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questo pendolo sia la quarta parte della lunghezza dell'altro; et in 180 somma, come si può vedere colla sperienza, la moltitudine delle vibrazioni de' pendoli da lunghezze diseguali è sudduplicata di esse lunghezze.

Per evitar poi il tedio di chi dovesse perpetuamente assistere al numerare le vibrazioni, ci è un assai comodo provedimento, in cotal modo: cioè facendo che dal mezzo della circonferenza del settore sporga in fuori un piccolissimo e sottilissimo stiletto, il quale nel passare percuota in una setola fissa in una delle sue estremità, la qual setola posi sopra' denti d'una ruota leggierissima quanto una carta, la quale sia posta in piano orizontale vicina al pendolo, et avendo 190 intorno intorno denti a guisa di quelli d'una sega, cioè con uno de' lati posto a squadra sopra il piano della ruota e l'altro inclinato obliquamente, presti questo offizio, che nell'urtare la setoletta nel lato perpendicolare del dente, lo muova, ma nel ritorno poi la medesima setola sopra il lato obliquo del dente non lo muova altrimente, ma lo vadia strisciando e ricadendo a piè del dente susseguente: e così nel passaggio del pendolo si muoverà la ruota per lo spazio d'uno de' suoi denti, ma nel ritorno del pendolo essa ruota non si muoverà punto; onde il suo moto ne riuscirà circolare, sempre per l'istesso verso, et havendo contrassegnati con numeri i denti, si vedrà ad arbitrio nostro 200 la moltitudine de i denti passati, et in conseguenza il numero delle vibrazioni e delle particelle del tempo decorse. Si può ancora intorno al centro di questa prima ruota adattarne un'altra di piccolo numero di denti, la quale tocchi un'altra maggiore ruota dentata, dal moto della quale potremo apprendere il numero delle intere revoluzioni della prima ruota, compartendo la moltitudine de i denti in modo che, per esempio, quando la seconda ruota haverà dato una conversione, la prima ne abbi date 20, 30 o 40 o quante più ne piacesse. Ma il significar questo alle SS. LL., che anno vuomini esquisitissimi et ingegniosissimi in fabbricare orivuoli et altre macchine ammirande, è cosa superflua, 210 perchè essi medesimi sopra questo fondamento nuovo, di sapere che il pendolo, muovasi per grandi o per brevi spazii, fa le sue reciprocazioni egualissime, troveranno conseguenze più sottili di quel che io possa immaginarmi. E siccome la fallacia delli 'orologii consiste principalmente nel non si esser potuto sin qui fabbricare quello che

191. lati posti a, G

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noi chiamiamo il tempo dell'orivolo, tanto aggiustatamente che fac-
cia le sue vibrazioni eguali; così in questo mio pendolo semplicis-
simo, e non soggetto ad alterazione alcuna, si contiene il modo di
mantener sempre egualissime le misure del tempo. Ora intenda V. S.
Ill.ma, insieme col Sig. Ortensio, quale e quanto sia grande il bene-
fizio di questo strumento nelle osservazioni astronomiche, per le quali 220
non è necessario fare andare perpetuamente l'orivuolo, ma basta, per
l'ore da numerarsi a meridie ovvero ab occasu, sapere le minuzie del
tempo sino a qualche ecclisse, congiunzione o altro aspetto ne' moti
celesti ».

E conseguentemente in appresso fu da esso comunicato alli altri SS.ri Commessarii ed agl'altri SS.ri Olandesi che successivamente s'adoprarono con i SS.ri Stati a favor del Galileo, fra' quali fu un tal Sig.r Borelio, Consigliere e Pensionario della città d'Ansterdam, et un Sig.r Constantino Ugenio di Zulichen, allora primo Consigliere e Segretario del Sig.r Principe d'Oranges e padre del sopranominato Sig. Cristiano.

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Vedendo il Galileo che il dover trattare questa sua proposizione per lettere, in tanta distanza di luoghi, richiedeva gran lunghezza di tempo, nel rimuovere quelle difficoltà che per altro con la presenza in pochi giorni egl'averebbe sperato di superare, e che dopo averle spianate gli conveniva tornar da capo a informar nuovi Deputati (come gli era succeduto, dopo 5 anni continui di negoziati, per la morte di tutti e quattro i SS.ri Commessari destinati all'esamine della sua proposta); da che l'età sua cadente di 75 anni e la sua cecità non gli permetteva il trasferirsi in Ansterdam, come in altro stato volentierissimo averebbe fatto; desiderando pure per publico benefizio che, se non in vita sua, almeno in vita di quelli che già ne erano consapevoli, si venisse quanto prima alla spe- 240 rienza del suo trovato, che egli reputava esser l'unico mezzo in natura per conseguire la cercata graduazione delle longitudini; stabilì d'inviar colà amico suo fidatissimo et intelligentissimo delle cose astronomiche, il quale s'era dimostrato assai pronto di trasferirvisi, ed al quale il medesimo Galileo aveva già, doppo

221-222. per le cose da, G 225-226. Dopo aver riferito il tratto della lettera di GALILEO il cod. P continua: Queste stesse notizie ed altre molte s'avranno in breve nella publicazione che intende fare l'A. V. di tutte le scritture che intorno al negozio delle longitudini ultimamente ella ottenne dalla liberalità del Sig." Elia Diodati, il quale di tutte, come di prezioso tesoro, avea tenuto particolarissima cura, come quegli che solo potè farne raccolta, essendo che tanto le lettere del Galileo che quelle de' SS.ri Stati e de' lor SSri Commessari, che scambievolmente passarono dal 1635 fino al 1640, erano di comun consenso inviate al sudetto Sig.r Elia per il lor recapito, avendo questi facoltà d'aprire 'l tutto e prendersene copia, per restar pienamente informato di tale affare. Da questa medesima publicazione, oltre all'autentica storia di questo fatto, chiaramente vedrassi come 'l concetto di cavar dal pendolo un orivuolo fu prima del nostro Galileo, e come appresso fu da esso comunicato alli sopranominati SSri Commessari, e conseguentemente agl'altri SS.ri Olandesi che successivamente ecc. --236. tutti i quattro, G

la perdita della vista, ceduto tutte le proprie fatiche, osservazioni e calculi, attenenti a i Pianeti Medicei, e conferito la teorica per fabbricare le lor tavole et effemeridi. Questi fu il Padre Don Vincenzio Renieri, monaco Olivetano, stato insigne Matematico nello Studio di Pisa, il quale s'era con tanto gusto applicato a continuare le dette osservazioni ́e talmente impadronitosene, che, come 250 è benissimo noto all' A. V., prediceva per molti mesi avvenire ogni particolare accidente intorno a i detti Pianeti; e nel 1647 fece vedere all'A. V. et al Ser.mo Principe Cardinal Gio. Carlo le tavole et effemeridi formate per molti anni, quali stava in punto di publicare, quando piacque a Dio, che tutto a miglior fine dispone, indi a pochi mesi togliercelo quasi repentinamente di vita. Non so già per qual disgrazia attraversandosi il caso a così profittevole cognizione, mentre egli se ne stava moribondo, fu da taluno ignorante o pur maligno spirito, ch' ebbe l'adito nelle sue stanze, spogliato lo studio de' suoi scritti, tra' quali era la suddetta opera perfezionata e la serie ordinata di tutte l'osservazioni e calculi del Galileo dal 1610 al 1637, con gl'altri successivamente notati dal detto Padre Renieri fin 260 al 1648; e così in un momento si fece perdita di ciò che nelle vigilie di 38 anni, con tante e tante fatiche, a pro del mondo s'era finalmente conseguito.

Ma tralasciando le digressioni, intendeva il Galileo d'inviare alli SS.ri Stati d'Olanda questo Padre Renieri, e forse ancora in sua compagnia il Sig.r Vincenzio, proprio figliolo, giovane di grand'ingegno et all'invenzioni mecchaniche inclinatissimo, i quali insieme fossero provveduti et istrutti a pieno di tutte le cognizioni necessarie all'effettuazione di sì grand' opera. Mentre dunque il Padre Rinieri attendeva alla composizione delle tavole, si pose il Galileo a speculare intorno al suo misurator del tempo; et un giorno del 1641, quando io dimorava appresso di lui nella villa d'Arcetri, sovviemmi che gli cadde in concetto che si 270 saria potuto adattare il pendolo a gl' orivuoli da contrapesi e da molla, con valersene in vece del solito tempo, sperando che il moto egualissimo e naturale d'esso pendolo avesse a corregger tutti i difetti dell'arte in essi orivuoli. Ma perchè l'essere privo di vista gli toglieva il poter far disegni e modelli a fine d'incontrare quell' artifizio che più proporzionato fosse all'effetto concepito, venendo un giorno di Firenze in Arcetri il detto Sig." Vincenzio suo figliolo, gli conferì il Galileo il suo pensiero, e di poi più volte vi fecero sopra vari discorsi; e finalmente stabilirono il modo che dimostra il qui aggiunto disegno,

258. e tutte, P. Così era scritto anche in G, dove poi il VIVIANI aggiunse tra le linee la serie ordinata di.

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e di metterlo in tanto in opera per venire in cognizione dal fatto di quelle difficoltà che il più delle volte nelle macchine con la semplice speculativa non si so280 gliono prevedere. Ma perchè il Sig. Vincenzio intendeva di fabbricar lo strumento di propria mano, acciò questo per mezzo de gl'artefici non si devulgasse prima che fosse presentato al Ser.mo Gran Duca suo Signore et appresso alli SS.ri Stati per uso della longitudine, andò differendo tanto l'esecuzione, che indi a pochi mesi il Galileo, autore di tutte queste ammirabili invenzioni, cadde ammalato, et agl'otto di Gennaio del 1641, ab Incarnatione, mancò di vita; per lo che si raffreddarono talmente i fervori nel Sig." Vincenzio, che non prima del mese d'Aprile del 1649 intraprese la fabbrica del presente orivuolo, sul concetto somministratoli già, me presente, dal Galileo suo padre.

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Procurò dunque d'avere un giovane, che vive ancora, chiamato Domenico Ba290 lestri, magnano in quel tempo al Pozzo dal Ponte Vecchio, il quale aveva qualche pratica nel lavorare orivuoli grandi da muro, e da esso fecesi fabbricare il telaio di ferro, le ruote con i lor fusti e rocchetti, senza intagliare; ed il restante lavorò di propria mano, facendo nella ruota più alta, detta delle tacche, n.o 12 denti, con altrettanti pironi scompartiti in mezzo tra dente e dente, e col rocchetto nel fusto di n.o 6, et altra ruota, che muove la sopradetta, di n.o 90. Fermò poi da una parte del bracciuolo, che fa croce al telaio, la chiave o scatto, che posa su detta ruota superiore, e dall' altra impernò il pendolo, che era formato d'un filo di ferro, nel quale stava infilato una palla di piombo, che vi poteva scorrere a vite, a fine d'allungarlo o scorciarlo secondo il bisogno d'aggiustarlo 300 con il contrapeso. Ciò fatto, volle il Sig. Vincenzio che io (come quegli che era consapevole di quest'invenzione e che l'avevo ancora stimolato ad effettuarla) vedessi così per prova e più d'una volta, come pur vedde ancora il suddetto artefice, la congiunta operazione del contrapeso e del pendolo: il quale stando fermo tratteneva il descender di quello, ma sollevato in fuori e lasciato poi in libertà, nel passare oltre al perpendicolo, con la più lunga delle due code annesse all'impernatura del dondolo alzava la chiave che posa e incastra nella ruota delle tacche, la qual tirata dal contrapeso, voltandosi con le parti superiori verso il dondolo, con uno de' suoi pironi calcava per disopra l'altra codetta più corta, e le dava nel principio del suo ritorno uno impulso tale, che serviva d' una certa 310 accompagnatura al pendolo, che lo faceva sollevare fin all'altezza donde s'era partito; il qual ricadendo naturalmente e trapassando il perpendicolo, tornava a sollevar la chiave, e subito la ruota delle tacche, in vigor del contrapeso, ripigliava il suo moto, seguendo a volgersi e spignere col pirone susseguente il detto pendolo: e così in un certo modo si andava perpetuando l'andata e tornata del pendolo, fino a che il peso poteva calare a basso.

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288. me presente, che in G è aggiunto tra le linee di mano del VIVIANI, non si legge in P. 304. tratteneva 'l moto del contrappeso, P. Anche in G era stato scritto il moto del contrapeso, ma poi il VIVIANI corresse di sua mano il descender di quello

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