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il vostro ragguaglio fra il Belgio del 28 e il Belgio del 50 è intrinsecamente nullo. Voi dite, che nel 1850, sopra 100 famiglie, ve n'ha tutto al più 9 ricche, 42 poco agiate, e 49 povere, 20 delle quali ricevono soccorsi dal governo; ma per il 1828 non ci dite altro che il numero degl'indigenti, a cui soccorreva la publica beneficenza. Ora perchè la vostra dimostrazione anche parziale fosse legitima, bisognava dirci eziandio il numero dei ricchi, e dei più o meno agiati, nell'altra epoca; giacchè se, per un esempio, in luogo di 9 come nel 1850, le famiglie ricche nel 1828 non fossero state che 2; e le agiate in luogo di 42 non più che 20; ne seguirebbe manifestamente, che l'aumento d'un trentesimo negli indigenti verrebbe in larga usura compensato dall'aumento d'un quarto o d'una metà negli agiati. E tal è, a nostro avviso, la legge, con cui l'Umanità procede nel suo incivilimento.

Del resto, finchè voi riducete il problema del pauperismo ad una statistica di coloro, che ricevono soccorsi da publiche amministrazioni, qualunque soluzione gli diate, la non potrà mai essere concludente e adequata. Per decidere la questione, se lo stato economico della società vada migliorando o peggiorando, convien esaminare questi due punti:

1o Se la somma totale delle ricchezze, che oggi l'Umanità possede, sia maggiore o minore di quella, che possedeva due, dieci, venti secoli fa?

2o Se il numero degl'individui, che oggi godono alcuna parte di queste ricchezze, sia maggiore o minore di quello degl'individui, che ne godevano un tempo?

Ora, se c'è un fatto al mondo, che io possa dire storicamente accertato, per me si è questo, che la somma delle ricchezze e il numero dei possidenti è molto maggiore oggi che nei secoli andati; e se c'è credenza, che io reputi superiore ad ogni eccezione, si è questa per me, che nei secoli avvenire quella somma e quel numero diventeran sempre maggiori.

Mi rimane ancora da rettificare una vostra espressione e da giustificarne un'altra mia.

La vostra è quella, con cui m'attribuite per punto di partenza il progresso CONTINUO verso il bene. Io ho bensi parlato di progresso, ma non mai di progresso continuo; perchè sotto questa parolina si cela communemente tutto un sistema di filosofia sociale, da cui sono alienissimo. È il sistema d'un fatalismo assoluto, che nega ogni male, perchè esclude ogni libertà; e in tutta la serie dei fatti sociali, in tutta la storia del genere umano non vede altro che l'attuazione successiva, ma necessaria, inalterabile, indefettibile d'una legge, che ha predeterminato tutti li atti dell'uomo, come tutti i movimenti degli astri, e tutti i fenomeni della natura. Io all'incontro, partigiano della libertà, non intendo il progresso a questo modo; non lo concepisco in forma di una linea retta, ma a guisa d'una risultante di più forze in contrasto fra loro, o d'un rapporto d'azioni e reazioni, che finalmente si risolve in una progressione.

Ammettendo adunque i contrasti e le reazioni, cioè i disordini parziali, a cui può dar luogo la libertà, non posso certamente riconoscere per mio il principio del progresso continuo, se per continuo s'intenda, che le faccende umane vadano sempre meglio di anno in anno, di giorno in giorno, senza interruzione o deviazione di sorta. In un solo senso io potrei accettarlo; ed è, se in luogo di riferirlo alla serie di tutti e singoli i momenti della vita sociale, s'applicasse unicamente alla serie di quei lunghi periodi di tempo, che si chiamano epoche, in tutta la maggior estensione del termine.

E la mia è quella, che voi in una noterella censurate qual traduzione infedele d'un vostro concetto. Una delle ragioni, per cui ho combattuto la vostra tesi, fu questa, che non istimo possibile la guarigione instantanea delle piaghe sociali, e tanto meno del pauperismo. Or voi mi rispondete secco secco: ma io non ho mica parlato d'annientamento instantaneo del pauperismo. No? ebbene, rileggete il principio, che voi mi proponevate per fondamento di tutta la nostra controversia. Eccolo: Le paupérisme doit être ACTUELLEMENT anéanti sous peine de mort sociale. Ora annientare attualmente il pauperismo, ed annientarlo instantaneamente, non è egli tutt'uno? 0 come mai potreste chiamar attuale un annientamento, ch'avesse da effettuarsi nel corso di molti anni, o fra qualche secolo? Se dunque intendevate parlare di annientamento, non instantaneo, ma successivo o progressivo, non dovevale usare l'avverbio actuellement, che contradiceva del tutto al vostro pensiero; ma avendolo usato, non potete a buon diritto lagnarvi di me, se traducendolo in italiano, vi ho imputata l'utopia di voler guarire instantaneamente la piaga sociale del pauperismo.

Publicherò in un prossimo foglio la vostra risposta a Carlo, indi la sua a voi; e con ciò, spero, sarà chiusa questa parte della controversia, che abbiamo agitata. Voi esponeste le vostre ragioni, e noi le nostre ; voi le sosteneste con una replica, e noi con un' altra: lasciamo ora al Publico, che ci ascoltò, pronunziare la sua

sentenza.

V'ha però sopra le questioni politiche ed economiche da noi dibattute, altre questioni metafisiche e morali, in cui giace propriamente la vera, intima, ed ultima causa dell'opposizione, che regna tra le vostre e le mie dottrine. A questa parte della controversia m'ha già invitato, come ben saprete, l'illustre vostro genitore; e voi meglio di chi che sia vorrete scusarmi, se mi tarda di toglier commiato da voi per entrare in colloquio con un tanto uomo, e su materie più confacenti al quadro assai circoscritto e modesto de' miei prediletti studj.

AUSONIO.

IL SIMBOLO DELLA RELIGIONE MODERNA

Se tutti li uomini fossero filosofi, non occorrerebbero nè chiese, nè sacerdoti, nè riti, nè mitologie; poichè essi non farebbero che ristarsi alla pura contemplazione del Vero. Ma tali non sono e perciò sentendo in sè il concetto confuso di Dio, e sino a lui non potendo sollevarsi su l'ali dell'imaginazione e su le aspirazioni del cuore, hanno bisogno d'un simbolo, che loro lo rappresenti, lo concretizzi, lo renda insomma di facile percezione, e sia adatto alle inculte e grossolane lor menti. Ma che cosa è il simbolo? È la personificazione poetica e mitologica di Dio, secondo l'idea e il sentimento che ne hanno i popoli in rapporto alla loro cultura, alla loro scienza e civiltà. Da per tutto ove fuvvi religione, non mancò mai il simbolo corrispondente. Nell'êra del feticismo eravi per simbolo il fenomeno stesso; nell'êra susseguente eravi l'astrazione del fenomeno, come sarebbe il politeismo greco-romano; nell'êra ultima il simbolo religioso era la trinità d'una sola sustanza; e questa non era che l'idealizzazione delle tre forze dell'uomo intelligenza amore azione. Così appo l'Indi v'ha per simbolo la Trimurti di Brahma, Vichnu, e Siva; appo li Egizj la trinità di Osiride, Tifone, ed Oro; appo i Persi quella di Ormuzd, Arihmane e Mithra; appo i catolici la trinità di Padre, Figlio, e Spirito Santo. Ora poi, siccome questi simboli sanno di rancido, e contengono misteri da cui la mente e il cuore rifugono, e più non rispondono nè alle idee, che acquistò la scienza del secolo, nè ai bisogni dell'uomo e della società; così bisogna passare alla creazione di altri che possano raggiungere lo scopo per cui son fatti. E il positivismo religioso, che è ancora il patrimonio di pochi, è ciò che deve fare per accrescere la famiglia de' suoi credenti, e riscattare così tanti infelici da un'orrenda schiavitù di corpo e di spirito, e da un abbattimento, che veramente disonora la specie umana. Il gran che però si è, che l'età dei rivelatori è passata; che i taumaturghi han fatto bancarotta, e più non sono; e che farsi a creare un simbolo moderno è impresa ai giorni nostri difficile, e al tempo stesso ridicola. Come fare adunque ? Rassegnarci alle antiche bandiere? Contentarci sempre di pregiudizj e di superstizioni? Adorare sempre delle assurdità? Venerare miti, che fanno a pugni con la scienza? Onorare le più fanatiche leggende come fossero parola di Dio? Lasciarci tiranneggiare da uomini pieni di vizj, e che si dicono apostoli, dottori, padri della chiesa? Veder sempre le innumerevoli turbe abbandonate anima e corpo alla tirannia dei preti ?

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Un cangiamento per altro è necessario. Li uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi ebbero bisogno di un Dio, e non poterono far senza d'una religione; e ciò va sempre su lo stesso piede. Ma che cosa è questo Dio, che tutti pronunciano, e di cui tutti parlano? Tutti i teologi, tutti i preti del mondo, per quanta boria abbiano, non giunsero mai a darne una valida definizione: anzi quando a questo si accingono, cascano in tali arzigogoli, che confundono, che imbrogliano sempre più la questione anzichè deciferarla e rendono chiaro sino all'evidenza, che Dio non si può definire. Quindi i razionalisti han provato, che Dio non è nè un ente, nè una persona, nè una sustanza animata come l'uomo, nè altro: Dio è un ideale, che la mente dell'uomo si forma dalla osservazione della mirabile natura, tutta sparsa di mistero, cominciando dal filo d'erba sino all'immensità del mare, dal moscherino perdentesi nella polvere del globo sino ai soli e alle lune,

che popolano lo spazio celeste. E basta dare uno sguardo agli attributi, che si applicano a Dio, per comprendere che è così come diciamo: egli è tutto quanto l'uomo non conosce.

Laonde tutti i simboli religiosi non sono che il parto della fantasia umana; non sono che la poesia dell'Umanità ancor giovine, che ha bisogno di vagare, di volare fra le nubi, di spaziare fra i vasti campi, e di sollevarsi dalla superficie terrena per assidersi su la sommità dell'empireo. Difatti, ora che l'Umanità si fa adulta, è già indifferente ad ogni mitologia religiosa: e tutti convengono, che le religioni attuali sono in decadenza, appunto perchè più non rispondono all'ideale, che nella novella età si va formulando.

Sin qui va bene. Ma, se noi formiamo un altro simbolo, noi non gli tributeremo mai la debita venerazione, perchè essendo nostra creazione, sapiamo che non ha nè forza, nè virtù, nè potenza immensurabile: quando l'imaginazione ancor giovine giocava, lo credevamo il vero Dio e a lui c'inclinavamo; ma ora, che con la scorta della critica conosciamo la genealogia di tutti quanti li Dei imaginabili, è inutile crearci un Dio, che sapiamo non essere Dio. Che dunque? Qual via dobbiamo noi prendere? Dio è il contrario del finito, il contrario del fenomeno; insomma una negazione. Or bene il pensiero dell'uomo è stanco ormai di simboleggiare una negazione, e inclina sempre più al culto dell'affermazione, senza ulteriori ricerche che riuscirebbero inutili. E qual è questa affermazione, questo simbolo tutto reale?... Il fenomeno, il più sublime, il più alto dei fenomeni : l'Umanità. Sì, essa è la prima rappresentante di Dio, la più chiara manifestazione della legge, la vera ed unica rivelatrice; imperocchè da lei avemmo co 'l corso del tempo tutte le più sacre rivelazioni; dalla mente e dal cuore dell'Umanità ci fu rivelato, che li uomini sono liberi, eguali, fratelli; che in tutti vi hanno incontrastabili diritti; che la legge è l'unico re degno d'ossequio e d'obedienza ; che Dio si adora con le opere, e non con ceremonie da comedia; ecc. Il nuovo simbolo adunque vuol essere l'Umanità. Oh! se in ogni uomo conoscessimo un mandatario di Dio; se sapessimo che è figlio d'una stessa natura, che ha una commune origine, che ha un cuore che ama, una mente che intende e ragiona; che è capace d'immense cose; che è un creatore in piccolo che va sempre producendo co 'l lavoro e con l'attività a pro della communione universale.... oh! come più bella, più amena, più lieta sarebbe la vita nostra! come lusinghiero sarebbe il banchetto, a cui dovremmo assiderci tutti insieme, fratelli d'una sola famiglia ! Deh! suoni presto l'ora beata, in cui avessimo da vedere soppressa quell'invidia che lacera le anime, annichilata quell'avarizia che occide il debole, spenta quella corrozione che disonora la specie, tolto di mezzo l'orrido vizio che ci fa perder gusto di tutto ciò che è veramente grande e degno, levato quel muro di divisione che esiste tra uomo e uomo, e inalzato invece lo stendardo della fratellanza, che ombreggiasse la republica universale! Si scriva su le nostre bandiere, si publichi in tutti i luoghi, e si diffunda da un polo all'altro la religione dell'Umanità! Sì il nostro motto più caro, la formula nostra più diletta sia questa: libertà, eguaglianza, fratellanza. Sante parole! Covarono per secoli nel segreto del tempo; ora sursero ad animare le genti; e passeranno nel sangue dei popoli, e si perpetueranno quanto il genere umano. P. L. B.

Ausonio Franchi DIRETTORE.

:

Lesca Giuseppe GERENTE.

Tipografia V. Steffenone, Camandona e C. via S. Filippo, 21, rimpetto alla Chiesa

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Li abbonamenti si ricevono alla Tip. V. STEFFENONE, CAMANDONA e C., via San Filippo, num: 21.

SOMMARIO

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Dell'imputabilità, II. L'autorité et la perpétuité dans le mariage. Stato degli studj intorno la civiltà italo-romana, I.

Bibliografia.

DELL'IMPUTABILITÀ

II.

Ogni uomo segue una direzione, la quale gli è tracciata dalla natura nell'opera stessa della di lui informazione; e su questa via egli si comporta non solo a seconda di certe attitudini instintive, ma eziandio della notizia più o men chiara di quelle leggi, di cui egli medesimo è il risultato e l'espressione più sublime ed attiva. Carattere infatti dell'Umanità è di seguire le leggi di natura, non per i soli instinti, o per le cieche funzioni inferiori dell'animalità; ma bensì di scoprirle e seguirle per le funzioni superiori della ragione. Si vede quindi di leggieri, quante cause d'errore e di cadute debbano riscontrarsi nella ragione d'ogni individuo, e come l'imputabilità debba venire da questo nuovo elemento profondamente modificata !

L'ignoranza, questo morbo dell'umana ragione, o invincibile originariamente, o non diradata dall'educazione, o fomentata dalla miseria, farà respingere l'utile consiglio, come farà respingere il farmaco, che la scienza appresta all'uomo onde reintegrargli la perdus salute; gli chiuderà li occhi davanti allo schietto lume della verità, per lasciargli seguire il fascino del facile errore; lo riempirà d'ammirazione per il miracolo, e gli farà detestare la scienza; gli armerà il braccio contro la libertà che cre

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