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la parola, con la stampa, con l'associazione, e tentare di attuarli mediante i suoi rappresentanti, verrebbe una volta chiusa ogni via alle reazioni violente, ed aperta ai pacifici progressi.

E questo stato di cose a voi sembra anarchia? Oh! lasciate al sig. Colins un tal linguaggio; lasciate a lui solo la gloria di esser venuto a bandire al mondo questa buona novella in caricatura: La società sarà in preda all'anarchia, finchè tutti li uomini non si risolvano di pensare a mio modo. Già vi ho detto, che l'anarchia non mi fa nessuna paura, appunto perchè anarchia sonerebbe privazione, mancanza d'ogni ordine, laddove un ordine è condizion naturale ed essenziale della società: è dunque impossibile, che la società si trovi mai in istato di vera anarchia.

Ma voi ripigliate l'ordine è l'obedienza ad una regola. Questa regola è fondata o su la forza, o su la ragione. Finora non regnò che l'ordine della forza; ma esso oggimai non è più possibile, e quello della ragione non è ancora conosciuto. - Ecco un altro dilemma, che nelle opere di Colins tien luogo di un altro ritornello, e con cui egli crede di mandar all'aria in due parole tutte le objezioni possibili. A me sembra invece un argumento sdrucito e sgangherato per ogni verso. Quel separare la forza dalla ragione, quasi che ciascuna di esse per sè sola, senza verun concorso dell'altra, potesse fondare un ordine sociale; quasi che si fosse mai data o potesse darsi una società, la qual si reggesse tutta su la forza pura senza partecipazion veruna della ragione, o su la pura ragione senza verun sussidio della forza non è egli un errore e di dottrina e di fatto? Non repugna a tutti i canoni della filosofia, a tutti i documenti della storia? Dove ha egli mai scoperto, il sig. Colins, che un popolo possa mantenersi tanti secoli unito in società con la sola forza, indipendentemente da ogni sorta di vincolo morale? A chi vorrà egli dar ad intendere, che la società cristiana del medio evo, per esempio, non istesse congiunta in virtù d'alcuna idea o ragione, ma puramente e semplicemente in virtù del bastone e della spada? Chi è che possa pur concepire una società, senza il concetto di diritto e di dovere? Noi diciamo all'incontro due elementi indivisibili costituiscono la vita sociale, come la vita individuale dell'Umanità uno materiale ed uno morale, la forza e la ragione ; nel vario grado di predominio dell'una su l'altra consiste il minore o maggior grado d'incivilimento, ossia il diverso carattere di ciascun'età dell'uomo e dell'Umanità. Ora il primo elemento è quello che preponderava nell'età passate; ma oggimai le condizioni della civiltà esigono, che acquisti il secondo una preponderanza, la quale deve andar sempre aumentando sino al punto, che la forza non sia più altro se non un mero strumento della ragione. La ragione adunque procede nell'Umanità, secondo la legge stessa che nell'individuo le idee morali sono da prima oscure, confuse, grossolane; poi co 'l tempo e con l'educazione vengono acquistando via via sempre maggior chiarezza, distinzione, e rigore. Così a mano a mano si discoprono nuove ragioni di diritto e di dovere, che rettificano le idee

anteriori, e la coscienza apprende di essere autorizzata od obligata a cose, che per lo innanzi giudicava con un criterio morale assai diverso; onde la varietà delle forme successive e progressive dell'ordine sociale, secondo il vario grado d'influsso ch'esercita nella vita umana or l'elemento materiale, ed ora l'elemento razionale, senza che però l'uno possa mai del tutto escludere l'altro. Il che non è per fermo un sottoscrivere allo scetticismo, che Pascal derideva; non è ammettere, che il male diventi bene, l'errore verità, a tenore del millesimo o della carta geografica; vuol dire bensì, che dei due elementi della moralità la regola remota, che è la legge; e la regola prossima, che è la coscienza il primo è in sè stesso quello che è, come la natura; ma il secondo si svolge, si modifica, si trasforma, come il pensiero dell'uomo, come l'uomo, poichè è l'uomo stesso; onde il criterio morale dee necessariamente variare da un'epoca dell'Umanità ad un'altra, come varia dal fanciullo all'adulto, dall'idiota allo scienziato.

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Alla vostra domanda pertanto: se oggidì si conosca il modo di fondare l'ordine sociale su la base della ragione? io rispondo: se ci chiedete un sistema, capace di toccare li su due piedi l'ideale dell'Umanità, di tradurre in atto l'Assoluto, cioè di far cessare ogni male e di effettuare ogni bene; no, signore, non lo conosciamo, e crediamo che nessuno al mondo lo conosca e lo possa conoscere, e meno di tutti il sig. Colins con la sua famosa pretesa di transustanziare ciascun uomo in un ente eterno ed assoluto, in un Dio. Ma se ci chiedete un sistema atto a migliorare la società, a riordinarla in modo più conforme alla sua legge naturale, come è sentita e concepita nello stato presente della civiltà, in modo che scemino i mali ed aumentino i beni del maggior numero possibile di cittadini; si, signore, la democrazia lo conosce: la sua base è la libertà e la giustizia in tutto e per tutti; e i mezzi, ch'essa propone per attuarlo, sono la giustizia e la libertà per tutti ed in tutto. Nè io voglio già significare, che tutte le scuole del socialismo professino un solo e medesimo sistema; chè, non mi stancherò mai di ripeterlo, io non la credo cosa possibile, perchè la reputo contraria alle leggi stesse della natura umana-finchè almeno il sig. Colins con argumenti un po' più sodi che quelli, ond'ha infarcito i suoi volumi, non riesca a disingannarmi; — voglio dire soltanto, che tutte le scuole, per quanto discordi in molti punti particolari, consentono tutte generalmente nei principj fondamentali d'una libertà, d'una giustizia superiore a quella, che finora ha governato li Stati; tutte unanimemente invocano un complesso di riforme politiche e sociali, che riguardano come un progresso verso l'avvenire; come il passaggio naturale e necessario dalla condizione presente ad una migliore. Che cosa importa, che Proudhon e L. Blanc, che Ledru Rollin e Leroux, che Owen e Mazzini, che A. Ruge e Kossuth, ecc., o a dir meglio, i partiti rappresentati da loro disentano e si combattano in molte questioni? Ma in molte altre, che sono le più urgenti, perchè d'applicazione immediata, si daran tutti la mano; e se do

mani sonasse l'ora della riscossa, tutti insieme combatterebbero per la fratellanza e la solidarietà dei popoli, per la sovranità nazionale, per il suffragio universale, per la libertà di culto e di stampa, d'associazione e d'industria, per l'instruzione gratuita e obligatoria, per l'abolizione degli eserciti stanziali, per la diminuzione delle imposte, per la separazione dello Stato dalla Chiesa, ecc.; ecc.; tutti insomma concorrerebbero di buon grado ad instituire un ordine sociale, in cui, restituita la sua libertà naturale al Commune, il governo centrale si riducesse alla condizione di semplice amministratore degl'interessi publici; e quindi temporaneo, risponsabile, e revocabile, a giudizio de' suoi mandanti. Allora ogni partito avrebbe assicurato inviolabilmente il diritto di contendere per tutte le vie oneste e giuste al trionfo delle proprie idee; e le rivoluzioni non avrebbero più mestieri di ricorrere alle armi ed alle stragi, poichè potrebbero compiersi tutte per opera dei publicisti e degli elettori.

Un tal ordine sociale mette ribrezzo, lo so, al sig. Colins, perchè non risponde alla sua ragione assoluta; ma io vi confesso, o Signore, che esso mi parrebbe fondato in una ragione infinitamente più salda e più equa della sua; e credo di esprimere l'opinione della massima parte dei democratici e socialisti dichiarandovi, che tutti i nostri sforzi collimano, con assai più d'armonia che voi non imaginate, al conseguimento di quello scopo commune. E i governi più o meno despotici, che opprimono e taglieggiano ancora tanti popoli d'Europa, mi sembrano informati di noi e de' fatti nostri un po' meglio del sig. Colins; poichè in luogo di concederci la libertà, che a suo parere ci trarrebbe subito e inesorabilmente a sterminarci tutti fra noi stessi, mettono sottosopra cielo e terra per tenerci ben chiusa la bocca e ben legate le braccia, di cui sanno benissimo che faremmo un uso diverso.

AUSONIO.

LE MARIAGE AU POINT DE VUE DU PROGRÈS

1° L'homme et la femme sont des êtres libres, c'est-à-dire ayant le droit imprescriptible, inaliénable de se développer intellectuellement, moralement, physiquement, et d'employer leur activité, selon leur volonté propre.

2o L'homme et la femme, dans l'ordre social, sont égaux entre eux, c'est-à-dire ont absolument les mêmes droits.

3o Le but constant de l'individu humain est le bonheur résultant de la satisfaction de ses besoins divers, et il ne peut marcher vers ce but qu'en s'améliorant sous toutes ses faces, c'est-à-dire en progressant par la liberté. 4o Le but constant de la société doit être d'égaliser les forces en pro

tégeant les faibles, réprimant ceux qui veulent envahir la sphère d'action d'autrui, en rendant ses membres de plus en plus libres et égaux par la science, la moralité, le bien être matériel.

5o La société ne peut, sans iniquité, entrer dans le domaine réservé à la liberté individuelle; son seul domaine, à elle, c'est l'égalité.

Tels sont les principes, qui ont servi de base à tous les articles que j'ai publiés jusqu'ici. Il s'agit maintenant de les appliquer au mariage ; et je préviens mes lecteurs, que je continuerai à me montrer radicale. Si l'homme et la femme sont des êtres libres, dans aucune période de leur vie ils ne peuvent, valablement, perdre leur liberté.

Si l'homme et la femme sont des êtres socialement égaux, dans aucun de leurs rapports ils ne peuvent, valablement, être subordonnés l'un à l'autre.

Si le but constant de l'être humain est le bonheur par le progrès et la liberté, aucune loi ne peut légitimement, valablement, le detourner de ce but fixé par la nature même.

Si le but constant de la société est d'égaliser les forces, elle ne peut, sans forfaire à sa mission, constituer l'inégalité des forces et des droits entre des êtres égaux.

Si la société ne peut, sans iniquité, entrer dans le domaine de la liberté individuelle, elle ne peut légitimement, valablement, réglementer le domaine moral, prescrire des devoirs qui ne relèvent que de la conscience, annuller la liberté.

De tout cela il résulte, que dans le mariage l'homme et la femme doivent demeurer libres, égaux; que la société n'a le droit d'intervenir dans cette association volontaire que pour égaliser les forces; qu'elle n'a pas le droit d'unir, ni celui de désunir; qu'elle n'a pas le droit de prescrire des devoirs qui ne relèvent que de la liberté, ni d'en punir la violation; qu'elle ne peut, valablement, s'attribuer le droit de prononcer le divorce car aux époux seuls il appartient de savoir s'il n'est pas utile, pour leur bonheur et leur progrès, de se séparer l'un de l'autre. Mes affirmations et mes négations sont claires et catégoriques.

Mais si la société n'a de droit ni sur l'âme, ni sur le corps des époux, en tant qu'époux; si elle ne peut, sans abus de pouvoir, s'immiscer d'aucune sorte dans leurs rapports, elle a le droit et le devoir d'intervenir dans le mariage au point de vue des intérêts, et au point de vue des enfants.

En effet, dans l'union des sexes il n'y a pas seulement association volontaire de deux personnes libres et égales, il y a encore association sous le rapport du capital et du travail; puis, des époux proviennent des enfants, à l'éducation, à l'instruction, à la profession, à l'existence des quels il faut pourvoir. Or la protection générale des intérêts et des jeunes générations incombe de droit à la société. Les époux doivent aux yeux

de la loi n'être considérés que comme des associés, s'obligeant à employer leur apport et leur travail à telle ou telle chose définie ce n'est qu'un contrat d'intérêts qu'elle enregistre, dont elle garantit l'execution comme celle de tout autre contrat de même nature, et dont elle publie la rupture, s'il y a lieu, par la volonté des conjoints. Seulement dans ce cas, comme les personnes qui contractent ne jouissent pas toujours du calme nécessaire, il faut que la prudence sociale prévienne, par des lois, l'entraînement des passions individuelles.

C'est une question de vie ou de mort pour la société que la santé, l'éducation des jeunes générations. Les enfants étant des êtres libres en développement, pouvant et devant être, suivant la direction qu'ils auront reçue, utiles ou nuisibles à leurs concitoyens, la société a, par ce fait, le droit de veiller sur eux; elle le tire encore, ce droit, de tous les bienfaits accumulés dont elle les comble. Devant donc, en bonne mère, veiller au bonheur de tous ses enfants, son droit est de leur assurer la santé en fixant l'âge où il est permis de se marier; car il est contraire aux lois de la nature de procréer des enfants avant que soi même on ait acquis tout son développement; son droit est d'assurer l'existence matérielle de ces enfants, en obligeant solidairement leurs pères et leurs mères à pourvoir à tous leurs besoins physiques, intellectuels, professionnels ; son droit est encore, dans le cas ou les époux se sépareraient, de confier les enfants à celui des deux qui est le plus capable et le plus digne de former des citoyens et des citoyennes. Je vais plus loin encore. Si les deux époux sont indignes, je reconnais à la société le droit de leur enlever leurs enfants.... On se récrie... Les enfants appartiennent à leurs parents, dit-on. Non pas; car les enfants ne sont pas des choses; ́mais j'ajoute pour ceux qui soutiennent que les enfants sont une propriété : Eh bien il est admis, du consentement de tous, qu'on peut exproprier pour cause d'utilité publique.

On voit que je ne conteste pas le droit social dans le mariage; seulement je l'enferme dans ses limites légitimes et rationnelles. Les hommes ont pu, ne voyant dans le mariage que l'union des âmes et des corps, nier la légitimité de l'intervention sociale; mais une femme ne peut voir ainsi c'est la femme, ce sont ses enfants qui souffrent de l'union sans garantie; c'est elle, ce sont ses enfants qui restent exposés à l'inconstance, à l'abandon de l'homme. Rien ne peut obliger un homme à demeurer avec une femme qu'il n'aime plus, et il est immoral de l'y contraindre; personne ne peut légitimement s'opposer à ce qu'il s'associe avec une autre mais son contrat d'intérêt, mais les devoirs qu'il doit remplir à l'égard des enfants nés de lui, sont des choses. qui ne regardent ni ses affections, ni la libre disposition de sa per-. sonne. En violant les clauses de son contrat, et faisant tort à sa compagne, en échappant aux charges de la paternité, il userait de sa liberté

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