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Tommaso Vallauri, ma ci vengono da sè in mente alla lettura di quest' ottima Storia. Scritta in istile semplice e purgato, senza nessun' aria di pretensione, con una imparzialità scrupolosa, rifiutando, per non togliere dignità all'argomento severo, tutti i fronzoli degli abbellimenti poetici, egli vendica il Piemonte dalle asserzioni di quegli sputasentenze, i quali, dall'esser ivi fioriti più tardi i grandi letterati, accusan di tardo l'ingegno dei Subalpini. E intanto, senza parere, egli glorifica sommamente l'Italia, quella Italia nel cui amore non debbon esservi discrepanze fra noi, la patria, dico, dei grandi concetti e delle solenni dottrine filosofiche e teologiche, e specialmente legali, che Dante opinò raccolte e ordinate in un corpo da Giustiniano per volontà dello Spirito Santo. Io credo che se di tutte le nostre Università vi fosse una storia, così ben fatta come questa qui, l'Italia conoscerebbe d'essere stata una assai prima e con più gloria e meno dolori, che poi non l'abbiano fatta i politici accorgimenti.

Bel vedere il celebre Studio di Padova cercare a Vercelli, lontano dalle fazioni e dalle discordie religiose, la necessaria tranquillità; e udito quel commovimento Torino fondare la sua Università, che al primo timore della peste, perchè all' indebolimento dei corpi non si aggiungesse il maggior danno dello svigorirsi degli intelletti, e nella

speranza di maggiori aiuti, ripara a Chieri. E bellissime quelle gare fra Savigliano e Torino, che non desiste dai lamenti e dalle suppliche finchè non le è reso l'antico onore; pronta ad affidarlo in custodia alla città d'Ivrea quando i contagi infieriscano, ma sempre risoluta a rivolerlo, appena cessati quelli; e non ismettendo le lezioni se non costretta dalla violenza straniera. Anzi neppure allora, perchè l'Università compressa in Torino ripullulava in Mondovì, per ritornarvi dipoi tanto vigorosa da consigliare, un secolo dopo, Carlo Emmanuele II a ingrandir la città, e la città stessa ad erigerle nel settecento una residenza più degna. Le quali cose chi si ricordi come fossero pensate in mezzo alle assidue guerre che distraevano tanta parte dell'attività subalpina, o fra le sventure e le malattie che spopolavano i paesi, facilmente si persuaderà che l'animo invitto della nazione piemontese (allora si diceva così) con l'istessa costanza onde combatteva sui campi le battaglie nazionali, sostenne quelle della scienza contro l'ignoranza, non meno belle e gloriose.

E il Vallauri con la modestia di chi racconta fatti di casa sua, rinverdisce gli allori di quei trionfi, per i quali si vide avanzarsi a grandi progressi in Torino la tipografia, e l'Università aprire a lei un'officina; e chiamarsi poi da Firenze il Torrentino a

professarla in Mondovì; onde si ebbero, prima che altrove, edizioni di autori pregiati, e pregiatissime sopra tutte, le opere di Leon Batista Alberti, e l'i-. stituzione, ragguardevole a quei tempi (1740), della Stamperia Reale. La tipografia fa nascere la necessità delle biblioteche; e fra le prime città Torino fonda la sua ad uso pubblico, finchè Emmanuele Filiberto ne edifica una destinata ad essere il teatro universale di tutte le scienze, maraviglia allora del mondo. E allora incominciano da piccoli principii quelle belle istituzioni, che dal collegio intitolato La sapienza dei poveri scolari progrediscono fino al Collegio delle Provincie e all'altro dei Nobili, seme alla gloriosa Accademia militare per gli studenti; e per i dotti sorse la Società Reale, modernamente cangiata nell' Accademia Reale delle Scienze, che fu il Cimento dei Piemontesi. A questi eccitamenti, non sempre eguali, ma non mai del tutto cessati, si deve non soltanto la pubblicazione di tante opere scritte dai professori torinesi in quelle scienze che allora tenevano il campo, ma il più bel progresso che in quel secolo avvenisse alla letteratura con la Sofonisba di Galeotto del Carretto reputata la prima tragedia italiana.

Gloriosi tempi, in cui l'Italia invece di farsi comandare a bacchetta dagli stranieri nel campo della scienza, incuteva a loro tal rispetto delle sue

Università, che da tutte le nazioni venivano in Torino i dotti a laurearsi, non esclusi i Tedeschi, dei .quali il solo Erasmo di Rotterdam valeva per cento. E i dotti stessi che non aspiravano all'onor della laurea, ivi si trattenevano per conversare ed apprendere, come fece il nostro Torquato Tasso cercando riposo in Torino dalle ire dei principi e della fortuna.

Giova leggere questa Storia per conoscere i nomi e gli scritti dei professori veramente insigni, come il Cuiacio, il Panciroli, il Germonio; e specialmente per sapere quanto erculei sforzi ci vollero primachè le varie dottrine sorgessero a qualche grandezza, e l'eloquenza e le lettere acquistassero dignità civile sulle cattedre, e la chirurgia reputata sino agli ultimi tempi poco maggiore dell'arte del barbiere, giungesse a farsi debitamente onorare, e la botanica e la metallurgia incominciassero. Ultima a grandeggiare fu la fisica, ma a nessuno Stato si deve rimproverare di non avere avuto il suo Galileo, perchè di tali intelletti non potevano apparirne più d'uno, e perchè altrimenti non sarebbe gloria somma della Toscana l'essergli stata patria. Ma precursore del Volta fu lo Scolopio monregalese Giov. Batista Beccaria, e si può asserir francamente che senza la rivelatrice opera dell' Electricitas Vindex il miracolo della pila si aspetterebbe ancora.

Nè per boriosa fratellanza d'abito e d'Istituto io

pongo la qualità di Scolopio, ma perchè si avverta qui un altro pregio della presente Storia, tanto più degno oggi d'ammirarsi, quanto più cresce la vituperosa schiera di quegli scrittori di setta, i quali non sanno ormai nominare un uomo di Chiesa, sia pure dei più benemeriti, senza o denigrar lui, o farlo puntello a denigrazione degli altri. Il Vallauri tutto al contrario; uomo di retto pensare e credente reputa delitto storico e religioso oscurare o calunniar le belle opere dei chierici di qualsiasi grado ; e come voi lo udite narrare del vescovo Attone, di S. Brunone, del Cardinale Ostiense, e le cure di Papa Sisto IV, già professore a Chieri, per l'incremento della Università, e i benefizi fatti ad essa dal grande inquisitore Ghislieri, poi S. Pio V, così con l'istessa imparzialità vi ragiona dei monaci o dei frati, non lasciandosi andare neppure alla moda dell'insulto contro i venerandi Ignaziani. E sì che volendo, delle occasioni di sfogare irreligiosi furori ne aveva d'avanzo. Che belle stoccate non gli si offrivano narrando dell'abito talare imposto agli insegnanti; o della legge ch'escludeva dalla cattedra i professori scostumati; e giunto alle prescrizioni di Vittorio Amedeo, che pongono l'Università sotto il patrocinio dell'Annunziata, e vogliono eretto nella grande aula un altare con l'effigie di lei, perchè ivi gli studenti udissero la Messa e cantassero l'Ufizio;

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