che la donna incontri in una conversazione due o tre de' suoi primi mariti, associata ora al quarto, e sorridente alle smancerie del quinto.

I nostri costumi, diceva un bojardo a Saint-Marc Girardin, sono un cotal po' i costumi di tutti i popoli, che ci hanno governati o protetti. I Russi ci hanno dato il libertinaggio; i Greci la mala fede negli affari; i principi fanarioti quel loro misto di viltà e di vanità; i Turchi la loro indolenza ed il loro ozio; i Polacchi il divorzio e quel formicolio d'Ebrei, che vedete pullulare nelle nostre vie. Ecco i nostri costumi. »

I bojardi attuali, fatti strumento vile di corrozione e di servaggio, venduti a tutti i poteri, da questi trascinati nel fango, presentano un così fatto assieme di abjezione e di lordura, che a toglierlo non esiste altro mezzo, che l'abolizione del loro ordine; la loro malatia è di quelle, che il malato a liberarsene conviene che muoja.

Ma se ogni sentimento di morale e di giustizia è morto negli oppressori, questi sentimenti vivono invece nel petto degli oppressi. Il contadino rumeno è avvilito, ma non degradato dalla miseria; ed è questo uno di que' grandi caratteri, che devono far ammirare questo popolo sventurato; un sentimento di dignità e di giustizia, che mai non l'ha abbandonato in mezzo alle più dure sofferenze, sarà quello che varrà un giorno a rialzarlo ed a render mesti e pensosi li scelerati, che gli travagliano l'animo e il corpo.

Ausonio Franchi Direttore.

FRANCESCO POLETTI.

Lesca Giuseppe Gerente,

Tipografia V. Steffenone, Camandona e C. via S. Filippo, 21, rimpetto alla Chiesa

[merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small]

Li abbonamenti si ricevono alla Tip. V. STEFFENONE, CAMANDONA e C., via San Filippo, num. 21.

[blocks in formation]

Due libri vennero di fresco alla luce su questo tema e quasi con lo stesso titolo uno a Parigi, Essais sur la réforme catholique di Bordas-Demoulin e F. Huet; l'altro a Torino, Della riforma catolica della Chiesa, che è il primo tomo degli scritti inediti di Vincenzo Gioberti. L'ingegno ed il sapere degli scrittori, l'importanza e l'opportunità dell'argumento rendono queste due publicazioni ben degne dello studio di quanti tengono dietro con ansiosa sollecitudine alle evoluzioni del pensiero moderno, e a tutti li sforzi del secolo per ricostruire l'edificio d'una credenza o d'una dottrina universale, unico rimedio da tutti invocato all'anarchia filosofica e religiosa de' nostri tempi. Laonde non dispiacerà ai lettori della Ragione, che noi prendiamo a dar loro un ragguaglio critico dell'una e dell'altra Riforma, incominciando da quella dello scrittore italiano, che ci tocca più da vicino, ed ha per noi un interesse più diretto ed immediato.

La Riforma catolica di Gioberti non è un trattato, nè parte di un trattato, ma una semplice raccolta di pensieri o frammenti, come li chiama l'editore, su cose religiose; non è per lo più che un sommario o abbozzo di concetti, senza prove, senz'ordine, senza nesso, e quel che è peggio, senza unità di sistema; poichè una parte è evidentemente anteriore al 48, e l'altra posteriore al 49; e sa ognuno, che quelle due date segnano nel pensiero e nella vita di Gioberti due epoche assai distanti e differenti. Nel suo libro pertanto non è da cercare il merito ed il valore scientifico d'un sistema speculativo e pratico, ma solo l'espressione famigliare e come a dir greggia della sua coscienza religiosa; e la Riforma vuol esser giudicata, non qual insegnamento d'un filosofo che dee persuaderci a rigore di logica e di polemica, ma qual memoriale d'un uomo che registra via via, in carte non destinate al Publico, le sue idee su la religione, come gli occorrono alla mente.

Qual è adunque la natura della Riforma, che Gioberti veniva tracciando in questi frammenti? Il sig. Massari, suo editore, ne porta il seguente giudizio:

Vincenzo Gioberti non intendeva nè punto nè poco separarsi dalla Chiesa; voleva muovere agli abusi opposizione inesorabile e spietata, non per iscalzare il principio, ma bensì per rinvigorirlo e conferire ad esso nuova stabilità e nuova forza. La opposizione, a parer suo, perchè riesca efficace e sortisca l'effetto desiderato, debbe essere fatta nel seno della Chiesa medesima, non fuori della Chiesa, e quindi egli non può essere tacciato di eterodossia. -- Ben si comprende come alcuni trovino il loro tornaconto a fare del Gioberti una specie di eresiarca, di insidioso ed occulto Lutero ; ma ciò non si riscontra con la verità, e nessun uomo di buona fede potrà rendersi verso di lui colpevole di tanta ingiustizia. Gioberti è il modello del riformatore catolico, e quindi del vero riformatore; poichè nessuno de' suoi detti, nessuna delle sue opinioni oltrepassa di un capello i confini della ortodossia. Certamente non v'è uomo, che al pari di lui abbia ai tempi moderni filosofato con maggior libertà e con maggiore ardimento; ma non v'è nè pur uomo, che al pari di lui abbia dato prove di maggior riverenza ed ossequio ai dogmi della religione. Era libero fino all'audacia nelle sue speculazioni, ed obediente fino all'ultimo limite nella sua fede. Le quali cose debbono essere tolte in considerazione, affinchè non si abbia ad arrecare al Gioberti il torto, che alcuni con buona, altri con mala fede gli fanno, quello cioè di dire, che alla fine della sua vita, avvedutosi di aver errato, avesse mutato parere, e da catolico osservante, da schietto credente, qual egli si gloriò sempre di essere, fosse diventato un razionalista od un protestante. Coloro, che leggeranno questi frammenti, si persuaderanno agevolmente, che il Gioberti non merita affatto quest'ingiuria, che ad alcuni forse parrà lode, ma che a me sembra essere l'oltraggio più crudele che possa farsi alla sua santa memoria. I più rigorosi ortodossi non hanno giammai appuntato la Teorica del sovranaturale di errori o di tendenze contrarie alla fede ora Gioberti non ha mai cessato nè pure per un instante di essere coerente

« ZurückWeiter »