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zione. E chi voglia conoscere appieno qual ricca suppellettile di libri vi si accogliesse, e quale siane stata la fortuna, legga la dotta prefazione, di cui il chiarissimo cavaliere Amedo Peyron adornò l'edizione di alcuni brani delle orazioni di Cicerone . Quindi veggiamo come per ben due volte nei secoli xv e xvII se ne arricchisse la biblioteca di Milano e la vaticana, a cui toccò la ventura di possedere per questa via il palimpsesto dei libri de Republica di Cicerone, publicati a memoria nostra dal cardinale Angelo Mai (2). Oltre al monastero di Bobbio voglionsi rammentare le tre badie della Novalesa (3), di san Michele della Chiusa ( e di Pedona (5). Tutte e tre ebbero il loro cronografo (6). La prima possedeva parecchi codici, che recati in Torino nella invasione dei Saraceni, andarono poi smarriti; e della seconda sappiamo, che oltre all'aver raccolto buon numero di libri, avea verso

(1) M. TULLII CICERONIS fragmenta.

...

composuit A. PEYRON, Stuttgardiae, M DCCC XXIV, in 4.o - SAULI, Sulla condizione degli studi della monarchia di Savoia sino all'età di Emanuele Filiberto. Torino, 1843, in 4.o

(2) Anche la biblioteca della Regia Università di Torino possiede oltre a sessanta codici, che furono già del monastero di Bobbio; tra i quali vuolsi annoverare il Sedulio. Di questi codici abbiamo un catalogo ragionato tessuto dal cav. Costanzo Gazzera. V. MURATOR. Antiquit. med. aevi, tom. II, dissert. XLIII, col. 824. - MAFFEI, Notizia dei codici della regia biblioteca di Torino allo Zeno.

(3) V. TERRANEO, Adelaide illustrata.

(4) V. AVOGADRO, Storia dell'abbazia di s. Michele della Chiusa. NoPROVANA, Memor. della R. Accad. delle Scienze di To

vara,

1837.

rino, serie I, tom. II, p. 93 e seg.

(5) V. MEYRANESIO, Vita di s. Dalmazzo. Torino, 1792.

(6) L'intera cronaca della Novalesa, di cui una parte fu già publicata dal Muratori, sta per venire alla luce per cura della Regia Deputazione sopra gli studi di storia patria.

il mille aperto una scuola, che durò ben cento anni, illustre per la fama dei maestri e pel gran numero dei giovani, che vi convenivano tanto dal Piemonte, quanto dalla Francia (D). Così in mezzo alla barbarie dei secoli VII, VIII, IX (2) e x entro alle pacifiche mura dei monasteri i cieli ne vollero conservare gli avanzi dell'antica sapienza greca e romana.

Erano nel secolo x le nostre contrade infestate dalle scorrerie degli Ungari e dei Saraceni, c, ciò che più nuoce alle lettere, era quasi universale la corruzione dei costumi. Per riparare a tanti mali travagliavasi con molto ardore Attone vescovo di Vercelli, il quale innalzato a quella sede l'anno 924, la tenne per lungo tempo (3). Fu questi uno degli uomini più dotti e più ragguardevoli del suo tempo. Attone e Ratterio vescovo di Verona (4) sono i due soli vescovi, che in quella età non disperarono di mantenere in vita gli studi in Italia. E come il vescovo veronese richiedeva ne' suoi preti un certo grado di coltura, così Attone ne' suoi capitolari publicati prima dal p. D'Achery (5) e poi dal canonico Buronzo Del Signore (6),

(1) Histoire littér. de la France, tom. vil, p. 44.

(2) Sul principio di questo secolo ebbe fama d'uomo dottissimo lo spagnuolo Claudio, vescovo di Torino, che tentò di propagare in Piemonte l'eresia degl'Iconoclasti.

(3) Vedine la vita scritta dal can. BURONZO DEL SIGNORE, e premessa alle opere dello stesso vescovo da lui publicate con questo titolo: Attonis sanctae vercellensis ecclesiae opera etc. Vercellis, M. DCC LXVIII, in fol.

(4) MURATORI, Annal. tom. v, an. 959. Il, lib. II, p. 191 e seg.

(5) ATTONIS Capit. c. LXI.

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TIRABOSCHI, Op. cit. tom.

(6) Op. cit. pars prima, p. 282. Il benemerito editore di queste opere è quel desso che fu poi arcivescovo di Torino a' tempi della dominazione francese.

prescrisse che nella sua diocesi si tenessero publiche scuole ad istruzione dei giovani, e che i sacerdoti nelle ville e nei borghi istruissero gratuitamente i fanciulli. Ma che nella città di Vercelli principalmente si coltivasse a' tempi di Attone lo studio dei canoni e delle umane lettere, sembra potersi ragionevolmente congetturare eziandio dalla qualità dei codici dell'archivio di sant' Eusebio (1), dei quali alcuni sono scritti a' tempi di Attone, ed altri hanno la nota di un'età più antica.

Anche la chiesa di Novara ebbe verso la metà di questo secolo a' suoi stipendi alcuni grammatici, tra i quali un Gunzone novarese, il quale aveva studiato in Pavia ed era venuto in fama d'uomo dotto. Quando l'imperatore Ottone calò in Italia e recossi in Pavia l'anno 951, vi conobbe il grammatico novarese, e condusselo seco in Germania per ispargervi il seme delle lettere. Alcuni anni dopo Gunzone ricondottosi in patria vi aperse scuola di grammatica, e fu ascritto all' ordine diaconale del clero maggiore della città (2). Non altrimenti che Gunzone era a quei tempi in voce di valente il novarese grammatico Stefano; epperciò fu come lui condotto dall' imperadore a Magdeburgo, e quivi insegnando publicamente come già avea fatto nello studio di Pavia, vide accorrere alla

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(1) Intorno a questi mss. vedi la lettera dell'ab. ANDRES sopra alcuni codici delle biblioteche capitolari di Novara e di Vercelli. Parma, 1802. Fra questi accennerò solamente GENNADIO, De scriptor. eccles. S. GIROLAMO, De viris illustr. Il decreto gelasiano De libris apocriphis. - Leges Longobardorum. - Pompen Trogi epitome. - Capitulare regum francorum Caroli, Ludovici et Clotarii. Ethymologiar. sancti Isidori etc.

(2) BIANCHINI, Spig. nov. del 1838. VALLAURI, Storia della poesia in Piemonte, tom. I, p. 8.

sua scuola il fiore della germanica gioventù. Reduce non molto di poi in Novara, fu anch'esso aggregato al clero maggiore col titolo di canonico grammatico. Fu Stefano uomo assai faticante, e nell'archivio capitolare di Novara si conserva un preziosissimo suo codice (1).

Ma queste scuole rinchiuse nell' angusta cerchia dei monasteri, ovvero ordinate da qualche vescovo nella sua diocesi a benefizio principalmente di chi aspirava ad entrare nel santuario, non avrebbono bastato a diradare nella Italia occidentale le tenebre della ignoranza, che vi si erano addensate in quei secoli di ferro. Ad ottenere un tanto bene giovò maravigliosamente un saggio provvedimento dell' imperadore Lottario, che vuolsi riguardare come la cosa più importante, che nella prima istituzione degli studi publici siasi tentato di fare in Italia per autorità sovrana. Questi vedendo estinta in ogni parte del regno italico l'antica sapienza, in un suo capitolare assegnò nove città, in cui dovessero i giovani concorrere per gli studi (2). Fra queste vediamo annoverate Torino e Ivrea; oltrecchè a Pavia, capitale allora del regno italico, doveano recarsi gli scolari di Novara, Vercelli, Tortona, Acqui ed Asti, non meno che quelli di Milano e di Genova (3). Insegnava allora in Pavia un monaco scozzese per nome Dungallo, celebre per la sua dottrina; quel

(1) È di 282 fogli grandi di pergamena, segnato col numero LXVI. (2) MURATORI, Script. rer. ital. vol. 1, P. II, 151. p. Annali d'Italia ad ann. 829. DENINA, Rivol. d'Italia, lib. viil, cap. xII.

(3) « Primum in Papia conveniant ad Dungallum . . . . de Novaria, de Vercellis, de Arthona (leg. Derthona), de Aquis, de Genua, de Haste, de Cuma. In Eboreia ipse episcopus hoc per se faciat. In Taurinis conveniant de Vighintimilio, de Albesano, de Vadis, de Alba... » MURAT. loc. cit.

desso che offerse in dono a san Colombano parecchi codici, che accrebbero il tesoro della biblioteca di Bobbio. Il Tiraboschi) si maraviglia, che siasi stabilito uno studio particolare in Ivrea ad uso solo della stessa città, in vece di assoggettarla, come sembrava naturale, a Torino; e confessa che non gli riuscì di scoprire neppure una semplice congettura di un tale ordine di Lottario. Ma questo punto viene per mio avviso assai bene dichiarato dal Napione (2), il quale pensa, che quel Sovrano abbia preso la norma dalla distribuzione civile e militare delle province del regno. E questa congettura riesce assai probabile quando si consideri, che alle scuole di Torino dovevano secondo gli ordini di Lottario concorrere tutte le città, che formarono poi nel secolo seguente la marca d'Italia (3); marca che comprendeva quasi tutto il Piemonte proprio, e distendevasi insino a tutta la riviera occidentale di Genova. Ora come le scuole di Torino comprendevano le città della marca di Torino ossia d'Italia; così a quelle d'Ivrea, città allora assai importante, dovevano radunarsi gli scolari di tutte le altre città, o di parte di quelle, che formavano la provincia civile. Dal decreto di Lottario non si comprende abbastanza qual cosa s'insegnasse in queste scuole. Gli studi vi sono indicati col

(1) Op. cit. tom. II, lib. II, p. 180.

(2) Ms. intitolato: Del modo di riordinare la Regia Università degli studi, rassegnato alla Segreteria di Stato (interni) il 17 settembre 1799. Una copia di questo ms. è nella biblioteca Balbo in Torino.

(3) Di questa marca d'Italia, di cui Torino era capo, trovasi fatta menzione in una rara pergamena dell'anno 929, esistente nei regi archivi di corte (provincia di Torino, mazzo xv, n.o 1), e da essa trae l'origine uno dei più antichi e luminosi titoli de' nostri Regnanti, cioè di Marchesi d'Italia.

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