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preziosi, di cui è formata? M'accorgo, che le vostre idee non sono più chiare; siete già uscito dalla realtà; spaziate già nei campi ipotetici della teoria retrocedete, o abbiate il coraggio di fare ancora un passo avanti, e di afferrare tutta la verità. Altri Deputati paragonarono il commercio del denaro al negozio del pane, e dissero anzi questo più necessario di quello. Se non fecero prova di molto acume economico, mostrarono però questi signori buona dose di coraggio civile. Non temettero di farsi nemica la Banca; sfidarono la collera di Bolmida. Paragonare, mettere di sopra i fornaj ai banchieri! Quale velleità democratica! Bolmida si sarà vendicato ridendo alle spalle di quei Deputati, che parlano senza sapere ciò che si dicono. Il pane si mangia, il denaro no; dunque il negozio del pane è ancora più utile di quello del denaro, e se si lascia libero il primo, non si devono porre ostacoli al secondo. Che sillogismo! Che scienza! Ma circola il pane, circola il grano, circolano i produtti, circolate voi senza denaro ?

Perchè ad una carestia, ad una guerra, ad una rivoluzione succede sempre una crisi metallica? Perchè ogni crisi commerciale si manifesta con un arresto di circolazione? Perchè il commercio di banco è il più produttivo, è il sovrano di tutti i negozj, e i banchieri sono i re di tutti i commercianti? Li economisti vedendo i vagoni correre quanto la locomotiva, dicono che vagoni e locomotiva si equivalgono; e non vogliono intendere che, tolta la locomotiva, i vagoni necessariamente si fermano. Essi hanno chiacchierato molto su la moneta; non hanno mai potuto capirne la teoria: quando il loro intelletto arriverà ad averne la chiara percezione, allora solamente l'economia politica incomincierà a meritare il nome di scienza..

La discussione nel Palazzo Carignano su la libertà d'usura non fu che una lunga, nojosa, sterile ripetizione delle cose dette nel Palazzo Madama. Ma i senatori adottarono una legge eclettica, bastarda, la peggior legge possibile su la tassa degli interessi; mentirono al loro carattere; dimenticarono la loro alta missione ; non furono conservatori, nè osarono essere rivoluzionarji Deputati invece serbaronsi fedeli alla loro origine; sursero veri rappresentanti del pensiero nazionale; furono viva espressione del sentimento popolare. Rigettando l'ibrida legge senatoria i Deputati adempirono da bravi il loro dovere; respingendo la libertà d'usura, non dando retta alle chiacchiere degli economisti, riconoscendo co 'l loro voto negativo nella tassa degli interessi una ragione fatale e ancora esi

stente, benchè a loro ignota, confermando le sentenze degli antichi filosofi e legislatori, e la eterna protesta dell'Umanità contro li usuraj, seguendo coraggiosamente l'impulso del loro animo, la voce della loro coscienza, essi meritarono li applausi e la gratitudine di tutto il paese. Di questo avviso però non sarà certo l'illustre Giulio. Che avrà egli mai detto nel sentire il voto anti-economico della Camera dei Deputati? Egli, che prometteva ai senatori in cambio della. libertà d'usura la benedizione dei presenti, e quella dei posteri, e l'elogio dell'intera società civile ? Le sue magnifiche promesse fecero poco effetto in Senato non se ne tenne il menomo conto nel Palazzo Carignano. Povero Giulio! Incompreso, disconosciuto, trattato come i socialisti, che egli passando sferza, atterra, schiaccia. O voi, che ardenti e infaticabili ricercaste la verità, e aveste in premio la prigione, il patibolo, che altro vi mancava per essere interamente vinti e polverizzati, fuorchè l'attacco del sublime Giulio? Noi demagoghi, prima di combattere le idee di uno scrittore, ci prendiamo l'incommodo di leggere le sue opere; prima di parlare delle azioni di un uomo qualunque, crediamo nostro dovere di prendere informazioni esatte su la sua vita... ma che un professore, un senatore, un consigliere di Stato in erba, ha bisogno d'andar cosi per le lunghe, quando vuol assalire i nemici dell'ordine? Al signor Giulio salta il ticchio di dare ai socialisti una pedata; che per levarsi questo capriccio gli era necessario di digerire i loro libri, di studiare e distinguere i loro sistemi, di approfondire le loro idee? Con tal gente si va più alla buona; si calunnia, si bastona, si ammazza senza tanti preamboli. L'eloquente professore si ricordò di qualche articolo del Constitutionnel, e ne ebbe anche di troppo. Che importa a lui, che i socialisti non abbiano mai sognato di obligare i ricchi ad imprestare senza interesse ai poveri i loro capitali? Véron lo disse, e ciò basta al signor Giulio per credersi dispensato di informarsi, se l'accusa, che egli ripete, sia meritata o no. Un matematico non ha bisogno di essere così esatto e scrupoloso. E poi è di moda il calunniare i socialisti; di più lo spettro del communismo fa sempre effetto su li imbecilli, e li imbecilli sono tanti..... anche in Senato. Il chiarissimo Giulio volle anch'egli sacrificare alla moda, e divertirsi un po' alle spalle de' suoi nobili confratelli. Ecco tutto il suo torto.

Le parole del ministro Deforesta su 'I socialismo sono ben più serie, e la sua accusa contro un celebre caposcuola è ben più grave: È ormai da tutti risaputo (scrisse il signor Guardasi

<< gilli), come fosse questa la tesi (gratuità del credito) difesa con << tanto calore da un eminente socialista francese, il quale nell'abo<< lizione del prestito ad interesse ravvisava, e con ragione, un « mezzo per sè solo sufficiente a mutare l'ordine attuale della so«cietà.» Il signor Deforesta intende senza dubio parlare,qui di Proudhon. Creazione di Proudhon è la teoria della gratuità del credito; socialisti e conservatori lo riconoscono. Questa teoria è suo avere, sua ricchezza, sua gloria; è il suo titolo principale alla riconoscenza de' popoli, alla immortalità. L'eminente socialista francese, di cui parla il signor ministro, non può dunque esser altri che Proudhon. « Quest'abolizione (seguita il signor Deforesta) sa«rebbe, a suo avviso, un avviamento verso quel nuovo ordine de<< siderato dal socialismo, ma non saputo trovare, non saputo trovare, nè per fermo. << possibile a rinvenire altrove che in quel mondo, ov'esso spazia, « imaginario e vagante fuori del sistema dell'umana libertà. » Ed ecco l'autore della più vigorosa critica del communismo, il terribile avversario dei socialisti fautori di un governo forte, il publicista che al posto dello Stato co' suoi stupidi birri mette l'organizzazione industriale co' suoi intelligenti lavoratori, il filosofo la cui formula rivoluzionaria è: non più governo, cioè non più l'autorità dell'uomo invece della sovranità della ragione, non più l'arbitrio invece della scienza, non più la forza invece della giustizia, l'uomo che gridò: Libertà! ecco la prima e l'ultima parola della filosofia sociale Proudhon, accusato di negare la libertà! E l'accusatore chi è? Un ministro, un membro d'un governo forte, che regola tutto, che si ficca da per tutto, che si fa sentire in tutto. L'accusa sarebbe davvero troppo amena, se non fosse assurda. Il signor Guardasigilli confuse stranamente Proudhon con altri socialisti, inventori o difensori di dottrine e d'idee affatto diverse, e opposte a quelle dell'autore del Sistema delle contradizioni economiche. Questa confusione ci prova, che il signor Ministro non solo ignora la storia, la missione, l'avvenire del socialismo, ma che non ne sa nè pure la prima parola. Lungi però di dargli colpa della sua ignoranza, noi gliene faciamo un merito si vede che egli osserva e rispetta la divisione del lavoro; ed essendo profondo giureconsulto, si fa un dovere di non invadere altre parti della scienza. Ma abbiamo il diritto di domandargli come potete pronunziare cosi ex cathedra il giudizio e la condanna del socialismo, se siete tanto incompetente in questa materia? Chi vi ha detto, che il nuovo ordine desiderato non si è ancora saputo trovare, e che non si troverà mai?

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Signor Ministro, seguitate pure animosamente a fabricar leggi ogni giorno, poichè questo è il vostro mestiere; ma praticate anche ne' discorsi la eccelsa regola della divisione del lavoro, che religiosamente osservate ne' vostri studj, lasciando d'or innanzi ai soli ciarlatani e calunniatori l'incarico di fare ridicole profezie, e di asserire cose assolutamente false. I democratico Sineo gettò egli pure il suo sassolino contro quei disgraziati socialisti; me se chiamò pericolose utopie le loro idee, se disse: non vi proporrò mai di proclamare il diritto al lavoro, non fu per seguire la moda, come Giulio, o per far pompa d'erudizione, come Deforesta, o per pagare un tributo ai conservatori e rendersi non affatto impossibile : l'anima sua candida e gentile non può aspirare a un vile scopo; la sua ambizione è al di sopra di un portafoglio; che il capitalista paghi anch'egli la contribuzione in ragione de' suoi averi, che sia proclamata la libertà del lavoro, e l'ottimo Sineo è soddisfatto. Egli è convinto di ciò che dice, riguardo al socialismo; ma è poi certo, che scagliando contro di questo la taccia di utopia, i suoi avversarj non faciano lo stesso verso le sue democratiche aspirazioni ? Sa egli di non meritare il nome di utopista, quanto e più dei socialisti? Se Cavour era alla Camera, allorchè Sineo disse di sottomettere il capitalista alle imposte, come il lavoratore, in proporzione de' suoi averi, il perspicace Ministro delle finanze dovette accogliere questo pio desiderio dell'ingenuo Deputato con un sublime riso sardonico. Sineo vuole la libertà del lavoro, e respinge il diritto al lavoro; è lo stesso, come se egli dicesse al miserabile: sei libero d'esser ricco; al cieco sei libero di vedere; al cadavere: sei libero di vivere. E Sineo sa in che il diritto al lavoro consista? Egli aspira ad alleviare i mali della classe lavoratrice, a soddisfare le giuste lagnanze degli operaj, a far in modo che questi non abbiano così frequente bisogno del capitule; ma se, in un giorno di sovranità, i proletarj affidandogli tutte queste riforme, si gettassero nelle sue braccia, Sineo li condurrebbe con la massima buona fede e sicurezza ad un'altra Novara, non meno funesta della prima, ad una Novara economica.

Molte cose potremmo ancora dire, molte osservazioni ci resterebbero ancora a fare su i discorsi dei senatori e dei Deputati intorno all'usura. Ma che! l'hanno essi almeno definita? Non lo tentarono nè pure. Per definire l'usura avrebbero dovuto incominciare con rispondere a queste domande: Che è il denaro? Che è il capitale? Che è il credito? Che cos'è l'interesse, la rendita, il fitto,

il benefizio, lo sconto? Essi invece si trattennero giorni interi sopra miserabili equivoci, caddero nella più deplorabile confusione, chiamando capitale il denaro, e denaro il capitale; fecero a gara per impicciolire e soffocare con meschine questioni accessorie ed eterni cicalecci l'idea principale e dominante, che ad ogni momento tentava d'emergere dalla discussione generale; accettarono ad occhi chiusi la definizione dell'usura data dai legisti; e lasciarono così la questione al punto, ove era prima. I giureconsulti dicono usura ogni interesse eccedente il limite fissato dalla legge. Ma questa definizione non è arbitraria, quanto lo stesso limite legale? Negate l'usura, come li economisti, o definitela scientificamente. Ma il Parlamento non la negò; la affermò anzi solennemente, seguendo l'esempio della storia, i precetti della morale, la voce della coscienza; e fece bene non la defini, perchè definirla era risolverla, e risolvere la questione dell'usura non può essere opera d'un Parlamento, e tanto meno d'un Parlamento piemontese.

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F. F.

ETERNITÀ DELLA VITA

Chi è che non sapia o almeno non convenga di buon grado con noi nel credere eterna la vita? Nell'universo tutto fu vita, tutto è vita, e tutto sarà vita. E difatti tutto naturalmente si muove, tutto varia, tutto si agita e si trasforma. E che cos'è la vita, se non è moto, agitazione, trasformazione, varietà ? Che cos'è la morte se non l'immobilità, l'inerzia, l'immutabilità, l'invariabilità ? È ella possibile la vita senza movimento, o l'inerzia assoluta con la vita? Vi ha forse morte colà, dove vi ha moto? La materia, anch'essa come la vita, fu, è, sarà ; e si modifica più o meno sensibilmente in perpetuo. Il mondo fu, è, sarà; chi mai può misurare nel tempo il numero e l'estensione di tutte le sue rivoluzioni? L'Umanità fu, l'Umanità è, l'Umanità sarà, vive sempre, procede, e passa; ma chi può indicare con qualche certezza e precisione, il principio e la fine del suo progresso? È limitata e finita! ma dove, e quali sono i suoi limiti? E se non fosse nè limitata, nè finita? Il moto fu, il moto è, il moto sarà; ma quando e come ebbe principio la prima spinta? Ciò che si muove si arresta; il moto si interrompe alcune volte a volontà dell'uomo! E se io dicessi, che l'uomo può deviarlo, mutarlo, trasformarlo, cambiarne la destinazione parziale apparente, ma non arrestarlo o interromperlo nel suo progresso sustanziale, principale, e naturale? Fermare il moto, troncare i passi all'universa natura! Chi mai oserebbe pretendere tanto? O stelle, o soli, o sfere celesti, chi può numerarvi, tener dietro

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