Abbildungen der Seite
PDF
EPUB

lingua parla cotesta Rivista? Noi dobbiamo saperlo prima d'entrare in discussione con lei; giacchè una polemica, in cui un disputante non potesse nemmeno intendere l'altro, non sarebbe punto di nostro gusto. Ci sia dunque cortese la Rivista d'alcuni commenti alle sue parole, si che possiamo diciferarne il senso anche noi; ci spieghi un po' :

1o Che cosa intende per quel pretto razionalismo, che reputa il nostro sistema?

2o Che cosa significa in filosofia il manierismo francese e il senso pratico degl'Italiani ?

3o Che cos'è il discioglimento dell'unità scientifica, e la dissoluzione delle forze operatrici di civiltà?

40 In qual modo il nostro razionalismo possa dirsi una teoria, che maravigliosamente favorisce quel discioglimento e quella dissoluzione? 5o Come possa parlare la voce dei fatli senza la ragione?

6o Come mai la voce della ragione sia meno universale e concreta di quella dei fatti, mentre la ragione stessa è una parte, un elemento dell'organismo di ciaschedun uomo?

7o Che ha da fare il nostro razionalismo con Cousin, o Cousin co 'l nostro razionalismo?

80 Come può accusarsi di poco pratico poco positivo o sperimentale un sistema, che continua il filosofismo dell'Enciclopedia ?

Quando la Rivista veneta ci avrà forniti questi schiarimenti, e in termini tali da far fede al Publico, ch'essa filosofando tratta di cose che sa, e favella una lingua che intende; noi allora ci recheremo a debito, anzi ad onore e a piacere di soddisfare, quanto starà in noi, ai due quesiti che ci ha proposti, e a tutti quelli altri ancora che le venisse mai voglia di proporci.

[blocks in formation]

Tipografia V. Steffenone, Camandona e C. via S. Filippo, 21, rimpetto alla Chiesa

[merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small][merged small]

Li abbonamenti si ricevono alla Tip. V. STEFFENONE, CAMANDONA e C., via San Filippo, num. 21.

[blocks in formation]

7. Della confusione del desiderio e della volontà. - Dacchè la volontà, studiata nell'uomo, è uno de' suoi caratteri, e il primo di tutti; è un abuso l'attribuirla all'animale, e peggio a tutti li animali, come sovente si fa concedendo loro la locomozione volontaria. Vi ha in ciò per lo meno un vizio grave di nomenclatura; poichè funzioni differentissime si trovano aggruppate sotto un nome commune: da un lato, la coscienza dell'automotività rappresentativa; dall'altro, movimenti che provengono da passioni date con una spontaneità semplice ed invariabile. Noi vedremo, che la locomozione si spiega sempre ed unicamente con la passione. È la confusione del desiderio con la volontà, che ha fatto perdere il vero filo dell'analisi, in questo caso e in molti altri; e non v'ha errore più grossolano, nè che abbia avuto conseguenze più lunghe e più disastrose. Kant stesso non ne fu esente.

La filosofia kantiana definisce il desiderio un potere di determinare da sè la propria attività mediante la rappresentazione d'una cosa avvenire; in altri termini, una facultà d'essere, mediante le proprie rappresentazioni, causa della realtà degli oggetti di queste rappresentazioni. Si oppose a tale definizione l'esistenza dei desiderj senz'alcun potere corrispondente; e Kant non ha risposto che con un cavillo letterario (Critica del giudizio, Introduzione). Potevasi pur dire, che il potere, di cui si tratta, esiste talvolta senza desiderio : i fatti di vertigine ne sono la prova. La definizione è dunque imperfetta il più possibile; tutto quel ch'essa contiene di vero, riducesi a questo, che i fenomeni di passione e i fenomeni di determinazione fisica sono regolarmente connessi. Ma la dipendenza dei secondi verso i primi soffre due sorte d'interruzione: 1° la rappresentazione del futuro possibile, di cui sarebbe una conseguenza la produzione attuale del futuro medesimo, può sospendersi o allontanarsi per uno di quei fatti di volontà, che ho lungamente descritti; 20 l'opposizione al fenomeno riguardato nell'avvenire può provenire dalla costanza delle leggi fisiche, che non permettono quel fenomeno. Aggiungiamo, che il fatto rappresentativo, il cui oggetto s'attua spontaneamente, è un'imaginazione viva, accompagnata da desiderio in certi casi, e da una passione tutta opposta in certi altri.

Un altro vizio capitale della definizione kantiana si è di riferirsi ad una divisione delle facultà dell'anima in quelle tre, che, dice egli, non possono più derivarsi da un principio commune la facultà di conoscere, il sentimento del piacere e del dolore, e la facultà di desiderare. Il desiderio e la volontà trovandosi quindi riuniti nella stessa classe, e da un filosofo che non vuol mica negare la libertà, cosa singolare! avviene che l'idea del desiderio e delle sue proprietà rimane assai confusa. E in effetto, se s'intende che i futuri posti nella rappresentazione sono indeterminati a priori, e per conseguente, il potere ambiguo, ambigua la causa; conviene riconoscere, che la definizione non quadra bene alla natura del desiderio, del desiderio dato negli animali come nell'uomo, e che implicherebbe per sè stesso un avvenire predeterminato. Al contrario, quando si ammettono futuri fissi, un potere forzato, senza ambiguità nelle sue applicazioni, ogni libertà sparisce, non si tratta più di volontà; e la formula, concernente il solo desiderio, resta con i difetti che abbiam notati.

La formula di Kant modificata così: esser causa, mediante le sue

rappresentazioni, delle sue rappresentazioni stesse, è vera rigorosamente degli atti di volizione. V'ha di più: non uscendo fuori della coscienza, si può estendere la legge al rapporto del presente co 'l futuro, come fa Kant: esser causa, mediante le sue rappresentazioni, della realtà degli oggetti di queste rappresentazioni stesse. Infatti la coscienza della possibilità d'avere una certa rappresentazione implica la rappresentazione medesima; la semplice idea d'un possibile equivale in tal caso all'atto, e lo produce. Ma siccome uniamo a quel primo fenomeno la rappresentazione egualmente possibile di ritenere o sospendere l'atto; questo cessa di esser necessario, in quanto definitivo, o durevole, o sviluppato nelle sue conseguenze. Con ciascun fenomeno chiamato o rimosso si annettono fini presi di mira o raggiunti, e passioni relative a quei fini; ma non tolgono già, che tutto vada subordinato alla potenza, che comprende insieme e quel fenomeno ed un altro accompagnato da un altro fine e da un'altra passione. Solo quando la rappresentazione giunge a fissarsi, e si afferma esclusivamente, può dirsi ch'essa produce la realtà del suo oggetto nella coscienza; e allora parimente quella realtà apparisce, se occorre, nel campo delle leggi organiche e fisiche, in virtù dell'armonia di queste leggi con le leggi rappresentative.

8. Della volontà in riguardo all'abitudine. - Una rappresentazione avvenuta o produtta indipendentemente dalla riflessione e dalla volontà, se queste funzioni non intervengono, tenderà per sè medesima a posarsi affermandosi nella coscienza; una rappresentazione più volte riprodutta tenderà a divenir abituale. La volontà, cioè la potenza delle rappresentazioni diverse o contrarie, può portare in ciascun caso la negazione delle prime, negazione fondata su la rappresentazione d'altri fini, che a sua volta produtta e riprodutta si affermerà sempre più facilmente, e volgerassi in abitudine. La riflessione stessa, l'uso, l'intervento della volontà, divengono più facili con l'esercizio, di guisa che la deliberazione sottentra alla semplice spontaneità in una gran parte della coscienza, e le passioni venute le prime non la vincono. Cotesti son fatti. Vedesi in qual senso la volontà lutti contro le passioni, da cui tuttavia è inseparabile; vedesi come, fenomeno isolato da prima, ma che si ripete e si generalizza, funzione sospensiva, negativa per rispetto ad un dato fenomeno qualunque, e suscitativa per rispetto ad un altro, essa si pone contro lo stato e contro l'abitudine; poi genera nuovi stati e abitudini nuove; infine, divenuta abitudine essa stessa, esiste come un'abitudine opponibile a quelle che si contrassero avanti.

Lo sviluppo della funzione volontaria riesce essenzialmente a ciò, che suole chiamarsi ragione nell'uomo, paragonato all'animale ed anche al bambino. Non si produce in quest'ultimo che a poco a poco; onde l'età di ragione, di cui non si potrebbe fissare alcun limite inferiore, come di nessun'altra abitudine; ed è facile a capire, che un primo atto di volontà riflessa, foss'anco osservato nettamente, non è però ancora una volontà, una riflessione formata. Quanto al limite superiore, il quale non si arresterebbe che dinanzi alle funzioni invariabili della natura (e le conosciam noi bene?), sicuramente nessun uomo l'ha toccato, nè anche nelle sue ore di piena veglia.

Laonde sotto l'impero dell' instinto e delle leggi dell'abitudine commune, l'uomo, del pari che l'animale, seguirebbe naturalmente serie d'atti di coscienza, alle quali si riferiscono modificazioni esterne convenienti. La volontà è un'abitudine in certo modo inversa, un impero su le abitudini, e nondimeno un'abitudine. Per essa si modificano le serie logiche o naturali del pensiero, e perfino l'instinto, perfino la natura, perfino le leggi fondamentali dell'intelletto; poichè il libero esercizio della ragione può negar la ragione. Alla venuta d'una funzione o d'un ordine così nuovo, si può dire che le cose non sono più semplicemente, ma si fanno da sè stesse, e che producesi una natura sopra la natura. Allora parimente, allora soltanto l'uomo si leva alla cognizione di quelle leggi stesse, che non dipendono punto dalla sua volontà, perchè l'astrazione divien possibile come l'esperienza sistematica: doppio fondamento delle scienze.

9. Del movimento di degradazione delle funzioni volontarie : del sonno in generale. Il passaggio dal pensiero semplice e dalla passione, le cui forze sono invariabili, alle funzioni di riflessione e di volontà, che costituiscono la forza libera, non s'effettua già in modo totale nell'uomo. Nè compiutamente, nè durevolmente s'inalza dall'impero delle leggi all'autonomia quell'individuo, che ci è dato d'osservare in noi stessi. Senza dubio il suo nuovo stato, il suo atto per meglio dire, e in tutta la forza del termine, la sua energia, è uno stato normale, ma violento, e di cui non si dà esercizio costante. Dopo lo sviluppo delle funzioni volontarie, convien assistere alla loro degradazione. Non parlo qui d'una degradazione morale, ma di quel natural movimento di discesa, che dalla natura autonoma nell'uomo ci rimena per l'indebolimento e la stanchezza al riposo, ed a traverso della rêverie, del sogno, e del sonno, all'oblio,

« ZurückWeiter »